La Statua di Visnù
racconto commentato e illustrato


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           Konhor, quantunque giovane, aveva cacciato più volte le tigri insieme con suo padre e qualcuna ne aveva anche ucciso; quindi non provava più quel senso di timore che coglie il cacciatore novellino quando si trova dinanzi a quelle belve sanguinarie.

Accese una torcia, armò il suo lungo moschetto 16 ed entrò risolutamente nel sotterraneo, scrutando con lo sguardo tutti gli angoli tenebrosi.
Percorsi una cinquantina di passi, si trovò dinanzi ad una porta che immetteva in un'ampia sala, tutta adorna di sculture rappresentanti per lo più giganti indiani ed elefanti.

L'aveva appena varcata quando vide brillare fra le tenebre due punti luminosi che lo fissavano con terribile e spaventosa intensità. La mangiatrice d'uomini era là, in agguato, pronta a scagliarsi sull'audace giovane che osava andare a scovarla nel suo asilo.

Konhor per un momento fu colto da un brivido di terrore; poi, pensando alla bellissima figlia del principe, si fece animo e, piantata la torcia in una fessura del suolo, impugnò il moschetto prendendo freddamente di mira l'animale che brontolava sordamente, senza decidersi ancora ad assalire.

Una assordante detonazione rintronò, propagandosi cupamente di caverna in caverna, seguita da quell'urlo spaventoso che è proprio delle tigri.
Konhor, non essendo ben certo d'aver colpito la fiera, aveva fatto un salto indietro lasciando cadere il moschetto ed estraendo l'jatagan.

Quando il fumo si fu dissipato, non vide più dinanzi a sé la belva. Doveva esservi qualche porta all'estremità della sala e la tigre, contro le sue abitudini, doveva essere fuggita.
Il valoroso giovane attese qualche minuto; poi, non vedendola ricomparire, ricaricò il moschetto, riprese la torcia e avanzò cautamente ben deciso a finirla con la pericolosa avversaria.

Si trovò ben presto tra un ammasso di ossa, mescolate a lembi di stoffa scoloriti e ad armi d'ogni specie, arrugginite dall'umidità. Dovevano essere i resti degli sfortunati che in varie epoche avevano cercato d'introdursi nelle tenebrose caverne per cercarvi la famosa statua del dio.

Quantunque il giovane fosse rimasto non poco impressionato da quella scoperta, continuò a procedere varcando una seconda porta, sulla cui soglia scorse delle macchie dì sangue.

La tigre era stata indubbiamente colpita.
Certo ormai di vincerla facilmente, affrettò il passo attraversando parecchie sale meravigliosamente scolpite, finché giunse in una molto più vasta delle altre, in mezzo alla quale, con sua immensa gioia, vide ergersi una statua scintillante che raffigurava un essere mezzo uomo e mezzo leone.

Le antiche leggende non avevano mentito. La statua d'oro del dio gli stava dinanzi! Stava per precipitarsi quando gli piombò addosso una massa pelosa che lo atterrò di colpo, mentre un urlo orribile rintronava nella caverna.
La mangiatrice d'uomini lo aveva assalito a tradimento piantandogli le unghie nelle spalle.
Konhor per un momento si credette finito, poi con uno sforzo supremo riuscì a sfuggire alla stretta della belva ed introdurle fra le mascelle l'estremità della canna del moschetto. Un lampo. La testa della belva fu sfracellata di colpo dalla scarica.

Le ferite riportate dal giovane erano però tali da richiedere dei pronti soccorsi onde evitare una mortale perdita di sangue. D'altronde la statua era ormai stata trovata e la terribile tigre uccisa.
Radunate le proprie forze, uscì dalle caverne e corse, finché ebbe fiato, a un vicino villaggio, dove venne subito curato. Un messo fu tosto spedito al principe per avvertirlo del felice esito dell'impresa.

Tre giorni dopo, un forte manipolo di guerrieri portava la statua del dio a Sholapur insieme col valoroso giovane adagiato nella lettiga del principe. Tre mesi più tardi la popolazione entusiasta acclamava il matrimonio dell'uccisore della mangiatrice d'uomini con la bellissima figlia del rajah 17

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16 Torna su In origine indicava un lungo archibugio che si usava appoggiandolo ad una forcella (secolo XVI). Successivamente è passato ad indicare un fucile militare con la canna rigata e più corta dei fucili ordinari. Qui Salgari compie una svista scordandosi che in precedenza ha armato i due indiani con carabine.

17 Torna suDalla voce sanscrita Ràjà, re indiano. Durante il dominio britannico fu esteso a principi e alti dignitari. Il termine è di solito riferito ad un monarca di religione indù, mentre per quelli di religione islamica si utilizza più frequentemente il termine sultano.


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E.Salgari
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