GLI AVATARA DI VISNÙ




Egli si trovava in una specie di immensa cupola, le cui pareti erano bizzarramente dipinte. Le prime dieci incarnazioni di Visnù, il dio conservativo degli indiani che ha la sua residenza nel Vaicondu o mare di latte del serpente Adissescien, erano dipinte all'ingiro, ... [E.Salgari "I Misteri della Jungla Nera", Donath 1895]




Come abbiamo detto, quel tempio, veneratissimo da tutti gli assamesi, perché conteneva la famosa pietra di Salagraman col capello di Visnù, si componeva d'una enorme piramide tronca; colle pareti abbellite da sculture che si succedevano senza interruzione dalla base alla cima e che rappresentavano in dimensioni più o meno grandiose, le ventuno incarnazioni del dio indiano.[E.Salgari "Alla conquista di un Impero", Donath 1907]

Quindi, pesci colossali, testuggini, cinghiali, leoni, giganti, nani, cavalli, ecc.
I templi indiani sono proprio così, come gli descrive Salgari, con le pareti completamente ricoperte da bellissime statue. L’architettura e la scultura si fondono in maniera meravigliosa grazie al fatto che le statue non sono aggiunte successivamente, quando il tempio è terminato, ma sono invece realizzate negli stessi blocchi di pietra che ne formano la struttura.
Gli artisti si sono potuti sbizzarrire nella scelta dei soggetti attingendo dallo smisurato pantheon indù, ma, come riporta lo scrittore veronese, uno dei soggetti maggiormente riprodotti è Visnù con le sue reincarnazioni, dette, dal sanscrito, AVATARA (o avatar)
Il termine avatara significa anche “discesa” ed infatti indica l’incarnazione di una divinità che scende sulla terra. Questo concetto della divinità che si incarna per venire a modificare l’assetto terreno delle cose, combattendo direttamente il male o, indirettamente, facendo proseliti, è un concetto comune a molte religioni. Del resto, non è facile diffondere la fede in un Dio completamente privo di forma da rappresentare e adorare.
Anche nella religione cristiana, sebbene il Dio sia unico, inconsistente, onnipresente, onnisciente ecc.. Questi si è incarnato in Gesù Cristo che ha combattuto il Male direttamente sulla Terra, le cui gesta sono narrate in parabole, talvolta enfatizzate da miracoli che solleticano la fantasia popolare e vengono facilmente raccontati, ricordati e tramandati.
Anche la religione induista si basa su una Trimurti: tre dei espressione dello spirito ciclico della vita eterna. Brahma rappresenta la creazione, Visnù la conservazione e Shiva la distruzione (necessaria per la successiva rinascita).

            Per tenere fede al suo aspetto di divinità conservatrice, Visnù, ogni volta che il dharma (cioè l’ordine sociale e la giustizia nel mondo) e in pericolo, scende sulla terra per ristabilirlo.
La prima questione da dirimere leggendo le due citazioni sopra riportate è quella del numero degli avatara di Visnù. Sono 10 come riportato ne “I misteri della jungla nera” o 21 come Salgari afferma in “Alla conquista di un impero” ?

            Se ci rifacciamo all’induismo moderno la risposta è molto semplice, le incarnazioni di Visnù, almeno quelle principali sono dieci, dando ragione alla prima citazione quando si intenda “le prime dieci incarnazioni” nel senso di “principali”, “le più importanti”.
E’ stato solo attorno al X secolo d.C. che il numero delle incarnazioni principali è stato fissato in dieci, cui si affianca una pletora d’incarnazioni minori.
Il numero di ventuno, riportato nella seconda citazione, ricorda una classificazione più antica, riconducibile ad alcuni brani dei Purana, una serie di testi sacri dell’induismo, databili tra il IV e il XII secolo d.C.

            I dieci principali avatara di Visnù, una miscela d’incarnazioni animali e umane, sono:

1 - PESCE MATSYA
2 - TARTARUGA KURMA
3 - CINGHIALE VARAHA
4 - LEONE NARASIMHA
5 - NANO VAMANA
6 - PARASURAMA (Rama con l’ascia)
7 - RAMA
8 - KRSNA
9 - BUDDHA
10 - KALKI

La prima descrizione di un particolare avatara di Visnù si trova nel romanzo “La montagna di luce”, la cui prima edizione è del 1902:


Si diressero tutti da quella parte, tenendo alte le lampade e si trovarono dinanzi ad una statua raffigurante la quarta incarnazione di Visnù, quando dovette tramutarsi in mezzo uomo e mezzo leone al fine di distruggere il gigante Creniano il quale, avendo ottenuto da Brahma il privilegio di non poter venire ucciso né dagli dei né dagli uomini, né dalle fiere, si era fatto riconoscere per una divinità.[E.Salgari "La Montagna di Luce", Donath 1902]

            Si tratta della quarta incarnazione di Visnù, Narasimha, il leone antropomorfo, cioè con sembianze metà umane e metà animali.
La descrizione che fa Salgari è precisa ma incompleta. Innanzitutto riporta che l’avversario di Visnù fu il gigante Creniano mentre comunemente il protagonista negativo di questo mito è il demone HIANYAKASIPU.

            Ma a questo aspetto non si deve dare alcun peso perché nell’induismo, come in molte altre religioni, ma qui in maniera senz’altro più accentuata, per ogni mito esistono più versioni. Tutte le versioni hanno una parte fondamentale in comune mentre il contorno varia, ed i nomi dei protagonisti sono la cosa che maggiormente risente di questa proliferazione di versioni.

            La descrizione del mito è incompleta perché questo racconta che Brahma aveva concesso a Hianyakasipu il privilegio di non poter essere ucciso non solo da dio, uomo o animale, ma neppure di giorno e di notte, ne' dentro e ne' fuori casa.
Brahma aveva fatto questa concessione per premiare la profonda e prolungata ascesi esercitata dal demone. Questa è una peculiarità dell’induismo: chiunque, anche uomini e demoni, grazie all’ascesi realizzata in maniera perfetta e mantenuta a lungo possono acquisire, per premio o anche direttamente, caratteristiche e prerogative di una divinità. E’ questo il caso di Hianyakasipu, divenuto così potente da rappresentare una minaccia anche per gli dei, i quali chiesero a Visnù di intervenire. Hianyakasipu era stato in pratica elevato da Brahma, come premio per la sua ascesi, quasi al livello di immortale.

            "Quasi" perché in effetti Visnù sconfigge e uccide il demone. Infatti gli appare sotto la forma di Narasimha, cioè un essere ne uomo e ne animale, al crepuscolo, cioè ne di giorno e ne di notte. Inoltre Hianyakasipu si trova sulla soglia di casa, quindi ne dentro e ne fuori. Pertanto Narasimha lo può sbranare.

            Naturalmente esistono altre varianti, anche più elaborate, di questo mito, ma l’asse portante della storia è quello sopra riportato.
Una descrizione della quarta incarnazione appare anche ne “I misteri della Jungla Nera”:


Il tempio era quasi spoglio di ornamenti, però in mezzo sorgeva un mostruoso animale di metalli dorati mezzo uomo e mezzo leone e rappresentava Visnù nella sua quarta incarnazione, quando cioè assunse quella forma per combattere il gigante Creniano che aveva ottenuto da Brahma il privilegio di non poter venire ucciso né dagli dei, né dagli uomini, né dagli animali.[E.Salgari "I Misteri della Jungla Nera", Donath 1903]


Come si può notare facilmente le due descrizioni sono quasi identiche. Si osservi che la descrizione de “I Misteri della Jungla Nera” è successiva a quella che si trova ne “La Montagna di Luce” in quanto essa si trova nel capitolo “La morte di Windhya”, cioè uno degli otto capitoli aggiunti nella edizione Donath del 1903.
Invece in “Alla Conquista di un impero” troviamo il seguente riferimento al primo avatara:


Percorso il corridoio e trovata un'altra scala, entrarono, dopo averla discesa, in una immensa sala, in mezzo alla quale si rizzava, su un enorme quadro di pietra, una statua rappresentante un pesce colossale.
Era quella la prima incarnazione del dio conservatore, così tramutato per salvare dal diluvio il re Sattiaviraden e la moglie di lui, servendo sotto quella forma di timone alla nave che aveva loro mandato per sottrarli al diluvio universale. [E.Salgari "Alla conquista di un Impero", Donath 1907]

            Salgari riporta una delle molte versioni di questo mito. Le varie versioni differiscono, come al solito, per dettagli secondari come ad esempio se il pesce Matsya, questo il nome dell’avatara, prende la nave sul dorso o sul suo corno, oppure si trasforma invece nel timone della stessa. La sostanza non cambia, come d’altronde non cambia neppure quando i vari miti riportano nomi differenti per indicare il saggio che viene salvato da Visnù. Salgari riporta il nome del re Sattiaviraden mentre di solito, nell’induismo moderno il pio costruttore della imbarcazione ha nome MANU.

Quello che salta agli occhi è la impressionante somiglianza con il mito cristiano del Diluvio Universale. Ma ciò non deve stupire. Infatti in quasi tutte le culture del mondo si ricorda un diluvio dagli effetti catastrofici. Cambia il nome di Noè, ma il nocciolo della storia è il medesimo. Sempre viene costruita una barca da un uomo pio che è avvertito dalla divinità dell’imminente diluvio punitivo e purificatore perché possa salvare se e gli altri eletti, la barca dei sopravvissuti si arena su una montagna vicina e poi, una volta ritirate le acque, il mondo viene ripopolato dalla discendenza dell’uomo pio.

Esistono racconti di un catastrofico diluvio in più di 200 culture sparse per i 5 continenti. Per rimanere nell’ambito della civiltà occidentale ricordiamo, ad esempio, nella cultura della Grecia Classica il mito di Deucalione e della moglie Pirra. Questi, quando Zeus invia un diluvio, si rifugiano su un’arca che si arena poi in cima all’Olimpo. I due ripopolano poi il mondo gettando alle loro spalle delle pietre che si trasformano in esseri umani.

Ma il racconto che più assomiglia a quello della Bibbia è contenuto nell’epopea di Gilgamesh. Si tratta della opera letteraria di maggior livello della civiltà sumera, databile 2.000 a.C. ca. e quindi precedente alla stesura dell’analogo episodio biblico.
Nella versione sumerica del mito il nome dell’uomo pio è Utnapishtim, ed è lui, divenuto immortale, che narra a Gilgamesh gli eventi:


“Il dio Enki (Ea) mi disse: “Costruisci la nave subito, portala nel mare delle acque dolci, e provvedila di tutto.”
“Io preparai legname e pece, disegnai il piano della nave e lo tracciai con acconci segni. Tutta la mia gente contribuì alla costruzione. Quando la nave fu pronta vi caricai tutto ciò che possedevo, argento, oro e semi di vita di ogni sorta; vi feci salire tutta la mia famiglia; vi stivai il bestiame grosso e minuto; ordinai, infine, che vi prendessero posto gli artigiani versati nelle diverse arti.”

E, a conclusione del diluvio:


“Essa si arenò e rimase ferma sul monte Nissir per sei giorni; al settimo presi una colomba e la lasciai partire, ma essa ritornò non avendo trovato alcun luogo dove posarsi. Presi un corvo e lo lasciai partire; esso volò via, vide le acque che stavano scemando, mangiò, grattò la terra e non ritornò. Allora lasciai che tutti gli animali uscissero e sacrificai un agnello...

Le somiglianze e le coincidenze tra questa versione del mito ed il racconto che si trova nella Bibbia sono tali da poter affermare che la versione ebraico-cristiana è ripresa da tale mito.
Oltre al mito del diluvio, che ricorda moltissimo quello del nostro Noè, la stessa scelta del pesce come animale in cui Visnù si è incarnato è curiosa.
Il pesce ricorre infatti in molte religioni quale simbolo di Dio. Gli stessi cristiani, nei tempi più antichi, disegnavano il pesce per raffigurare Dio e nelle catacombe romane è ancora ben visibile tale graffito sulle pareti di tufo.

Salgari riprende l’argomento avatara di Visnù nel romanzo “Le due tigri”, trattandolo in maniera più estesa:


- No, - rispose Tremal-Naik. - Doveva essere dedicata a Visnú; vedo su tutte le colonne la figura d'un nano.
- Era un nano quel dio?
- Lo divenne nella sua quinta incarnazione, per reprimere l'orgoglio del gigante Bely che aveva vinto e cacciato gli dei dal sorgon, ossia dal paradiso.
- Un dio famoso il vostro Visnú.
- Il piú venerato dopo Brahma.
- E come ha fatto un nano a vincere un gigante? - chiese Sandokan, ridendo.
- Coll'astuzia. Visnú s'era prefisso di purgare il mondo da tutti gli esseri malvagi e orgogliosi che tormentavano l'umanità.
Dopo d'averne vinti moltissimi, pensò di domare anche Bely che spadroneggiava in cielo e in terra e gli si presentò sotto le forme d'un nano bramino.
- Il gigante in quel momento stava facendo un sacrificio. Visnú gli si rivolse per chiedergli tre passi di terreno onde potersi fabbricare una capanna. Bely, padrone del mondo intero, rise dell'apparente imbecillità del nano e gli rispose che egli non doveva limitare la domanda a sí lieve cosa.
Visnú però insistette nella sua richiesta, dicendo che per un essere cosi piccolo tre passi di terreno erano sufficienti.
Il gigante glieli accordò e per assicurarlo del dono, gli versò sulle mani dell'acqua. Ma ecco che Visnú acquista subito una grandezza cosí prodigiosa da riempire col suo corpo l'universo intero: misurò la terra con un solo passo, il cielo con un altro e pel terzo intimò al gigante di mantenere la promessa fattargli di donargli ciò che aveva misurato.
Il gigante riconobbe subito Visnú e gli presentò la propria testa, ma il dio, soddisfatto di una tale sommissione lo mandò a governare il Pandalon e gli permise di tornare tutti gli anni sulla terra nel giorno della luna piena di novembre. [E.Salgari "Le due tigri", Donath 1904]

La quinta incarnazione di Visnù, sopra descritta, ha il nome di VAMANA. L’eroe negativo ha di solito il nome di BALI, quindi con una grande assonanza rispetto al nome usato da Salgari.
Per il resto si tratta di una descrizione molto classica del mito. Il Pandalon (o Pataloka) rappresenta le regioni dell’inferno. Naturalmente l’inferno per gli indù ha una valenza molto diversa da quella della religione cristiana. Per quest’ultima l’inferno è un luogo di dannazione eterna, in cui si scontano per sempre le colpe commesse nell’unica vita a disposizione dell’uomo.
Per l’induismo l’inferno è un luogo di passaggio in cui l’anima espia le proprie colpe, commesse durante la vita, in attesa, al termine della espiazione di un nuova incarnazione e quindi una nuova vita, le cui sembianze dipenderanno dai meriti e demeriti accumulati nel tempo trascorso sulla terra.

            Salgari fa poi scorrere molto velocemente da Tremal Naik le altre incarnazioni:


- Chissà allora quali eroiche imprese avrà compiuto durante le sue altre incarnazioni, - disse Yanez. - Erano ben bravi gli dei indiani in quelle lontane epoche. Si trasformavano a piacere loro, in giganti e in nani.
- E anche in animali, - disse Tremal-Naik. - Infatti nella sua prima incarnazione, secondo i nostri libri sacri, si tramutò in un pesce per salvare dal diluvio il re di Sattiaviradem e sua moglie...
- Ah! Anche voi ricordate il diluvio.
- I nostri libri sacri ne parlano. Nella seconda incarnazione, in una testuggine per riportare a galla dal mar di latte la montagna Mandraguiti onde trarne l'amurdon ossia il liquore dell'immortalità; nella terza, in un cinghiale per squarciare il ventre al gigante Ereniacsciassen che si divertiva a sconquassare il mondo; nella quarta, in un animale mezzo uomo e mezzo leone per abbattere e bere il sangue del gigante Creniano; nella quinta, sesta, settima, ottava e nona è sempre uomo.[E.Salgari "Le due tigri", Donath 1904]

Si sofferma poi sul decimo avatara, KALKI, l’incarnazione futura, quella che non si è ancora avuta e della quale l’umanità è in attesa.. In questo mito si racconta che Visnù apparirà su un "cavallo bianco" sguainando la sciabola vendicatrice oppure, secondo altre versioni, sotto forma di dio dalla testa di cavallo.


La sua discesa sulla terra è finalizzata a punire tutti gli uomini malvagi e porrà fine all’epoca attuale introducendo un nuova epoca d’oro, di purezza, sicurezza e pace.
Tremal Naik ce lo presenta così:


- Quindi si è tramutato nove volte quel bravo dio, - disse Sandokan.
- Ma nella decima incarnazione, che avverrà alla fine dell'epoca presente, apparirà sotto le forme d'un cavallo con una sciabola in una zampa e uno scudo nell'altra.
- E che cosa verrà a fare? - chiese Yanez.
- I nostri sacerdoti dicono che scenderà sulla terra a distruggere tutti i malvagi. Allora il sole e la luna si oscureranno, il mondo tremerà, le stelle cadranno, ed il gran serpente Adissescien che ora dorme nel mar di latte, vomiterà tanto fuoco da abbruciare tutti i mondi e tutte le creature che li abitano.
- Speriamo di non essere piú vivi, - disse Yanez.
- Ci credi tu, alla discesa di quel terribile cavallo? - chiese Sandokan, con accento scherzevole al bengalese.
Tremal-Naik sorrise senza rispondere e si diresse verso lo stagno, dove i malesi stavano spaccando il muso del rinoceronte per levarne il corno.[E.Salgari "Le due tigri", Donath 1904]


Nel Visnù Purana (uno dei libri sacri dell’induismo) è scritto che Kalki apparirà quando la società sarà degradata a tal punto che “soltanto i beni materiali saranno amati, la pietà sparirà, l’onore sarà considerato soltanto in virtù della ricchezza, la libidine sarà l’unione fra uomo e donna”.
Allora arriverà Kalki e ciò che accadrà è così descritto: "appariranno nel firmamento Sette Soli, e per il gran calore saranno succhiate le acque e poi riassorbito l’intero Universo. I primi segni della discesa di Kalki tra gli uomini saranno la confusione assoluta delle caste, la sparizione della vergogna e del senso della verità, un generale spirito di violenza, tirannide di potenti sulle genti atterrite.”

L’ultimo avatara di Visnù, Kalki, il Visnù futuro, presenta, come già il primo, Matsya, grandi analogie con racconti che si trovano nei Libri Sacri del Cristianesimo.
Infatti, come il racconto di Matsya ricorda la storia del Diluvio Universale, Kalki ricorda in maniera impressionante l’Apocalisse di Giovanni.
Mentre, come visto, l’arrivo di Kalki è preannunziato dai Sette Soli che sconvolgono il mondo, nell’Apocalisse, nell’ottavo capitolo, si legge:


[6] I sette angeli che avevano le sette trombe si accinsero a suonarle.
[7] Appena il primo suonò la tromba, grandine e fuoco mescolati a sangue scrosciarono sulla terra. Un terzo della terra fu arso, un terzo degli alberi andò bruciato e ogni erba verde si seccò.
...
[10] Il terzo angelo suonò la tromba e cadde dal cielo una grande stella, ardente come una torcia, e colpì un terzo dei fiumi e le sorgenti delle acque.
[11] La stella si chiama Assenzio; un terzo delle acque si mutò in assenzio e molti uomini morirono per quelle acque, perché erano divenute amare.

            Ma concetti simili si trovano, ad esempio, anche nella religione islamica. Anche in tale dottrina religiosa si preannuncia una serie di calamità quali terremoti, incendi, oscurità del sole e caduta delle stelle, che annunciano la fine del mondo.
Apparirà il DAGGIAL, una sorta di Anticristo, a cui si opporrà il MAHDI, discendente di Maometto che purificherà l’Islam e lo innalzerà a religione egemone.
Si avrà un primo squillo di tromba e l’umanità perirà tutta, ma seguirà un secondo squillo che la farà resuscitare. Sarà allora il momento di presentarsi al cospetto di Dio per essere sottoposti al Giudizio Universale.
La visione di una fine del mondo violenta, preceduta da catastrofici eventi fisici, che si realizza quando la società è in completo disfacimento morale, non è quindi caratteristica della sola religione induista, ma, come abbiamo visto, è comune anche alla religione cristiana e alla religione islamica, cioè a due delle religioni monoteistiche più professate nel mondo.

            Quello che cambia è che le due religioni monoteistiche vedono nel Giudizio Universale la fine di ogni cosa terrena, la fine dell’unico mondo che è stato e che sarà.
Al contrario l’induismo ha una visione ciclica della vita e del mondo. Pertanto la venuta di Kalki non è la fine di tutto ma solo del ciclo attuale del mondo, dopodiché si ha una nuova creazione e tutto riparte.
Visto quanto somigli la venuta di Kalki e alla fine del mondo descritta nell’Apocalisse, mal si comprende lo scetticismo e l’ironia con cui Salgari accompagna la descrizione sopra riportata.
Ad esempio Sandokan e Tremal Naik ne parlano “con accento scherzevole” e sorridendo.

            Sempre per restare in tema possiamo ricordare che ne “I Misteri della Jungla Nera”, parlando dei riti mattutini di un bramino (quello che poi nasconderà Tremal Naik e compagni dentro la statua raffigurante Narasimha), Salgari etichetta tali usanze della religione induista come “sciocche credenze”.
Salgari è un po’ figlio dei tempi, come d’altra parte tutti gli scrittori, di ogni epoca e di ogni latitudine. All’epoca la tolleranza religiosa era praticamente sconosciuta e si pensava ancora al colonialismo europeo come veicolo di civiltà e della “vera religione”.
            E’ molto recente, ed ancora per certi aspetti in fase embrionale, un approccio con mente più aperta alle religioni sviluppatesi in zone del mondo distanti, approccio teso a cogliere lo spirito positivo che spesso si nasconde dietro miti inverosimili.

[le immagini sono tratte dal fumetto "I Misteri della Jungla Nera" disegnato da Guido Moroni Celsi]
            E ciò è possibile solo riflettendo che ogni religione, anche quella cristiana, è ricca di racconti incredibili di cui si deve cogliere il messaggio nascosto. Si pensi ad esempio al passaggio del mar Rosso da parte degli Ebrei o all’episodio della distruzione di Sodoma e Gomorra dove la moglie di Lot è trasformata in statua di sale. Oppure alla cacciata di Adamo ed Eva dall’Eden a causa del furto della mela, il serpente, la foglia di fico,….

            Sono tutti racconti enfatizzati, a guardar bene anche ingenui. Ma sono parte della nostra cultura e ad essi siamo abituati, siamo abituati a vedere direttamente il loro messaggio. Invece spesso di fronte al racconto di un’altra religione non riusciamo ad andare oltre; critichiamo e ridicolizziamo il fatto narrato con ciò svilendo contemporaneamente la religione di cui fa parte.
Occorre aver presente che in tutte le religioni esistono racconti e i miti che sono portatrici di reconditi messaggi positivi..
E questa è una considerazione che all’epoca neppure Salgari, che pure aveva idee molto aperte verso le civiltà orientali, fece.

            E se fosse vissuto oggi? Naturalmente è impossibile dare una risposta precisa. Possiamo però fare mente locale all’approccio aperto alle diversità che in più occasioni Salgari mostra. Si pensi ad esempio ai matrimoni misti di cui ha costellato le pagine dei propri romanzi.

Senz’altro possiamo dire che ha studiato le usanze e credenze orientali con cura e distacco e le ha riportate nei suoi libri con una precisione e fedeltà che denota un sincero rispetto. Di più, visti i tempi, non potevamo chiedergli.



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