“Andalusia”
Seguirono subito alcuni comandi secchi, taglienti, lanciati dal bosmano [1], e quei giovani demoni del mare si spinsero, con l'agilità di vere scimmie, su per le griselle, fermandosi chi sui pennoni delle gabbie, chi sui parrocchetti o sui pappafichi [2]. L'Andalusia, che filava a una velocità di sette nodi all'ora [3], sempre spinta da un buon vento di levante, di mano in mano che le vele venivano imbrogliate o chiuse, rallentava la marcia. Splendido veliero l'Andalusia, il più bello, di certo che possedesse nel 1867 il Cile. Era una bellissima goletta a quattro alberi, con vele quadre sul trinchetto e rande e controrande di uno sviluppo straordinario, sugli altri tre, senza contare i fiocchi del bompresso, e della stazza di millequattrocento tonnellate.
Serrate le rande e le controrande e parte delle vele dell'albero di trinchetto, don Josè insieme al bosmano, il quale funzionava ad un tempo da mastro d'equipaggio e da secondo si erano messi in osservazione sul castello di prora, spiando ansiosamente la nube nera che continuava ad allargarsi nel cielo con una rapidità straordinaria.
(Emilio Salgari, Il Tesoro della Montagna Azzurra, Bemporad, 1907)
“Realista”
- Il "Realista"! - esclamò Sandokan.
Infatti quella nave che accorreva in aiuto degli assalitori era lo "schooner" del rajah Brooke, lo stesso che alla foce del Sarawak aveva attaccato e mandato a picco l'Helgoland.
(Emilio Salgari, I Pirati della Malesia, Donath, 1896)
“Torpa”
Il capitano baleniere, con un solo sguardo abbracciò tutte quelle navi di varia portata e di forme diverse e arrestò gli occhi su di uno skooner di forme arrotondate e massicce e con un’alberatura altissima.
Era una nave di piccolo tonnellaggio, poiché, come dicemmo, non stazzava che trecentoventi tonnellate, ma era il veliero più adatto per un’ardita spedizione nei mari polari.
Era corta ma larga di fianchi, […] era salda di costole con doppio fasciame e doppi puntali rinforzati presso i bagli e le murate alte […].
La sua prora, quasi ad angolo retto, come in generale hanno le navi da pesca norvegiane, era munita da un largo sperone di ferro che permetteva d’investire i ghiacci […].
La sua alberatura era poi altissima e le sue vele avevano uno sviluppo enorme, per poter approfittare delle più leggere brezze. Le vele quadre del trinchetto, la randa e controranda dell’albero maestro ed i fiocchi del bompresso erano stati cambiati di recente […].
(Emilio Salgari, Nel paese dei ghiacci, Paravia, 1896)
“Stella Polare”
La Stella Polare, tale era il nome della goletta del signor Linderman, era una vera nave da corsa, capace di percorrere circa cinquecento miglia in sole ventiquattro ore, essendo dotata di una velocità di venti nodi all’ora ed anche di più, a tiraggio forzato.
(Emilio Salgari, Al Polo Australe in velocipede, Paravia, 1895)
Una consistente flotta di golette affolla i romanzi di Emilio Salgari. All’elenco andrebbe aggiunto il Pilcomayo de Il tesoro del presidente del Paraguay, ma trattandosi di un incrociatore attrezzato a goletta, è forse più opportuno analizzarlo in seguito.
Prima di tutto è necessaria una precisazione: ho inserito i brani che riguardano sia le golette che gli shooner (o skooner), semplicemente perché sono essenzialmente lo stesso tipo di imbarcazione [4].
Iniziamo ad analizzare il dislocamento. Solo due sono chiaramente espressi, quello dell’Andalusia (1.400 T) e quello della Torpa (320 T). Vi è un bel salto fra i due valori, che lascia supporre come le due navi siano molto differenti. Sono comunque entrambi dati plausibili perché la Torpa non ha più di due alberi (tipici delle golette) e ci viene detto essere “corta” e di “piccolo tonnellaggio”; l’Andalusia ha invece quattro alberi, indice di una dimensione maggiore e riferibile al peso indicato dall’autore.
Merita un accenno particolare l’attrezzatura delle golette. I due alberi tipici di questi bastimenti, hanno come caratteristica peculiare un’evidente inclinazione verso poppavia, in modo che “acconsentano” meglio agli sforzi indotti dal vento. Cosa molto importante, l’albero maestro è leggermente più lungo del trinchetto; condizione che si verifica, in senso opposto, su un altro modello di nave, il ketch. L’armamento è costituito da due rande auriche [5] più le controrande (oggi sostituite dalle più pratiche rande bermudiane o Marconi, che hanno unificato le due tele, eliminando di fatto due pennoni e le relative manovre per bracciarli).
Sul bompresso si spiegano i fiocchi, indispensabili nei cambi di bordo, e per questo ancora presenti. Non sono più i tre o quattro che spesso Salgari richiama, ma ve n’è uno solo, di dimensioni maggiori e che a seconda della particolare conformazione, e in funzione dell’utilizzo, prende il nome di “genoa”, “tormentina”, o ancora, “trinchettina”.
Il tipo di alberatura flessibile, la dotazione velica così versatile ai salti del vento, la snellezza e la leggerezza dello scafo, fanno della goletta un’eccellente veliera, assolutamente manovriera e affidabile, capace di stringere il vento in una bolina strettissima. Non è un caso che, come “tipologia” di imbarcazione sia sopravvissuta (con le necessarie modifiche) fino ai nostri giorni, come non è un caso che fosse una delle navi predilette dagli ultimi corsari e pirati.
La goletta appare sui mari all’incirca nel corso del XVIII secolo, quindi successivamente a quella che fu definita “l’età d’oro della pirateria”. Malgrado ciò, gli ultimi scorridori dei mari, che si erano spinti a nord del Mar dei Caraibi, emulando le gesta dei “Fratelli della Costa”, spesso si servirono di golette per le loro ardite imprese. In esse potevano trovare un’affidabilità completa, una velocità senza pari (come diceva il corsaro “Black Bart” Roberts due gambe buone servono sia per rincorrere che per scappare) e un’estrema facilità nel trovar rifugio, data la piccola mole (e il piccolo pescaggio). Mancavano solo di elevata potenza di fuoco, sacrificata ovviamente all’esile semplicità della struttura. Infatti a parte qualche leggero cannoncino brandeggiabile posto sui capi di banda, le piccole stive e i frapponti non ospitavano né bocche da fuoco, né barili di polvere nera, né munizioni.
NOTE:
[1] Bosmano è un termine desueto per definire il nostromo. Italianizzazione dell’inglese botswain e del francese boscò.
[2] Come già accennato altrove questo termine spagnolo (papahigos), come pure l’analogo contro pappafichi, non è mai entrato a far parte del vocabolario marittimo italiano. Corrispondono al velaccio e al controvelaccio della maestra.
[3] Grave errore di Salgari in quanto i nodi esprimono già un concetto di velocità oraria (miglia/ora).
[4] Tuttavia alcuni schooner portavano sulla parte alta di trinchetto e/o maesto le vele quadre, corrispondendo così all’italiano goletta a gabbiole. Dalle descrizioni riportate sembrerebbe che Salgari parli sempre di questo tipo di nave piuttosto che di golette, anche quando queste sono esplicitamente richiamate.
[5] Trapezoidali.
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a cura del "Tigrotto" Fabio Negro