La caravella

Capitan Fabio Negro






- È una caravella spagnuola!... - urlò ad un tratto.
(Emilio Salgari, Il Corsaro Nero, Donath, 1898



Non si trattava veramente d'una barcaccia, bensì d'una caravella destinata al piccolo cabotaggio, […]
(Emilio Salgari, La Regina dei Caraibi, Donath, 1901)



Non si creda d’altronde che fosse una grossa nave, anzi tutt’altro. Nel 1535 […], tutte le navi mercantili, eccettuati i galeoni, avevano proporzioni modestissime.
L’enorme tonnellaggio delle navi moderne era afatto sconosciuto. Quando una ne stazzava trecento era già molto e quelle da centro non esitavano ad intraprendere viaggi immensi, spingendosi fino in America e anche nell’India orientale.
Quella che la tempesta stava per scagliare contro le coste del Brasile, […], era una modestissima caravella portoghese di novanta tonnellate, col castello di prora ed il cassero molto alti, il ponte invece assai basso, […], con due alberi sostenenti vele latine e vele quadre […]
(Emilio Salgari, L’Uomo di fuoco, Donath, 1904)

Quando la Callega, la Santa Clara e un’altra caravella partirono dall’Europa per raggiungere le lontane indie, nessuno sapeva che sarebbero diventate le navi più famose del mondo, quello vecchio e quello nuovo. E come ogni grande stella che si rispetti, queste signore del mare divennero note come la Nina, la Pinta e la Santa Maria.

 

Sebbene la caravella sia protagonista, e in qualche modo emblema dell’avventura, della scoperta, della corsa verso l’ignoto – tutti tratti comuni alle opere salgariane –, il Capitano Salgari sembra non avere particolari attenzioni per questo tipo di natante, e pertanto lo confina a ruoli di secondo piano.

Caravelle che naufragano, caravelle usate come brulotti[1] o come prigioni, o ancora caravelle in possesso di personaggi anch’essi minori. Così noi no abbiamo sufficienti descrizioni, se non quel breve passo de L’Uomo di fuoco, che comunque, in poche righe, riesce a riassumere molto bene le caratteristiche di questa nave.

Sostituendosi ai leggeri velieri mediterranei (galere, tartane, …) e soppiantando le grosse e pesanti cocche e orche dei mari del Nord, le caravelle e in seguito le più idonee caracche permisero agli europei di spingersi attraverso gli oceani con relativa sicurezza, se pur non fossero che semplici sugheri al confronto dei grossi vascelli dei secoli successivi.

Venivano infatti costruiti secondo l’antica proporzione comunemente nota come 3:2:1, ossia la lunghezza misurava tre volte la larghezza e questa era il doppio dell’altezza di costruzione (praticamente la distanza tra il ponte e la chiglia). Si parla comunque di valori intorno ai 35-40 metri di lunghezza fuori tutto[2], per un tonnellaggio complessivo affine a quello indicato da Salgari.

I ponti sopraelevati come il cassero di poppa e il castello di prua, erano effettivamente elevatissimi e, specialmente il primo, di forma ristretta e affilata, caratteristica che conferiva alla caravella, insieme alla coperta molto bassa e insellata, una certa forma convessa.
L’attrezzatura era composta da due o tre alberi, spesso accompagnati da antenne minori, non altissimi.
Per quanto attiene la velatura, bisogna dire che la forma delle vele distingueva i diversi tipi di caravelle. Vi erano infatti caravelle “redondas” che issavano principalmente vele quadre, con forse una vela latina all’antenna di belvedere[3]; caravelle latine, ai cui alberi erano inferite le vele triangolari mutuate dai navigli arabi; e infine navi che avevano un armamento misto.

Nel primo tipo, il maestro portava solo due vele: la vela principale, la più grande, sormontata da una sorta di contro-maestra più piccola. Il trinchetto una sola vela e dell’albero di poppa si è già detto. Questo conferiva, rispetto alle caravelle latine, maggior stabilità durante la navigazione oceanica, pur togliendo qualche punto alla manovrabilità specie col vento di bolina.
Particolarità assoluta era invece la cosiddetta vela di civada, di forme quadre anch’essa, posta al di sotto del bompresso, perpendicolarmente.
Le caravelle latine invece, portavano alberi a cui erano fissati lunghissimi pennoni obliqui, dette antenne, che reggevano ampissime vele triangolari che consentivano di risalire il vento con bordi strettissimi.

Non si trattava certo di vascelli idonei alla guerra, per lo meno prima delle evoluzioni strutturali occorse nel corso degli anni, pertanto poco vi è da dire sull’armamento delle caravelle. Portavano qualche leggero cannone sulla coperta, e specialmente sui due castelli. Nel complesso infatti si tratta tutto sommato di velieri antichi, lontani dall’epoca delle grandi guerre navali che richiedevano una potenza di fuoco sempre più elevata.

Questa è la ragione per cui, dopo i necessari adeguamenti compiuti nel corso dei secoli XVI e XVII, vennero poi definitivamente abbandonate.



[1] Navi incendiare cariche di materie infiammabili ed esplosive, venivano utilizzate per distruggere i legni nemici. Un brulotto appare sia ne La Regina dei Caraibi che in Jolanda la figlia del Corsaro Nero.

[2] Ossia la massima lunghezza di una nave, dall’estrema prua all’estrema poppa, incluse le eventuali appendici (come il bompresso.

[3] È il piccolo alberetto di poppa, quando manca la mezzana.



* I mari di Emilio Salgari *



E. Salgari
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