Quel che resta della "Stella Polare"



Quale sorte toccò al leggendario veliero protagonista di uno dei più interessanti romanzi salgariani ambientati nei desolati spazi dell’Artide? Gli attuali modellini.

Non saprei dire quale romanzo sia costato a Salgari più impegno e fatica. Certo, La “Stella Polare” ed il suo viaggio avventuroso dovette essere, se non il primo della lista, fra i primi. Sappiamo l’origine di questo che si può considerare un vero instant-book. Tra il 1899 e il 1900 l’Italia tutta era in fermento per la spedizione polare organizzata e condotta da Luigi Amedeo di Savoia, ovvero il Duca degli Abruzzi, quando l’editore Donath, cui Salgari era legato all’epoca, propose allo scrittore di realizzare, mentre il veliero italiano stava rientrando dal Nord, un romanzo sull’evento, attingendo alle documentazioni fornite dai giornali. Con una raccomandazione: cercare di non urtare la suscettibilità né del Duca, né del capitano di corvetta Umberto Cagni, né del medico di bordo; e uscire in tempo utile come strenna natalizia del 1900, in grande anticipo sul resoconto ufficiale che sarebbe stato fornito dai protagonisti di quell’impresa. Impresa coronata da successo, anche per la documentazione scientifica e topografica riportata, malgrado la “Stella Polare”, imprigionata dai ghiacci, non raggiungesse il Polo Nord e il Duca fosse bloccato da un incidente; furono invece i suoi uomini, proseguendo in slitta, a toccare il 25 aprile 1900 gli 86° 34’ di latitudine settentrionale, superando di 35 chilometri il record conseguito precedentemente da Nansen.
Salgari s’impegnò con tutto sé stesso e, forte della sua conoscenza delle regioni artiche sfoggiata in precedenti romanzi, della sua esperienza giornalistica e del suo forsennato ritmo di scrittura, riuscì a fornire – tutto sommato senza troppi errori - un prodotto attraente. Per la fretta di consegnare il manoscritto risultò scarsa di notizie solo l’ultima parte del romanzo, che si concludeva facendo memoria dei tre membri dispersi, due italiani e un norvegese: «Povero Querini!... Povero Ollier e povero Stökken!... Il polo voleva le sue vittime e ha preso le vostre giovani esistenze». Sappiamo anche come dal suo lavoro Salgari ricavasse noie e una vertenza col Duca e Cagni che lo costrinse non solo a modificare il titolo iniziale nel meno appetibile Notizie sul viaggio della “Stella Polare”, ma a firmarlo quale semplice raccoglitore di esse.
E qui una domanda: dopo il suo ritorno in Italia quale sorte toccò alla malconcia “Stella Polare”, già baleniera adibita alla caccia alle foche e usata dai famosi esploratori Nansen e Larsen? Il Duca, che nel 1899 l’aveva acquistata a sue spese in Norvegia, attrezzandola a goletta, la donò alla Marina militare che però non seppe che farsene. Poteva essere trasformata in museo, alla stregua di altre navi famose, invece finì distrutta da un incendio nell’Arsenale di La Spezia dove si trovava in disarmo. Solo alcune parti, tra cui la poppa, vennero salvate, confluendo nel prestigioso Museo tecnico navale spezzino. Purtroppo i bombardamenti dell’ultimo conflitto mondiale finirono per distruggere, fra altri preziosi reperti, anche quelle ultime reliquie, come pure tutta la documentazione relativa alla nave. A testimoniare la spedizione polare del Duca degli Abruzzi rimangono oggi, nel rinato Museo, soltanto un modellino della “Stella Polare” e numerosi attrezzi di bordo.
Reperti vari si trovano presso il Museo della Scienza e della Tecnica di Milano e il Museo della Montagna di Torino intitolato al Duca. Altri, rinvenuti nel luogo dove svernarono i membri dell’equipaggio, sono custoditi presso il Museo Polare di Fermo “Silvio Zavatti”, in una bacheca della prima sala dedicata alle esplorazioni polari di Luigi Amedeo di Savoia e del generale Umberto Nobile. Un diorama riproduce il loro accampamento con la tenda, la slitta e il sacco-letto usati dal medico di bordo Achille Cavalli-Molinelli. Non è molto, ma bisogna accontentarsi.
Della “Stella Polare” esistono oggi modellini sparsi qua e là. Non sempre precisi, per la verità, come quello esistente nel citato Museo milanese. Una sua perfetta riproduzione in scala 1/60 (lunghezza originaria 48,50 metri) forma invece l’orgoglio di quel gioiellino che è “Il Sestante”, Museo di storia e architettura navale di Palazzolo sull’Oglio, in provincia di Brescia. Ne è autore il milanese Franco Rovida, un appassionato di navigazione con alle spalle mezzo secolo di attività modellistica. Realizzato interamente in legno, questo modello lungo due metri è costato circa due anni di lavoro certosino per un totale di 2200 ore, di cui almeno 500 servite per studiare la sistemazione dell’arredamento interno dei ponti, degli alloggi e dello stivaggio di tutto il materiale occorrente alla spedizione, comprese le 10 scialuppe, le 13 slitte, i kajak e le gabbie dei 121 cani. Alcune sezioni sono aperte per lasciar vedere questi particolari riprodotti da Rovida e collaboratori: l’amico Sergio Moroni, autore delle 350 casse in miniatura che contenevano i viveri, gli strumenti e le attrezzature di bordo, e sua moglie, che ha tagliato e cucito tutte le vele.
Nell’estate 2016 la mitica goletta è tornata a far parlare di sé grazie all’iniziativa di “Hachette modellismo” in vendita nelle edicole: un’opera a fascicoli con le istruzioni per riprodurla in un grande modello in scala 1/60, insieme alle dispense da raccogliere in libro del resoconto ufficiale La Stella Polare nel mare Artico apparso nel 1903 per i tipi di Hoepli.
Dal 1965 un altro veliero interamente in legno percorre i mari col nome glorioso di “Stella Polare”: la seconda nave della Marina militare italiana, dopo la magnifica ”Amerigo Vespucci”, destinata a scuola per i giovani ufficiali.

Oreste Paliotti


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