I misteri di Pietroburgo



Visioni notturne della metropoli russa, in clima di feuilleton alla Eugène Sue.


«Sette giorni dopo la sua partenza dalla Sakaline, dopo aver attraversata colla velocità d’una rondine o di un piccione viaggiatore tutta la Siberia e la Russia settentrionale, l’aerotreno si librava sopra Pietroburgo.
«Era una notte freddissima e nebbiosa, eppure, attraverso quel fitto strato di vapori, filtrava una strana luminosità prodotta dalle migliaia e migliaia di fanali a gas e a luce elettrica, illuminanti le interminabili arterie della capitale russa e le superbe passeggiate lungo la Neva e lungo le tre linee di canali concentrici derivati dal gelido fiume.
«Lo Sparviero seguiva, malgrado il nebbione, con una precisione matematica, la Prospettiva Nevsky, la larga e magnifica via che toglie il suo nome dal monastero da cui ha origine di Sant’Alessandro Nevsky, bellissimo santuario consacrato alle reliquie dell’eroe nazionale e che oggi serve di sepolcreto alle famiglie più aristocratiche di Pietroburgo.
«Due linee di fanali, che apparivano come nastri di fuoco, prolungantisi per tre chilometri, fino ai grandiosi fabbricati dell’Ammiragliato, mascheranti la Neva, indicavano al capitano dello Sparviero la via che doveva tenere».


È questa la suggestiva veduta aerea che di San Pietroburgo ci dà Salgari ne Il Re dell’Aria, romanzo già preso in esame in un precedente “itinerario” dedicato a Tristan da Cunha. Stavolta, da quel remoto e desolato arcipelago, lo scrittore ci trasporta, grazie alle possenti ali del meraviglioso apparecchio del comandante Ranzoff, in una metropoli: fatto non consueto nello scrittore di Verona, che per i suoi eroi predilige scenari marini e terrestri piuttosto lontani dai grandi centri abitati, a meno che non si tratti di città esotiche. E la metropoli russa, solo in parte europea, può appunto rientrare fra queste.
Alle vicende pietroburghesi Salgari dedica ben quattro capitoli. Come mai questo scenario urbano, un po’ insolito nel Nostro? Cosa ha determinato questa scelta? La risposta, forse, va cercata nel titolo stesso del primo capitolo: “I misteri di Pietroburgo”, chiaro riferimento ai Misteri di Parigi di Eugène Sue, romanzo del 1842-1843 che aveva inaugurato un nuovo fortunatissimo genere di feuilleton destinato alle masse, caratterizzato da forti passioni umane e da temi sociali di facile presa; genere subito imitato non solo in Francia ma anche all’estero (in Italia da Collodi, il papà di Pinocchio, e Francesco Mastriani, autori rispettivamente dei Misteri di Firenze e dei Misteri di Napoli).
E in effetti nello svolgimento delle vicende pietroburghesi lo scrittore si dimostra ligio ai dettami di questo genere letterario che predilige i bassifondi urbani dove si annidano vizio e delinquenza. Non a caso la metropoli ci viene descritta sempre di notte (quelle tenebre propizie alle imprese azzardate e a i delitti!), insistendo sul freddo e sull’umidità. Come nel brano seguente:

«La notte era troppo fredda e troppo umida per invogliare i buoni abitanti di Pietroburgo a recarsi a passeggiare, in quell’ora tarda, sotto l’ombra cupa dei giardini e dei boschetti fiancheggianti la Nevsky.
«Il capitano dello Sparviero si fermò un momento per accertarsi se si poteva distinguere la sua macchina volante; poi, rassicurato pienamente, attraversò il boschetto, le cui piante, sature di nebbia, gocciolavano da tutte le parti come se piovesse e sbucò sulla magnifica via, sfarzosamente illuminata da due file di lampade elettriche le quali tentavano invano di aver ragione della nebbia che saliva sempre più fitta dal fiume, allargandosi come un freddo sudario.
«Quantunque le undici fossero suonate, una viva animazione regnava sulla Nevsky, essendo i grandi signori russi, i bojardi, piuttosto nottambuli.
«Avviene specialmente quando nevica e quando la nebbia cala nella capitale, che quei figli del freddo e dell’umido si divertono si divertono maggiormente.
«Passavano in gran numero, rapide come saette, le strette e leggere egoiste, trascinate da bellissimi trottatori tutti neri che facevano sprizzare in polvere la neve sminuzzata dai pattini d’acciaio, guidate da giganteschi cocchieri, dalla lunga barba, avvolti in un gran cappotto e la testa riparata da alti berretti, di forma quadrata, di velluto rosso o azzurro, e che tenevano ben salde, nei pugni formidabili, le redini sottili come fili di ferro.
«Poi sfilavano le eleganti troike, coi loro tre cavalli e la duga tintinnante sonoramente, lanciate a corsa sfrenata con un sicurezza straordinaria; incrociandosi colle modeste slitte da nolo tirate da umili ronzini.
«Signore avvolte in ricche pellicce, tenute per la vita dai loro mariti, per sorreggerle meglio e ripararle dagli urti improvvisi, occupavano quegli eleganti e pittoreschi veicoli, ridendo e chiacchierando forte, insensibili al freddo e all’umidità.
«Sui marciapiedi una folla svariata, composta però per la maggior parte da ufficiali della guardia, faceva resso verso il Gostinnyi Dvor, il gran bazar dalla volta orientale, soffermandosi sotto i portici ad ammirare le vetrine degli orefici, scintillanti ancora di luce e di gioielli, malgrado l’ora tarda.
«Il capitano, che pareva conoscesse a menadito la grande città, condusse i suoi compagni ed i due marinai fino verso l’imponente palazzo dell’Ammiragliato; poi piegò verso la Grande Moskaia che è il ritrovo dei passeggiatori eleganti, la via più frequentata della capitale, che possiede i maggiori magazzini e i ristoranti più in voga».


A Pietroburgo – ed è il motivo dell’arrivo qui degli scorridori dell’aria, ai quali si sono aggiunti gli amici Rokoff e Fedoro già incontrati nel romanzo I figli dell’Aria – Ranzoff si allea con la malavita, rappresentata dalla gaida degli Hoolygani. Il comandante dello Sparviero s’è infatti impegnato a restituire ai fratelli Boris e Wassili Starinsky, suoi compagni d’avventura,la rispettiva figlia e nipote Wanda nella quale il folle barone Teriosky, che l’ha rapita, crede di riconoscere la figlia rediviva. E per scoprire il rifugio del barone occorre appunto l’aiuto di questa potente società che «conta migliaia e migliaia di soci, in massima parte evasi dalle galere russe o dalla miniere siberiane».
All’albergo Tractir Uglitch, sede notturna degli Hoolygani, è l’appuntamento con l’atman, il capo al quale tutti obbediscono ciecamente. Prima di farvi giungere i suoi eroi, però, Salgari non rinuncia a darci qualche altra descrizione della città:

«… le tre slitte partirono abbastanza velocemente, avviandosi verso la vasta piazza, ove giganteggia la chiesa di Nostra Signora di Kazan, che imita, pei suoi altissimi colonnati, quella di San Pietro di Roma e che è la più vasta e la più bella di Pietroburgo, dopo la cattedrale di Sant’Isacco. Attraversata la piazza, le slitte si slanciarono sulla Grande Moskaia che era diventata deserta e, mezz’ora dopo, correvano sulla Sadowaia, girando intorno al grande mercato della Sennaia».

Dopo una lunga descrizione delle regole e dei misfatti che contraddistinguono la gaida degli Hoolygani – siamo in pieno clima di “Misteri” – e dopo il colloquio con l’atman, che ha già raccolto informazioni sul barone Teriosky, entra in scena un altro personaggio tipico di questo genere: la bellissima Olga, prescelta a circuire l’intendente del barone per conoscere il luogo in cui il folle tiene segregata Wanda. La giovane si discosta alquanto da altri personaggi femminili salgariani belli, crudeli, ma a modo loro onesti, in quanto già contaminata dal vizio:

«Quantunque non potesse contare più di diciassette o diciotto anni, si scorgevano già su quel bel viso le tracce d’una precoce vecchiaia, provocata certamente dalle orge incessanti a cui la costringevano i membri della gaida».

Penetrati, grazie a Olga, nell’abitazione del barone, «un imponente palazzo che si ergeva in mezzo ad un folto boschetto di pini e di betulle», i nostri, l’atman e alcuni affiliati s’impadroniscono del suo intendente e lo costringono a confessare dove è nascosta la lettera di Teriosky con l’indicazione del suo ultimo rifugio: nel parco, in una piscina momentaneamente all’asciutto.
Giudicato dall’atman colpevole di aver fatto esiliare in Siberia, come nichilisti, i fratelli Starinsky lì presenti, l’intendente vi fa una brutta fine: viene calato nella vasca, dove l’acqua immessa gelerà, uccidendolo.
Chissà se Salgari conosceva la storia dei Quaranta martiri di Sebaste, nell’Armenia minore, la cui morte fu simile. Erano un gruppo di soldati romani appartenenti alla dodicesima legione Fulminata, che nel 320, per non aver voluto abiurare dalla loro fede cristiana, vennero esposti nudi su uno stagno ghiacciato durante una notte invernale.
Dopo la spaventosa vendetta, Fedoro e Rokoff ospitano per la notte gli aeronauti nel loro alloggio fornito di ampio terrazzo sul quale la notte del giorno seguente lo Sparviero potrà atterrare per prelevarli e proseguire l’inseguimento del barone tra nuove avventure.
Prima però di abbandonare la metropoli russa Salgari offre un altro accenno al riguardo:

«Fedoro e Rokoff, che conoscevano ormai benissimo Pietroburgo, in pochi minuti raggiunsero il piccolo palazzo di Anitchoff, il luogo preferito da Alessandro II e che contiene la famosa biblioteca imperiale, istituita con immense spese dall’imperatrice Caterina e che si gloria di mostrare ai visitatori, specialmente francesi, i manoscritti di Diderot, i registri della Bastiglia, la biblioteca di Voltaire e la celebre statua del grande filosofo riprodotta in duplice copia da Houdon, ed agli italiani i disegni del famoso Kremlino di Mosca, costruito da un nostro architetto nel 1534, per ordine d’Ivan il Terribile e che poi fu acciecato come un fringuello dal feroce imperatore, affinché non potesse disegnare un altro simile monumento per qualche altra nazione».

Oreste Paliotti


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