La Perla di Labuan
L’isola sulle coste del Borneo che ha fatto da scenario alle vicende di una delle più note eroine salgariane. Sulle tracce di un romanzo “fantasma”, ora però esistente.
Labuan: un nome e un’isola del sud-est asiatico divenuti popolari in Italia con la pubblicazione – inizialmente a dispense, nel 1883, e poi in volume, nel 1900 – delle prime avventure di Sandokan, la Tigre della Malesia, e del suo “fratellino bianco” Yanez de Gomera, creazioni intramontabili di Emilio Salgari. E “Perla di Labuan” era chiamata per la sua bellezza Marianna Guillonk, la giovinetta amata dall’ex principe bornese divenuto pirata, dagli abitanti di quel lembo di terra del Mar Cinese Meridionale, lontano soli otto chilometri dalle coste del Borneo. Un’isola che così viene descritta dallo scrittore veronese nel suo Le tigri di Mompracem:
«Labuan, la cui superficie non oltrepassa i 116 chilometri quadrati, non era in quei tempi [il 1849, epoca in cui si svolge l’azione del romanzo] l’importante stazione navale che è oggidì. Occupata nel 1847 da sir Rodney Mandy, comandante dell’Iris, per ordine del governo inglese che mirava a sopprimere la pirateria, non contava allora che un migliaio di abitanti, quasi tutti di razza malese, e forse duecento bianchi. Avevano appena allora fondata una cittadella alla quale avevano dato il nome di Vittoria, munendola di alcuni fortini per impedire che venisse distrutta dai pirati di Mompracem, che parecchie volte ne avevano devastate le coste. Il resto dell’isola era ricoperto di fitti boschi popolati ancora di tigri, e solo rare fattorie erano state fondate sulle alture o nelle praterie».
Qualche riga dopo veniamo informati dell’esistenza, nell’isola, di un «piccolo fiumicello, le cui rive erano coperte da una ricchissima vegetazione»: è il Sungai Kinta Benua, già noto come China River, che nel romanzo fa da scenario ad una accanita battaglia tra i due prahos di Sandokan, deciso a conoscere la “Perla” di cui ha sentito narrare meraviglie, e un incrociatore inglese.
E ai nostri giorni? Labuan, il cui nome deriva dal malese labuhan (ancoraggio), è conosciuta come porto franco, paradiso fiscale e frequentata meta turistica specie da chi ama le immersioni, oltre che per i suoi importanti giacimenti carboniferi. Fa parte, insieme ad altre sei isole minori, di un territorio federale di complessivi 92 chilometri quadrati (Salgari ha dunque abbondato nel calcolarne la superficie, a meno che nell’arco di oltre un secolo e mezzo queste isole, in genere poco elevate sull’acqua, non siano state parzialmente erose dal mare).
Pianeggiante o leggermente ondulata, Labuan è tuttora coperta di lussureggiante vegetazione per oltre il 70 per cento, così come ce la descrive Salgari. La popolazione è formata per lo più da malesi, seguiti da cinesi, indiani e gruppi etnici minori. Porto principale costellato di grattacieli e hotel ultramoderni, affacciati sulla baia del Brunei, è Bandar Labuan o Victoria: omaggio, questo, alla regina d’Inghilterra, cui l’isola venne ceduta nel 1845 dal sultano allora regnante, grazie agli uffici di James Brooke, l’avventuriero che nel ciclo di Sandokan compare come suo antagonista.
Per tornare a Marianna, nei Pirati della Malesia, seguito de Le Tigri di Mompracem, apprendiamo che, dopo essere sfuggita col capo dei Tigrotti dalle grinfie di lord Guillonk, suo zio, la giovane è andata a vivere col suo sposo a Batavia (oggi Giacarta), nella colonia olandese di Giava, dove però la felicità della coppia non è durata a lungo. Tra fuga da Mompracem, infatti, sua riconquista e prematura morte di Marianna durante una epidemia di colera, altre drammatiche avventure hanno avuto protagonisti Sandokan e compagni: vicende solo accennate, ma che Salgari avrebbe sviluppato in un nuovo romanzo mai più ristampato e in definitiva perduto: La Perla di Labuan, trait-d’union fra i due titoli citati.
Questo romanzo fantasma è oggi una realtà: non perché sia stato ripescato dall’oblio (esistono fondati dubbi sulla sua presunta esistenza), ma perché s’è preso la briga di scriverlo Fabio Negro, già noto per La riconquista di Mompracem, l’isola che c’era (Edizioni Simple) e per numerosi articoli sullo scrittore veronese. Sull’esile trama accennata, questo giovane autore torinese appassionato di Salgari, di viaggi e di mare, ha costruito – introducendo anche nuovi personaggi – un intreccio avventuroso che convince e appassiona, senza contare il suo puntiglioso rispetto dello stile “alla Salgari”. Edito da Il Foglio, La Perla di Labuan: una leggenda salgariana evoca in qualche modo le atmosfere dei romanzi del ciclo indo-malese che hanno entusiasmato generazioni di lettori, ragguagliandoci fra l’altro sulla giovinezza di Yanez e sul suo primo incontro con la Tigre della Malesia, le cui imprese avrebbe condiviso da allora in poi divenendone il braccio destro. Denso di notizie inedite, come sempre, Felice Pozzo nella Postfazione si diffonde sulle eroine salgariane e documenta l’origine della leggenda del romanzo “perduto”.
Oreste Paliotti
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