La dea Kalì e la setta dei THUGS
Chiunque
abbia letto Salgari, ma anche chi lo conosce per vie diverse dalla lettura,
alla domanda “Chi è il nemico per antonomasia di Sandokan” risponde
immediatamente e senza esitazioni “James Brooke e gli Inglesi” mentre porre la
medesima domanda per Tremal Naik vedrebbe la seguente risposta: “I Thugs ed il
loro capo Suyodhana”, magari storpiando il non facile nome, per i non indiani,
del famigerato cattivo.
James
Brooke e la setta dei Thugs sono due esempi di personaggi assurti alla notorietà
al di la' dei propri effettivi meriti, positivi o negativi, al di la' cioè del
peso reale delle loro azioni nell’economia della storia mondiale.
Ma
chi sono realmente i Thugs? La risposta è tutt’altro che facile e scontata dato
che vi sono pochissime fonti da cui attingere notizie.
Chi per primo fece conoscere i Thugs al grande
pubblico, almeno di lingua inglese, fu Philip Meadows Taylor. Questi era un
inglese trasferitosi in India e là divenuto prima ufficiale dell’esercito e poi
della polizia di Hyderabad, uno stato dell’India centrale.
In quest’ultima veste indagò
su numerosi delitti scoprendo che potevano essere attribuiti ad una banda di
Thugs. Partecipò poi attivamente alla azione di repressione da parte degli
Inglesi che ebbe come risultato l’annientamento della setta degli adoratori di
Kalì.
Forte dell’esperienza
accumulata nel corso della lotta contro i Thugs e soprattutto del ricordo delle
decine di confessioni raccolte, realizzò un romanzo dal titolo "Confession of a
Thug" (1839) in cui mischiò abilmente realtà storica e romanzata. Fu il primo,
ed il più famoso, di una serie di romanzi, tra cui ricordiamo "Tipoo Sultan: a
tale of the Mysore war" (1840).
"Confession
of a thug" non fu il primo romanzo ambientato in India ma senz’altro fu il più
famoso e il più conosciuto fino all’uscita di "Kim" di Rudyard Kipling (1894).
Partendo dai dati certi si
può dire che i Thugs sono stati una setta di assassini che contava una numerosa
schiera di seguaci ed una ancor più folta moltitudine di vittime. L’appartenenza
alla setta era segreta e gli adepti erano insospettabili che quotidianamente
conducevano una vita rispettabilissima.
I Thugs non erano infatti banditi comuni. La loro
attività era determinata da profonde convinzioni religiose. Le uccisioni
perpetrate dai Thugs avevano lo scopo di ingraziarsi la loro divinità
ispiratrice e protettrice, la dea Kalì, guadagnando così meriti per sfuggire
allo altrimenti eterno ciclo della reincarnazione. E ciò non solo per loro
stessi ma anche per le loro vittime.
Questo
però era possibile solo se la vittima veniva uccisa secondo uno specifico
rituale. Del resto la ritualità è un elemento importante ed imprescindibile in
ogni religione, orientale od occidentale, senza eccezione alcuna, perché
attraverso il rito si perpetua l’episodio simbolo della specifica religione E
la partecipazione dell’individuo al rito vale a decretarlo come appartenente a
tale congregazione (vedi ad esempio la Comunione Cristiana che ricorda l’Ultima
Cena di Gesù Cristo).
Il
rito del sacrificio, chiamato
THAGI, prevedeva l’uccisione per strangolamento.
Era importante che avvenisse senza spargimento di sangue. L’episodio che in
questo modo veniva ricordato e perpetuato era quello della creazione stessa dei
Thugs.
All’inizio del mondo mentre gli dei stavano creando i primi esseri umani
questi venivano continuamente uccisi dal demone RIKTAVIJ. Per sconfiggere tale demone
gli altri dei chiesero aiuto a Kalì ma anch’essa non riuscì nell’impresa perché
ogni volta che, con la sua spada, tagliava in due il demone questi si
rigenerava continuamente dal suo stesso sangue. Allora la dea creò due
uomini che fornì di due strisce di stoffa prese dal proprio vestito e questi le
usarono per uccidere il demone senza versare sangue. Furono i primi due Thugs e
a loro e ai loro discendenti la dea
dette il compito di immolare tutti gli altri demoni che avessero incontrato.
Dai demoni agli esseri umani
il passo fu breve. Non uccidevano donne e bambini e spesso adottavano i piccoli
delle loro vittime. Inoltre sfuggivano ai loro terribili e mortali fazzoletti
gli appartenenti ad alcune categorie di lavoratori che erano sacri alla loro
protettrice, quali ad esempio ciabattini, carpentieri, fabbri e tagliatori di
pietre.
I
thugs spesso si univano a carovane e, dopo averne ottenuta la fiducia, li
sorprendevano e sterminavano. Utilizzavano un "fazzoletto" di seta, detto
RUHMAL, piuttosto lungo, arrotolato e provvisto ad una estremità di una pesante
moneta. Veniva indossato come una cintura e poi utilizzato facendolo roteare in
modo che la moneta colpisse la testa della vittima stordendola per poi
strangolarla.
E’
interessante sottolineare come Salgari descrivesse l’abbigliamento dei Thugs
nel suo "I misteri della Jungla Nera":
Dietro di lui uscirono
quaranta altri indiani, i quali si lasciarono scivolare giù pei colonnati, fino a terra. Erano tutti quasi
nudi. Un solo "dubgah",
specie di sottanino, d'un giallo sporco, copriva i loro fianchi e sui loro
petti scorgevansi dei tatuaggi strani che volevano essere lettere del sanscrito
e proprio nel mezzo vedevasi un serpente colla testa di donna.
Un sottile cordone di seta, che pareva un laccio ma che aveva
una palla di piombo all'estremità, girava più volte attorno al
"dubgah" ed un pugnale era passato in quella strana cintura. [E.Salgari "I misteri della Jungla Nera", Donath 1895]
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Come
si vede, a parte la pittoresca descrizione del serpente tatuato, poco probabile
in una setta segreta, per il resto è descritto con sorprendente similitudine il
fazzoletto menzionato prima. La cosa è ancor più
sorprendente se si considera che ancor oggi le fonti da cui si può desumere
notizie sui Thugs sono rare. Possiamo immaginarci quanto scarse fossero ai
tempi di Salgari. Perlopiù si fa riferimento a fonti inglesi. Infatti
l’attività dei Thugs era giunta nel XIX secolo ad una tale alacrità da
provocare migliaia di vittime ogni anno.
Nel 1826 fu incaricato di combatterli il
capitano William Sleeman. Questi studiò
a lungo il loro mondo segreto ed intraprese una dura lotta riuscendo a
sconfiggerli e debellarli in un tempo sorprendentemente breve. I Thugs comunicavano tra
loro utilizzando un codice segreto detto
RAMASEE che Sleeman decifrò e questo
contribuì notevolmente ad accelerare la loro sconfitta. Nella sua azione
utilizzò anche molti "pentiti" e questo, unito anche alla distanza culturale
tra i giudici inglesi e gli accusati indiani, produsse probabilmente anche
numerosi errori giudiziari. La repressione fu nel complesso molto dura (ca. 4
mila giustiziati) ma accompagnata anche da numerosi esempi di clemenza; ad
esempio i pentiti avevano salva la vita e venivano inviati, assieme ai più
giovani catturati, in istituti di rieducazione.
Non c’è da stupirsi quindi
se nella memoria inglese i Thugs siano rimasti con una connotazione
profondamente negativa, tanto da entrare nel loro vocabolario, dove "thug"
significa letteralmente "delinquente", "teppista". In realtà "thug" è la
anglicizzazione della parola sanscrita "thag" che significa "ingannatore".
In India la presenza dei Thugs risale almeno al
XIIII secolo ma furono attivi soprattutto nel XVIII-XIX secolo nella zona
nordorientale e in particolare nel Bengala.
Infatti Kalì è tradizionalmente la dea protettrice
di Calcutta, la capitale dello stato del Bengala. La città stessa di Calcutta
deve il suo nome all’esistenza di un tempio dedicato a tale dea. Infatti, in
bengalese, la città di Calcutta si chiama
KALIKATA. Questo è il nome bengalese
di uno dei tre villaggi che gli Inglesi nel XVIII secolo riunirono per
edificare la futura capitale dei loro possedimenti in India, nome dovuto
appunto alla presenza del più famoso santuario della dea, il Kalighat.
Qui è conservato ed esposto
alla venerazione dei fedeli il secondo dito del suo piede sinistro. Si tratta
di un altro mito secondo il quale Shiva prese piangendo in braccio il corpo
della moglie Sati (Sati e Kalì sono due diverse rappresentazioni della stessa
divinità) che si era uccisa e cominciò a dondolarla.
Iniziò poi a danzare con il
corpo tra le braccia e la sua "danza cosmica" (simbolo per l’induismo della
distruzione per la susseguente rinascita) minacciava di distruggere il mondo.
Intervenne allora Vishnù che frantumò in 50 parti il corpo di Sati. Shiva
alleggerito dal peso rientrò in se' ed il mondo fu salvo. Le 50 parti del corpo
di Sati caddero sulla terra e dettero origine a 50 santuari shivaiti. Il secondo
dito del piede sinistro cadde alla periferia di Calcutta e li' sorse il
Kalighat.
In
questo tempio, in cui ogni giorno si svolgono innumerevoli cerimonie quali
matrimoni e riti di preghiera, le vengono inoltre sacrificate giornalmente 100
capre e fino a 1000 nei giorni delle feste principali. Le teste vengono
disposte di fronte alla immagine della dea, una pietra nera dai grandi occhi
dipinti a cui è severamente vietato fare foto. L’attuale tempio fu costruito
nel 1809 nel luogo in cui sorgeva una costruzione del XVI secolo andata
distrutta in seguito ad un incendio.
Salgari fa una meticolosa
descrizione della dea Kalì, sempre ne "I misteri della Jungla Nera":
Nel mezzo della pagoda si elevava una grande statua di
bronzo, rappresentante una donna con quattro braccia, di cui una brandiva una
lunga daga e un'altra una testa. Una grande collana di teschi le scendeva fino
al collo dei piedi ed una cintura di mani e di braccia mozzate le stringeva i
fianchi. La faccia di quell'orribile donna era tatuata, le sue
orecchie erano adorne di anelli; la lingua dipinta di rosso cupo, del color del
sangue, le usciva d'un buon palmo dalle labbra atteggiate ad un feroce sorriso;
i polsi erano stretti da larghi braccialetti ed i piedi posavano su di un gigante
coperto di ferite.
Quella
divinità, lo si capiva a prima vista, trasportata dalla ebbrezza del sangue,
danzava sul corpo della vittima. [E.Salgari "I misteri della Jungla Nera", Donath 1895]
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Si
tratta della descrizione di quella che è probabilmente la più nota delle
numerose rappresentazioni iconografiche di tale divinità; infatti la religione
induista ha come caratteristica peculiare il fatto che non esistono dogmi e le
varie divinità possono essere rappresentate in forme diverse, ognuna delle
quali descrive una particolarità della divinità stessa.
Il dio Shiva è accompagnato
da una pletora di dee ma in realtà sono solamente aspetti diversi della sua
unica consorte: Sati rappresenta la moglie ideale, Parvati è la figlia
dell’Himalaya che lo accompagna nelle sue meditazioni ascetiche, Durga
rappresenta l’aspetto terribile della divinità femminile e infine c’è Kalì "la
nera", la donatrice di vita e di morte
allo stesso tempo.
Kalì lascia dietro di
sé distruzione e morte, presupposto
però di nuove rinascite e rigenerazioni garantendo in tal modo la ciclicità
della legge della reincarnazione ed inoltre è un baluardo contro i demoni
dell’ignoranza e le forze del male in generale che schiaccia inesorabilmente
sotto il suo piede. Si manifesta cioè come divinità della morte e della
distruzione che in tal modo consente la nascita del nuovo.
La cosa principale da
rimarcare, dal punto di vista religioso, è che la dea Kalì nel corso dei secoli
ha aumentato a dismisura la propria importanza all’interno del pantheon
induista fino ad arrivare ad essere venerata in maniera autonoma dal proprio
consorte Shiva.
Come già accennato la sua
iconografia, come quella di tutte le principali divinità del pantheon indiano,
è molteplice; può infatti essere rappresentata come una vecchia con la lingua
penzoloni oppure come una bellissima donna di splendide sembianze, con un
numero di braccia che è di solito di quattro ma che a volte aumenta ad otto o
anche a dieci (il numero di braccia superiore a due serve a mostrare la potenza
delle divinità rispetto agli uomini).
Nella descrizione ripresa da Salgari i teschi della
ghirlanda simboleggiano la caducità della vita umana mentre il teschio in una
mano è quello del demone RIKTAVIJ la cui uccisione, legata alla nascita della
setta dei Thugs, è stata descritta in precedenza.
Caratteristica della
rappresentazione degli dei induisti è la presenza degli attributi, cioè di
oggetti che hanno ciascuno un ben preciso significato e che quindi, quando
vengono portati nelle mani da una divinità, ne caratterizzano la personalità.
Nell’ambito della religione cattolica un esempio di attributi può essere
l’associazione delle chiavi del Paradiso con San Pietro.
Nel caso di Kalì i
possibili attributi sono arco, clava, spada, accetta insanguinata, a
simboleggiare l’aspetto terribile e sanguinario di tale divinità. Come al
solito nell’induismo gli estremi opposti si toccano e quindi una delle mani è
spesso nella posizione (MUDRA) che significa pace, ad indicare che il fine del
suo agire non è la morte di per se stessa ma la rinascita, una nuova vita.
Altre volte è rappresentata
con un piede o in piedi sul corpo del
consorte Shiva. Il mito da cui nasce
questa rappresentazione è il seguente: durante una delle sue tante battaglie contro
i demoni Kalì, nell’eccitazione del combattimento, perse il controllo e dopo i
demoni iniziò a distruggere chiunque le si parasse di fronte. Neppure gli altri
dei riuscivano a fermarla. Intervenne allora Shiva che si stese di fronte a lei
e quando Kalì vi posò un piede sopra rinsavì ponendo fine alla distruzione.
Tornando ai Thugs, alla fine dell’Ottocento essi
erano praticamente estinti. Restavano, e forse restano tuttora, solo dei gruppi
di banditi di strada con qualche blando aggancio, religioso e rituale, ai
vecchi strangolatori. Ma la loro memoria è ancora ben viva tra coloro che li
hanno conosciuti nelle vivide pagine del fervido scrittore veronese che li ha
innalzati a classico esempio di implacabile e misterioso nemico.