La Montagna di Luce



            Le pietre preziose, ed i diamanti in particolare, hanno da sempre esercitato su popoli interi, uomini e donne indistintamente, un fascino particolare. Ai più grandi e preziosi tra essi sono stati attribuiti nomi e vezzeggiativi come cose viventi, ne sono state narrate le vicende, come se fossero essi i protagonisti della storia anziché i loro possessori (per lo più re, maharajah o uomini di analoga potenza); è stato loro attribuito il potere di influire sui destini delle genti, circostanze per niente soprannaturali se si considera il valore economico e di prestigio che essi rappresentano.

            Ebbene Salgari non fa eccezione a questa regola e descrive spesso nei suoi libri tesori eccezionali, con diamanti e pietre preziose favolesche, che ben riescono a far volare la fantasia del lettore.

            Già nelle prime pagine de "Le Tigri di Mompracem" il rifugio di Sandokan è così descritto:


Nel mezzo sta un tavolo d'ebano, intarsiato di madreperla [...] negli angoli si rizzano grandi scaffali in parte rovinati, zeppi di vasi riboccanti di braccialetti d'oro, di orecchini, di anelli, di medaglioni, di preziosi arredi sacri, contorti o schiacciati, di perle provenienti senza dubbio dalle famose peschiere di Ceylan, di smeraldi, di rubini e di diamanti che scintillano come tanti soli, sotto i riflessi di una lampada dorata sospesa al soffitto. [E.Salgari "Le Tigri di Mompracem", Donath 1900]



            Prosegue poi descrivendo l'eroe malese:


Si gettò indietro i lunghi e inanellati capelli, si assicurò sul capo il turbante adorno di uno splendido diamante, grosso quanto una noce, e si alzò di scatto [...] [E.Salgari "Le Tigri di Mompracem", Donath 1900]


            Le pietre preziose che gli eroi del Ciclo della Malesia possiedono, e in particolare quelle indossate da Sandokan, sono sempre "grosse come noci" o di grandezza equivalente, indicata ed enfatizzata mediante il confronto con frutta o uova di vari uccelli.

            Ad esempio la descrizione de "La Scimitarra di Budda" riporta:


[...] sull'elsa c'è un diamante più grande di una noce " Nel racconto "Nel paese dei diamanti" si legge invece: "Era grosso come un uovo di piccione [...] [E.Salgari "La Scimitarra di Budda", Fratelli Treves Editori 1892]



            Oppure in "Le Tigri di Mompracem" quando Sandokan ritorna alla sua isola dopo essere fuggito da Labuan, getta al divisa nemica che aveva utilizzato per non essere riconosciuto e:


[...] indossò nuove vesti scintillanti d'oro e di perle, si mise in capo un ricco tubante sormontato da uno zaffiro grosso quanto una noce. [...] [E.Salgari "Le Tigri di Mompracem", Donath 1900]


            Il gusto dell'iperbole è, d'altra parte, uno dei tratti caratteristici della prosa salgariana.
Le belve feroci affrontate e vinte dagli eroi dei suoi romanzi sono sempre "fra le più grandi della loro specie" e analogamente le pietre preziose descritte hanno dimensioni che colpiscono e stupiscono il lettore, trascinandolo in un mondo fantastico.
Ma non sempre le storie legate ai tesori descritte da Salgari sono puro frutto di fantasia. La "Montagna di Luce", da cui prende il nome l'omonimo romanzo, è un famosissimo diamante realmente esistito ed oggi nel tesoro della Corona Britannica.


La "Montagna di Luce" era ben degna del nome che portava: essa fiammeggiava fra le dita increspate del cornac, mandando bagliori accecanti.
Era uno splendido diamante del peso di duecentonovantanove carati, d'una purezza ammirabile. [E.Salgari "La Montagna di Luce", Donath 1902]





Così Salgari ci descrive il diamante quando i nostri eroi riescono a sottrarlo al tesoro del rajah di Pannah, un principato dell'India Centrale.

Il Koh-i-Noor (è questo il nome in sanscrito del diamante) non è il diamante più grande del mondo ma è senz'altro il più famoso. Tale fama deriva anche e soprattutto dalla supposta maledizione che sembrerebbe gravare sui suoi possessori.


            La storia del Kooh-i-Noor è una miscela di leggende, aneddoti e reali fatti storici legati tra loro da una serie di *potrebbe*, *dovrebbe*, *quasi sicuramente*, ...
Infatti è solo a partire dal 1739 che la storia di questo famosissimo diamante abbandona l'alone di leggenda che lo circonda per transitare verso la storia.
In quell'anno l'impero Moghul era ormai ridotto in estensione e in potenza e fu quindi facile per il conquistatore persiano Nadir Shah sconfiggere l'esercito imperiale ed entrare a Delhi.
Quando Nadir Shah fu fatto segno di un attentato che uccise un ufficiale accanto a lui, si scatenò una carneficina tra i cittadini di Delhi. I morti furono più di 100 mila. Alla fine, lo Shah chiese un ingente riscatto che fu onorato. Ma il riscatto, per quanto enorme, non era sufficiente, mancava ancora un famoso diamante appartenente al tesoro reale.

Secondo la leggenda, fu una concubina a rivelare al conquistatore persiano che il famoso diamante che stava cercando era nascosto nel turbante dell'imperatore Muhammad Shah.
Non volendo però utilizzare la forza per ottenere il diamante, ricorse all'astuzia sfruttando le buone maniere. Al momento di lasciare Delhi annunciò che il trono sarebbe rimasto alla dinastia Moghul e secondo i dettami del protocollo orientale mise in atto lo scambio dei copricapo.
Nadir chiese, in segno di amicizia e di unione, di scambiare il prezioso berretto ricamato che portava con il semplice turbante di Muhammad che fu costretto ad accettare.
Appena possibile srotolò il turbante ottenuto con l'astuzia e vi trovò il diamante e di fronte ai giochi di luce all'interno del cristallo, esclamò: "Koh-i-Noor! Montagna di luce!". Da quel momento tale appellativo divenne il nome del diamante.

            Non sappiamo se si tratti della stessa pietra di cui si ha notizia a partire dal 1300 oppure se si tratta di una pietra trovata solo un secolo prima e donata all'imperatore Mughol Shah Hehan. Quello che è certo è che da allora la Montagna di Luce è diventato il diamante più famoso ed ambito di tutti i tempi.

            Il 6 maggio 1739 Nadir Shah lasciava Delhi portando via un bottino immenso per il cui trasporto occorsero più di 1000 elefanti, 7000 cavalli e 10000 cammelli. Del bottino faceva parte il Koh-i-Noor.
La conquista ed il sacco di Delhi fu però l'ultima impresa del conquistatore persiano. Già dal viaggio di ritorno le cose volsero al peggio. Il tragitto infatti fu caratterizzato da continui attacchi dei predoni che decimarono la carovana di uomini e ricchezze e lo stesso Nadir Shah si ammalò.
La sua salute non si riprese più e la situazione favorì intrighi e cospirazioni che culminarono con la condanna comminata allo stesso figlio di Nadir Shah all'accecamento.
Infine nel 1747 Nadir Shah venne ucciso a tradimento ed il suo regno finì con lui. Morto Nadir Shah, il Koh-i-Noor, insieme con l'importante sigillo reale, finì nella mani di un certo Ahmad Khan Abdali, capo di un gruppo di afgani alleati dello stesso Nadir Shah.

            A dispetto della fama di pietra iettatrice che il Koh-i-Noor si era già guadagnata in questi tempi, Abdali esercitò il proprio governo con forza ed efficacia costruendo un proprio impero nella zona dell'odierno Afganistan.
Alla sua morte governo e diamante passarono al nipote Zaman, al quale in effetti la sorte non riservò nulla di buono. Fu infatti vittima di un complotto, catturato, accecato ed imprigionato. Unica sua (magra) consolazione mantenne il possesso del diamante che riuscì a nascondere in una fessura della propria cella. Forse proprio perché ancora in possesso del favoloso tesoro, fu liberato dal fratello Shuja, che divenne il nuovo imperatore e anche il nuovo possessore del Koh-i-Noor.

            Shuja era molto orgoglioso del prestigioso gioiello, tanto da non perdere occasione per mostrarlo in pubblico.
Questa ostentazione di ricchezza gli fu però fatale.
Nel 1809 lo sfoggiò durante una visita a Peshawar suscitando l'invidia e la cupidigia del governatore della città. Questi esercitò la propria influenza e potere per destabilizzare il governo di Shuja, finendo poi per detronizzarlo e imprigionarlo.
Ancora una volta la bellezza sfolgorante del Koh-i-Noor aveva acceso la cupidigia determinando una sorte sfortunata per il suo possessore. Ma neanche il governatore di Peshawar riuscì a godersi il Koh-i-Noor.
Infatti la moglie di Shuja, Wafar Begun, era riuscita a fuggire portandolo con sè. Si rifugiò a Lahore mettendosi sotto la protezione di Ranjit Singh, il fondatore del regno Sikh, detto il Leone del Punjab.

            Ranjit Singh fornì il proprio aiuto a Wafar begun, riuscendo a liberare Shuja, ma in cambio chiese ed ottenne la Montagna di Luce. Il Leone del Punjab regnò fino al 1839 sviluppando una vera e propria ossessione per il Koh-i-Noor. Si dice addirittura che quando usciva a cavallo lo facesse montare sulle briglie. I visitatori europei ne riportavano la magnificenza, aumentandone la fama.
Ranjit Singh morì nel 1839. Nei più di 25 anni in cui era rimasto nelle sue mani il diamante non tenne fede alla sua pessima fama. Si rifece però subito dopo: il Punjab entro infatti in un terribile periodo di instabilità. Fu dilaniato dalla guerra civile per anni e perse due guerre contro gli Inglesi.

Al termine della seconda (1848/49) il trattato di pace stipulato dall'ancora bambino maharajah Dulip Singj, vedeva passare il regno agli Inglesi, e con esso anche il famosissimo diamante.
Il Governatore Generale dell'India, Lord Dalhousie, per far arrivare il diamante in Inghilterra lo affidò al plenipotenziario John Lawrence. Un personaggio davvero fuori dal comune. Questi infatti infilò il diamante nel panciotto e li lo dimenticò. Trascorso del tempo senza che dall'Inghilterra giungesse conferma dell'arrivo della preziosa pietra, Lord Dalhousie pretese spiegazioni da Lawrence, che rimase in un silenzio costernato finché il proprio domestico lo informò di aver provveduto a mettere da parte la pietra trovata nel panciotto abbandonato nel bagno.

           
Fu l'ultimo intoppo. La pietra venne presa personalmente in consegna da Lord Dalhousie, che la portò a Bombay, cucita alla cintura.
Finalmente il 3 Luglio 1850 il diamante arrivava a Buckingham Palace, regalo per la Regina Vittoria. Questa, a cui era ben nota la sinistra fama del diamante, non lo indossò. A scanso d'equivoci, comunque, era stata fatta circolare la voce che il Koh-i-Noor portava disgrazia solo agli uomini, non alle donne.

Attualmente è incastonato nella corona con la quale nel 1952 fu incoronata l'attuale Regina Elisabetta II, esposta nella torre di Londra.

            Curiosamente non vi è alcuna notizia certa di quale sia stata la miniera dove il Koh-i-Noor è stato rinvenuto. Prima del 1739, e per almeno cinque secoli, appaiono sporadiche storie circa un favoloso quanto sfortunato diamante, ma non vi sono conferme che si tratti proprio del Koh-i-Noor.
Il mistero sulla reale provenienza resta e questo ha contribuito ad accrescerne la fama, anche quella di portatore di sventura per il possessore.

            Attualmente le più importanti miniere di diamanti del mondo si trovano in Sud Africa. E' lì che è stato rinvenuto il più grande diamante del mondo, il famosissimo CULLINAN. Trovato nel 1905 nella miniera Premier, vicino Pretoria, in origine pesava 3106 carati. Fu successivamente tagliato in 4 pietre più piccole (la maggiore è di 530 carati) che fanno attualmente parte del tesoro della Corona Inglese.
Ma tali miniere furono scoperte solo nel 1867 mentre la scoperta di quelle brasiliane, le uniche altre con produzione per quantità e qualità paragonabile a quella indiana, risale al 1725. Fino a quel momento, per più di 25 secoli, l'India era stata l'unica nazione fornitrice di diamanti. I sovrani indiani, sia musulmani che indù, accumularono tesori sfavillanti di gemme e la maggior parte dei diamanti più famosi del mondo provengono dalle miniere di Golgonda, nell'India centrale.

            I diamanti indiani erano noti in Europa già nell'antichità. Plinio il Vecchio ed Erodoto citano i diamanti indiani provenienti dall'area fluviale formata dai fiumi Krishna e Godavari, nei pressi di Golconda.
I diamanti di Golconda erano importati in Europa dalle repubbliche marinare di Venezia e Genova sin dal XIV secolo. E' dell'epoca la nascita dell'usanza di portare i diamanti montati su un anello. Grazie alla inalterabilità della pietra, il diamante è assunto a simbolo di fedeltà matrimoniale e di eternità del legame amoroso.
Anche dopo la scoperta delle miniere brasiliane il fascino orientale dell'India rimase però immutato; si arrivò persino a spedire i diamanti dal Brasile alla penisola asiatica per poi essere reintrodotti in commercio come indiani, in quanto tale provenienza era considerata un vero e proprio marchio di garanzia.

            Molti sono i diamanti di provenienza indiana che possono vantare, al pari del Koh-i-Noor, una serie di vicende storiche molto particolari.
Ad esempio il Gran Moghul rinvenuto nelle miniere di Kollur, da cui secondo alcuni proviene anche il Koh-i-Noor.
La maggior fonte di notizie su questa pietra sono i libri del mercante francese Tavernier. Di proprietà dell'imperatore Moghul, il diamante grezzo fu affidato al tagliatore veneziano Ortensio Borgis che lo tagliò a forma di grande rosa. Il taglio riuscì talmente male che la pietra si ridusse a soli 280 carati. L'ira del sovrano fu così grande che confiscò tutti i beni posseduti dal povero tagliatore e del diamante non se ne seppe più nulla.
Altro famoso diamante indiano è il Regent (o Pitt), trovato nelle miniere indiane di Partila nel 1701, ed acquistato da William Pitt, all'epoca governatore di Madras per conto della Compagnia delle Indie. Lo rivendette al duca di Orleans, Reggente di Francia (da cui uno dei due nomi con cui è conosciuto), con un guadagno valutato attorno al 600%.

            Il commercio dei diamanti era uno dei vari modi con cui gli uomini della Compagnia delle Indie si arricchirono. Rispetto alle spezie, i diamanti, poco ingombranti, erano l'ideale per i commerci sommersi. Comprare un'unica pietra a Golconda e rivenderla ad un monarca europeo poteva fare in un sol colpo la fortuna di un uomo.
Oggi il Pitt è esposto al Louvre. Anche il diamante chiamato Shah, sempre di provenienza indiana, è di notevole interesse perché si tratta di uno dei pochi diamanti incisi. Presenta infatti tre incisioni recanti i nomi di tre dei suoi proprietari: il principe indiano che ne fu il primo proprietario nel 1591, l'imperatore Mughal Shah Jehan che ne entrò in possesso nel 1641 e lo Shah di Persia (1824).
Nel 1889, quando fu ucciso l'ambasciatore russo a Teheran, temendo rappresaglie, lo Shah lo regalò allo zar ed attualmente è in possesso dei russi.

            Concludiamo questa veloce ed incompleta panoramica con l'Orlow. La provenienza di questo diamante è indiana ma in seguito divenne il più grande diamante della Corona di Russia. Fu montato alla sommità dello scettro imperiale ed oggi si pensa (non è visibile) che sia custodito dal governo russo a Mosca, presso il Cremlino, nel Tesoro dei diamanti appartenuti allo Zar.
Secondo quel che si dice l'Orlow proviene da uno degli occhi della statua di Brahma nel tempio di Sirangam in India, dove fu rubato da un soldato francese. Fuggito a Madras il ladro vendette la pietra al comandante di un mercantile inglese il quale la rivendette a sua volta in Inghilterra. Dopo altre peripezie il diamante finì nel 1733 nelle mani del gioielliere della corona di Russia. Questi la vendette al principe Gregorievic Orlow che ne fece dono all'imperatrice Caterina II il giorno del suo compleanno.

            Questa storia ha grandi analogie con il prologo di un celebre romanzo di William Wilkie Collins (1824 - 1889), dal titolo originale "The Moonstone" (in italiano "La Pietra della Luna", o "Il diamante indiano", o "La maledizione del diamante indiano").
Si tratta del romanzo capostipite della letteratura gialla che attualmente viene definita "alla Agata Christie". Ma ciò che incuriosisce di più noi amanti salgariani è che la Pietra della Luna è un favoloso diamante sacro che dopo varie vicissitudini viene incastonato nell'elsa di una scimitarra, per poi essere rubato da un malvagio colonnello inglese proprio durante il saccheggio che segue la caduta di Seringapatam nel 1799. Si, proprio durante la battaglia decisiva tra gli eserciti inglesi e le truppe del Mysore di Tipu Sultan, il reale personaggio storico che tanto ricorda l'eroe salgariano Sandokan. Il mondo (letterario) è davvero piccolo!


E.Salgari
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Testi e informazioni a cura del "Tigrotto" Livio Belli

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