La Torre del Silenzio
racconto commentato e illustrato


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Invece di rasserenarsi, la fronte del rajah era diventata cupa.
- Andrai a cercarlo? - gli chiese con ansietà.
Giacché lui non è venuto da me, andrò a trovarlo io alla torre del silenzio, rispose il giovane.
- Dimmi, quanti uomini vuoi?
- Dodici cavalieri scelti tra i più prodi e credo che saranno di troppo.
Un'ora dopo Halnali, armato fino ai denti, usciva da Guntur seguito da dodici guerrieri scelti fra i più prodi dell'esercito del rajah.


Essendosi sparsa la voce che il valoroso maratto andava a combattere quel terribile Nurandur che da tanto tempo spargeva il terrore in tutto il principato, una folla immensa lo aveva salutato dall'alto dei bastioni, per augurargli la vittoria.
Il rajah lo accompagnò fino ad un miglio dalla città, non cessando di raccomandargli di essere prudente e di non esporsi da solo ai colpi dell'abitante della torre silenzio. Prima di lasciarlo lo abbracciò, dicendogli con una profonda commozione:
- Tu sei degno di succedermi. Io ti proclamo il più coraggioso guerriero dell'India.
Halnali, più risoluto che mai ad affrontare Nurandur, si era inoltrato nella folta jungla, seguito dai dodici cavalieri.
Il sole si era già alzato indorando le alte cime del bambù 34 spinosi, le immense foglie dei banani, i ciuffi dei cocchi ed i rami smisurati dei targ 35 e dei pipal36.
Da quel caos di verzura, quasi impenetrabile, gli uccelli s'alzavano a stormi, salutando con gioconde grida l'astro diurno fiammeggiante sulle cime dirupate del Gulbarga 37 e volteggiando, senza mostrare alcun timore attorno all'ardito drappello.
La torre del silenzio, tutta bianca, spiccava nettamente in mezzo a tutto quel verde, giganteggiando sopra quel mare di canne ondeggianti al sole della brezza mattutina. Sopra la sua piattaforma si vedevano i marabù ed i falchi a svolazzare.
I cavalieri avevano rallentata la marcia. Si avanzavano con prudenza, in silenzio, cogli occhi in guardia e le dita sul grilletto delle carabine.
Guardavano le canne giganti e la torre mostruosa, con inquietudine crescente.
Sembrava però che la jungla ed il sepolcro dei Parsi fossero deserte, giacché non si udiva rumore alcuno, nè si vedeva apparir alcun essere umano.
Erano già giunti quasi in mezzo alla jungla, quando i cavalli cominciarono improvvisamente a dar segni d'inquietudine. Sbuffavano, s'impennavano, nitrivano e cercavano d'indietreggiare e di darsi alla fuga verso Guntur.
- Preparate le armi - disse Halnali. - qualche cosa sta per accadere.
- Udite, signore, - disse il capo della scorta, un vecchio ufficiale che per valore non era certo inferiore al maratto.
Dei fischi dolci modulati, appena percettibili, si udivano fra le gigantesche canne, a cui rispondevano altri fischi che partivano da varie parti e questi aspri, taglienti.
Halnali guardò il vecchio ufficiale, interrogandolo collo sguardo.
- Non comprendete? - chiese questi.
- Dei serpenti.
- Sì, signore e molti senza dubbio e che qualcuno aizza.
- E chi li caccia verso di noi?
- Sarà Nurandur.
- Che comandi anche ai rettili?
Spronò risolutamente il cavallo facendogli fare un balzo immenso, ma allora si vide una cosa assolutamente spaventevole, e che fece gelare il sangue al giovane valoroso.
Due fila di smisurati serpenti dalle scaglie verdi azzurre, ad anelli irregolari, si erano avanzate da ambo le parti del sentiero, frapponendosi fra Halnali e la sua scorta.
Erano pitoni38, rettili formidabili per la foro forza straordinaria e per la loro ferocia, temuti perfino dalle tigri.
I cavalli della scorta, vedendoli avanzare, si erano dati ad una fuga precipitosa attraverso la jungla nonostante gli sforzi dei loro padroni, ormai impotenti a trattenerli. Halnali era rimasto solo.
Anche il suo cavallo, colpito da pazzo terrore, si era messo a spiccare salti disordinati cercando di sbarazzarsi del cavaliere.
D'un tratto qualche cosa cadde addosso al maratto e lo avvolse. Un laccio di pelle intrecciata era stato lanciato fra le canne e gli si era stretto attorno al corpo, imprigionandogli le braccia.
Non ebbe nemmeno il tempo di gettare un grido che si sentì strappare dalla sella, poi trascinare in una corsa vertiginosa in mezzo alle canne, finché smarrì i sensi.
Quando tornò in sé, si trovò sulla cima della torre del silenzio, adagiato su una delle grate di ferro che un tempo avevano servito a ricevere i cadaveri dei Parsi.
Aveva le mani e le braccia legate così strettamente da non poter fare più alcun movimento e si sentiva tutto pesto. I suoi abiti erano in brandelli, lacerati dagli sterpi e dalle canne durante quella corsa furiosa attraverso la jungla e che doveva aver durato qualche tempo.
Di fronte a lui, accoccolato come una fiera in agguato, stava un uomo di forme atletiche, colla pelle assai abbronzata, con una lunga barba nera ed incolta e avvolto in un lungo mantello bianco.
Gli occhi di quello sconosciuto, che avevano dei bagliori strani, lo fissavano con tale ostinazione, che Halnali se li sentiva penetrare fino in fondo al cuore.
Quantunque avesse l'aspetto feroce, era tuttavia un bell'uomo dai lineamenti regolari, cosa che nell'India si nota solamente nelle persone d'alta distinzione e di casta elevata39 .
Halnali, nel vederlo, si era sentito gelare il sangue nelle vene, giacché in quell’uomo aveva riconosciuto Nurandur.
- Sei tu Nurandur - gli chiese, vedendo che quell'uomo si ostinava a fissarlo senza parlare.
- Si, io sono Nurandur, - rispose allora il bandito.
- Sei tu che mi hai rapito?
- Sono stato io.
- Che cosa vuoi ora da me?
- Far piangere i begli occhi di Naia.
Halnali si sentì correre per tutto il corpo un brivido di spavento e bagnare la fronte di un freddo sudore.
- E' la mia vita che vuoi? - gli chiese cercando di nascondere il suo timore.
- Sì, - rispose Nurandur, con un riso feroce.
- Perché vuoi togliermela? Io nessun male ho fatto a te.
- Tu venivi per uccidermi, lo so o almeno l'avevo indovinato. D'altronde ti avrei egualmente soppresso.
- Perché?
- Perché ho giurato che Naia non si sposerà giammai per lasciar perire la razza dei rajah di Guntur.
- Che cosa ti ha fatto Naia?
- La odio come odio suo padre.
- E vuoi vederla piangere?
- E piangerà - disse freddamente Nurandur - e suo padre morrà di crepacuore.
- Spiegami almeno il motivo di tanto odio.
- Che importa a te il saperlo?
Si era bruscamente alzato guardando la immensa jungla che circondava la torre del silenzio.
- La tua scorta è fuggita, - disse. - Tornerà forse, ma sarà troppo tardi. I marabù hanno fame e reclamano la loro preda.
- Miserabile, che cosa vuoi fare di me? - gridò il povero giovane.
- Giacché la notte non ho potuto strangolarti, ti ho serbato ad una morte più crudele. Oh, l'agonia non sarà lunga. È solido il becco dei miei marabù e anche quello dei bozzagri40.
Si allontanò d'alcuni passi, tenendosi in equilibrio sui margini delle grate di ferro e s'arrestò sull'orlo del profondo pozzo che s'apriva nel centro della torre e nel cui fondo in un caos pauroso, si vedevano teschi umani, tibie, costole, ossami d'ogni forma e dimensione.
- È qui che tu finirai - disse volgendosi verso Halnali e indicandogli il pozzo. - Le ossa del maratto si confonderanno con quelli dei Parsi che ti hanno preceduto nella tomba41.
Uno scoppio di risa uscì dalle labbra del miserabile.
- Ecco che gli occhi di Naia piangono. È la terza volta che il suo cuore sanguina.
Si sedette sull'orlo della torre, dalla parte opposta ove si trovava il disgraziato giovane, colle mani appuntate sul mento, dardeggiando sulla vittima uno sguardo fiammeggiante. I marabù, i corvi ed i bozzagri, quasi avessero compreso che abbandonava a loro quella preda vivente, s'erano innalzati volando furiosamente sopra il maratto, ansiosi di lacerarlo.
Halnali aveva gettato un lungo grido d'angoscia e aveva chiuso gli occhi, mentre il terribile Nurandur, impassibile come la statua della vendetta, continuava a fissarlo ed i voraci uccelli s'abbassavano sempre più, schiamazzando.
Alla notizia recata in città dalla scorta i cui cavalli, pazzi di terrore non si erano arrestati che al di là delle mura, uno scoppio di furore aveva invaso tutta la popolazione.
Si giudicava che era troppa l'audacia di quell'uomo che da tre anni terrorizzava una popolazione di quarantamila anime e che era giunto il momento di gettare da parte le paure e le superstizioni e di farla finita una buona volta.
La cattura del valoroso giovane, che tutti avevano salutato alla sua partenza stupiti di tanto coraggio, era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso.
Un urlo solo era scoppiato da un angolo all'altro della città: - Andiamo a salvarlo! Alle armi! Alle armi!
Guardie, popolani, contadini, s'erano precipitati come un torrente verso il palazzo del rajah per pregarlo di mettersi alla testa della sua popolazione e di guidarlo alla torre del silenzio.
Il vecchio, già avvertito della disgraziata sorte toccata al futuro principe di Guntur, non era rimasto sordo al grido dei suoi sudditi.
Salito su un bianco cavallo, armato fino ai denti, era uscito dal suo palazzo risoluto a vendicare la morte del giovane maratto e a liberare il paese da quel terribile uomo.
Erano sette od ottomila uomini, armati di fucili, di scimitarre, di lancie42 , di pistoloni, un vero esercito che l'ira da tanto tempo trattenuta, rendeva pericolosissimo.
Tutta quella massa di uomini, preceduta dal rajah, e dalle sue guardie, s'era rovesciata come un torrente che straripa attraverso la giungla, abbattendo con furore le canne, le quali cadevano falciate come se fossero percosse dall'uragano.
Erano giunti presso la torre quando s'udirono gli uomini d'avanguardia a gridare:
- Vi è un uomo lassù!
Ed era vero. Seduta sull'orlo della torre si vedeva una forma umana perfettamente immobile, rannicchiata su se stessa.
Il rajah ed i suoi cavalieri, in preda a mille angoscie43 s'erano lanciati ventre a terra spronando furiosamente i cavalli.
Quella forma umana rimaneva sempre immobile. Né le grida furiose di quella massa di gente, né i nitriti dei cavalli, né il fragore d'armi l'avevano scossa.
I cavalieri erano giunti sotto la torre e l'avevano circondata e quell'uomo non s'era ancora mosso.
II rajah aveva alzati gli occhi e aveva riconosciuto subito quell'uomo:
- Nurandur! - aveva esclamato. - Miserabile assassino, rendimi Halnali.
A quel grido il bandito si era alzato, guardando la jungla brulicante di gente che tendeva minacciosamente le armi verso di lui.
Un sorriso sinistro contorse le sue labbra.
- Hanno pianto i begli occhi di Naia? - gridò. - Rajah di Guntur, io sono vendicato ed ora puoi uccidermi.
Poi prima che i fucili si spianassero contro di lui, si era slanciato nel vuoto, sfracellandosi alla base della Torre del silenzio.
Quando il rajah ed i suoi ufficiali irruppero sulla piattaforma della torre, un orribile spettacolo s'offerse ai loro occhi.
Due o trecento volatili, marabù, bozzagri, corvi e falconi neri, si accalcavano sopra uno scompartimento della grata di ferro, azzuffandosi, mentre sotto di loro si vedeva agitarsi disperatamente un essere umano che cacciava urla orribili.
Tutti s'erano scagliati contro questi uccelli percuotendoli coi calci dei fucili e colle scimitarre. Halnali era comparso, coperto di sangue dalla testa ai piedi, colla pelle a brandelli, le vesti stracciate, il corpo crivellato in cinquanta luoghi dai becchi aguzzi dei marabù e dai rostri dei falconi.
Il rajah, atterrito, angosciato, gli si era gettato sopra, singhiozzando disperatamente e chiamandolo:
- Halnali! Mio valoroso! Mio figlio!
Il povero giovane pareva morto, aveva gli occhi aperti, dilatati dal terrore, vitrei e le labbra coperte da una schiuma sanguigna.
Gli ufficiali si erano affrettati a tagliargli le corde che gli stringevano le braccia e le gambe e l'avevano tratto, con infinite precauzioni, dalla grata di ferro che formava una specie di cassa.
Ad un tratto un grido sfuggi a tutti:
- È vivo! È vivo! Un sordo gemito gli era sfuggito dalle labbra.
Quindici giorni dopo Halnali e il rajah, si trovavano uniti sulla alta terrazza del palazzo.
Il vigore e la gioventù avevano trionfato sulle ferite riportate dal povero giovane.
Era quello il primo giorno che aveva lasciato il letto e primo pensiero del rajah era stato quello di condurlo lassù, da dove lo sguardo poteva spaziare liberamente sulle immense jungle che si stendevano a perdita d'occhio, intorno a Guntur.
- Guarda - gli aveva detto, stendendo il braccio verso il luogo ove avrebbe dovuto sorgere la torre del silenzio. - Essa non sussiste più. Noi l'abbiamo abbattuta onde non rimanga nemmeno un ricordo del miserabile che ti aveva condannato a quell'atroce supplizio.
- Grazie, padre, - rispose Halnali.
- Ami sempre Naia?
- Più che mai.
- Domani sarà tua ed il mio popolo festeggerà la vostra unione.
Poi facendolo sedere presso di sé, su un divano di sera, gli chiese a bruciapelo.
- Hai mai indovinato il motivo che spingeva Nurandur a sopprimere i fidanzati di Naia?
- No, padre, ignoro ancora chi fosse quel terribile Nurandur.
- Un giorno era stato un guerriero valoroso, uno dei più stimati del Guzerate, e se una passione senza speranza non gli avesse troncata la carriera, chissà dove sarebbe arrivato.
Era giunto alla mia corte come ambasciatore del rajah suo signore ed era rimasto abbagliato dalla bellezza di Naia. Senza calcolare l'abisso che lo separava da me, principe, aveva osato chiedermi la sua mano. Respinto, giurò di vendicarsi e di far piangere a lungo gli occhi di Naia. Un giorno scomparve, senza lasciare traccia alcuna di sé.
Io credevo che fosse tornato presso il suo signore, invece aveva cercato asilo nella torre del silenzio per sorvegliare da vicino. Il guerriero era diventato un bandito.
Come egli si sia vendicato, tu l'hai veduto, anzi provato. Naia ha pianto a lungo la morte del suo primo fidanzato, ha pianto quella del secondo e piangerebbe anche la tua ora, senza lo scoppio del furore che aveva invaso il mio popolo. Ecco chi era Nurandur ed ecco il motivo per cui odiava tanto me e la povera Naia.
- Una semplice vendetta.
- Che per poco non ti costava la vita senza averne colpa veruna - disse il rajah. - Ora tutto è finito, Nurandur è morto, la torre stessa non sussiste più, più nessun pericolo minaccia la tua felicità e quella di Naia.
Due giorni dopo i bramini di Guntur benedicevano le nozze della bella Naia e del valoroso Halnali.




34 Torna su Questo termine indica numerose specie di graminacee tropicali o subtropicali. Esistono alcune decine di generi e centinaia di specie di bambù, diffuse nelle zone calde di tutto il mondo ma principalmente si tratta di piante native dell’Asia meridionale e orientale. L’altezza di alcune specie raggiunge i 30 metri. Molte specie fioriscono irregolarmente ad intervalli lunghissimi, anche di un secolo. La curiosità è che fioriscono praticamente contemporaneamente in tutto il mondo.

35 Torna su Probabilmente si riferisce a “tara”, nome bengali della “Corypha taliera”, una varietà di palma.

36 Torna su Nome indiano della ficus religiosa, albero sacro sia per gli indù che per i buddisti, i cui frutti sono mangiati solo dagli asceti.

37 Torna su Gulbarga è il nome di una città dell'India centrale, nell'attuale stato del Karnataka, quindi molto distante dai luoghi in cui è ambientato il presente racconto.

38 Torna su Il pitone indiano, o pitone delle rocce (Phyton Molurus), arriva a 7 metri di lunghezza e a oltre un quintale di peso. Il suo morso non è velenoso, ma si tratta di animale pericoloso per l'uomo per i suoi denti a forma di rostro e la caratteristica di strangolatore. i pitoni avvolgono le prede fino a soffocarle nelle loro spire e poi le ingoiano intere. Attualmente a rischio di estinzione perché la sua pelle è molto richiesta nel settore della pelletteria.

39 Torna su Come detto, la società indiana era, e per certi aspetti è ancora, divisa rigidamente in quattro caste, secondo un preciso ordine di importanza. Nell'ordine bramini, guerrieri, mercanti e sudra (coloro che compiono lavori manuali). Con "caste elevate" si indicano le prime tre caste, i cui appartenenti sono destinati, nell'attuale vita, a "nascere una seconda volta", intendendo una rinascita spirituale, preclusa ai sudra (e naturalmente ai fuori-casta).

40 Torna su Il bozzagro è la poiana. Salgari trovò il nome di questo uccello nel citato libro del Rousselet (pag.595) quando il viaggiatore francese elenca gli uccelli che si trovano nei cieli di Calcutta.

41 Torna su E’ la stessa fine che, nel citato “Gli strangolatori del Bengala” il cattivo fachiro Bikanel prometti per gli eroi del romanzo.

42 Torna su Così nel testo originario.

43 Torna su Così nel testo originario




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