Il Monsone
L’India è attraversata dal
Tropico del Cancro che divide grossomodo la sua parte peninsulare da quella
continentale. Quindi gran parte del paese si trova nella zona dei grandi
deserti tropicali. Esiste però un solo grande deserto, il deserto del THAR,
situato nel Rajasthan. Ciò che permette di sfuggire al clima desertico è la
presenza del sistema dei monsoni.
In India le diversità
climatiche tra i vari periodi dell’anno e tra le varie regioni dipendono, infatti, non dalle stagioni ma dalla durata
e dall’abbondanza delle piogge monsoniche.
Il termine MONSONE deriva da una parola di origine persiana manzin che significa *stagione*. In queste zone,
infatti la stagione è scandita dal monsone e la vita è organizzata in base all’alternanza
tra pioggia e stagione secca.
Questo termine è allo stesso tempo il nome del vento, delle piogge
e dell’evento climatico più violento del pianeta.
In pratica, in gran parte
dell’India, è solo durante la stagione delle piogge che piove veramente, prima
e dopo la terra si presenta arida.
Esistono due monsoni che si
alternano ciclicamente. Questa alternanza scandiva i commerci per mare al tempo
in cui le navi erano condizionate dal vento per poter viaggiare.
Il monsone *invernale* secco
che spira da nord e da nord-est e quello umido che spira da sud e da sud-ovest.
E’ il monsone estivo che elargisce grandi quantità di piogge che permettono una
vera e propria rinascita della vegetazione.
Il monsone *estivo* da
sud-ovest viene fermato dai rilievi dei Ghati occidentali; le regioni
occidentali dell’India meridionale sono perciò soggette a piogge copiosissime
che permettono di ottenere 2 o 3 raccolti all’anno di riso.
Il Kerala è la regione che
maggiormente beneficia di tali piogge. In
6 mesi i metri di acqua sono 2-3 e questo permette ben tre raccolti di
riso all’anno. E’ questa una delle ragioni per cui il Kerala è lo stato più
ricco dell’India.
Di conseguenza le zone
interne del Deccan (poste “dietro” ai rilievi dei Ghati occidentali rispetto
alla direzione del monsone) ricevono scarse di precipitazioni e quindi non sono
autosufficienti dal punto di vista idrico (il periodo del monsone dura un solo
mese e i millimetri di acqua sono solamente 300-400).
Il monsone estivo da sud,
invece, penetra nel golfo del Bengala, urta contro l’Himalaya orientale e le
catene occidentali della penisola indocinese su cui lascia cadere la maggior
parte delle piogge. L’Assam è tra le regioni più interessate al fenomeno; nella
cittadina di Cherrapunji ogni anno si riversano più di 12 metri d’acqua.
Il monsone piega poi ad
ovest verso la pianura del Gange dove esaurisce il suo prezioso carico. Quando,
infine, giunge nelle regioni occidentali del Rajahsthan è in gran parte
esaurito. Pertanto la parte nord-occidentale dell’India non è interessata da
questo grande fenomeno atmosferico,
come attesta la presenza del deserto del Thar.
Il monsone invernale, che
spira da dicembre a febbraio-marzo, contribuisce a rendere il clima mite e
gradevole. Da marzo a giugno il vento cessa e questo periodo intermonsonico è
critico in quanto il clima è torrido e l’atmosfera soffocante. Giugno è il mese più caldo.
Le riserve idriche tendono ad esaurirsi e, dove non praticata l’agricoltura
irrigua, il paesaggio appare riarso, privo di vegetazione.
L’arrivo, tra giugno e
luglio, del monsone estivo rappresenta una vera e propria manna per il paese in
cui i ¾ della popolazione vive ancora in villaggi ed il 70% delle terre
coltivate dipende dal regime delle piogge.
Le temperatura si abbassa e
la natura rifiorisce. Si semina. La quantità di acqua scaricata dal monsone è
elevatissima e l’intensità delle piogge monsoniche sono sconosciute nei nostri
climi temperati.
Le
piogge monsoniche, che durano per mesi, sono all’inizio sporadiche e violente.
La vegetazione cresce a vista d’occhio. Spesso, soprattutto nelle zone più
aride, il monsone provoca inondazioni.
Il regime monsonico
scandisce i ritmi di vita di vita di tutta la regione e da esso, dalla sua
regolarità, dipende la sopravvivenza di
milioni di indiani. L’arrivo ciclico delle grandi piogge monsoniche è visto
come un dono del cielo.
L’agricoltura dei villaggi,
dipendendo dalla regolarità del monsone, è costantemente precaria. Se le piogge
sono eccessive le messi marciscono, le acque invadono le campagne e le città
subiscono inondazioni, a volte disastrose. A Benares il livello del Gange varia
anche di 20 metri; è per questa ragione che le case sulle rive del fiume sono
collocate molto in alto su terrazze artificiali.
E Benares è una
grande città. Nella maggior parte dei villaggi, le case sono poco più che
capanne di fango o mattoni modellati a mano, seccati al sole e poi cotti in
pire improvvisate. I tetti sono di paglia, non esistono fognature o canali di
scolo e convoglio delle acque piovane. Le strade, anche
quelle più importanti, sono di terra, quasi mai asfaltate. Le auto, quasi
sempre vecchi modelli inglesi con la guida a destra, “sfrecciano” a 50 km/h
alzando scie di polvere.
Si può quindi
immaginare l’impatto che le piogge torrenziali del monsone hanno su un tale
paesaggio! Interi villaggi vengono regolarmente spazzati via, lasciando poi
solo un mare di fango.
Il regime dei monsoni è però
assolutamente imprevedibile ed instabile: addirittura può accadere che il
monsone estivo “salti” un’estate, causando una grave carestia e provocare
l’anno successivo devastanti inondazioni. Allo scopo di cercare di
prevedere l’intensità e la regolarità delle piogge monsone nel 1875
H.F.Blanford creò il dipartimento di meteorologia indiana.
Furono infatti gli Inglesi a
inventare la meteorologia perché i collegamenti con le loro colonie dipendevano
dal tempo sui mari del mondo.
Ora, grazie ai computer e ai
dati raccolti in questi 130 anni di osservazioni, è possibile fare previsioni
accurate ma sempre soggette alla proverbiale "volubilità del monsone".
Le abbondanti piogge
sciolgono la terra riarsa e quando c’è una pausa nel diluvio, di solito ogni 5
o 6 giorni, è il momento di seminare. E’ la radio che avverte i coltivatori del
sopraggiungere della pausa nelle piogge.
Il monsone non sempre garantisce
in tutto il paese ciò che ci si aspetta: se piove a sufficienza a ovest andando
incontro alle aspettative e alle speranze dei contadini di queste zone, ad est
ci saranno alluvioni. Se in un settore le piogge non cessano al momento giusto
il fiore del cotone viene distrutto, ma se smette troppo presto non ce la fa a
dischiudersi.
Ci si indebita per
acquistare pesticidi e concimi e un improvviso rovescio può diluirli e
disperderli. Si resta senza raccolto e non si riesce a pagare i debiti,
rischiando di perdere i campi.
Il monsone è il periodo
dell’ambiguità: porta doni e pertanto al suo arrivo è festeggiato con feste
gioiose e colorate, ma allo stesso tempo può provocare disastri e pertanto si
eseguono allo stesso tempo sacrifici propiziatori.
I cieli tempestosi e la
natura al massimo del rigoglio, tipici del periodo del monsone, hanno un
fascino particolare e sono soggetti privilegiati di affermati fotografi. Tra i
molti che hanno realizzato reportage con soggetto il monsone, il più famoso è
Steve McCurry (collaboratore del National Geographic) con il suo "Monsoon" (titolo originale, tradotto in italiano in "La stagione del monsone").
Nel semestre estivo oltre
agli squilibri di pressione originati dal monsone si hanno anche altri turbamenti
barometrici. Infatti nella zona equatoriale dell’oceano Indiano si creano aree
di alta pressione mentre sul continente si possono formare piccole aree di
pressione estremamente bassa. Ne nascono venti fortissimi, che spirano anche a
250 km/h verso le zone a bassa pressione creano ondate gigantesche di oltre 20
metri di altezza.
Il monsone autunnale, molto
meno piovoso, che spira in senso inverso, è anche più irregolare e causa a
volte rovinosi cicloni che si abbattono sulle coste del Golfo del Bengala e sul
delta del Gange-Brahmaputra.
Quando queste si abbattono
sulla costa vengono sommerse e sconvolte intere regioni. Nel 1970 ne fu colpito
il Bengala: vasti territori furono sommersi e causò la morte di oltre mezzo
milione di persone.
Salgari nel romanzo "Le due tigri" ricorda l’uragano del 1866:
Gli
uragani che scoppiano nella grande penisola indostana non hanno ordinariamente
che una durata brevissima, però la loro violenza è tale che noi europei non
possiamo farcene un'idea. Occorrono
pochi minuti per devastare delle regioni intere e rovesciare perfino delle
città. La forza del vento è incalcolabile e soli i grossi edifizi vi possono
resistere ed i piú colossali alberi come i pipal ed i fichi delle pagode. Basta
ricordare, per farsene una pallida idea, quello scoppiato nel Bengala nel 1866
che uccise ventimila bengalesi a Calcutta e centomila nelle pianure
costeggianti l'Hugly. Le
persone sorprese nelle vie della città venivano sollevate come piume e sbattute
contro le pareti delle case, i palanchini venivano trasportati in aria assieme
alle persone che vi si trovavano dentro; le capanne della Città Nera schiantate
di colpo, correvano per le campagne. Il
peggio fu quando il ciclone, cambiando direzione, respinse le acque dell'Hugly,
che si rovesciarono sulla città seco trascinando duecento e quaranta navi che
si trovavano ancorate lungo il fiume e che si fracassarono le une contro le
altre.
L'enorme
massa d'acqua, spinta dal vento, in pochi momenti spazzò via tutti i quartieri
poveri della capitale, trascinando ben lontani gli avanzi, ed atterrò portici,
palazzi, colonnati e ponti riducendo quella opulenta città in un mucchio
spaventevole di rovine. [E.Salgari "Le due Tigri", Donath 1904]
|
Altre
volte, nei suoi romanzi, Salgari descrive i terribili uragani che scoppiano nel
Golfo del Bengala, costringendo i suoi eroi ad affrontarne la furia e la
pericolosità. Ad esempio ne “La perla sanguinosa” i tre eroi del romanzo,
durante la loro fuga dal penitenziario delle isole Andamane verso Ceylon devono
affrontare un terribile uragano. Salgari lo descrive così:
L’oceano
intanto, spazzato e tormentato senza posa dalle raffiche che aumentavano di
violenza, montava sempre. Dei cavalloni enormi si rovesciavano sulla piroga, la
sollevavano passandovi sotto, poi la scaraventavano entro profondi abissi
mobili, dai quali non usciva che con molta fatica.
[...]
Ben presto una pioggia diluviale si rovesciò sull’oceano, aumentando l’orrore della
notte.
[...]
Mille
fragori paurosi intanto percorrevano l’oceano e la volta celeste: muggiti di cavalloni, urla e fischi del vento, scrosci di folgore. Il baccano talvolta
diventava così intenso che i naviganti non potevano più udirsi.
[...]
lo spettacolo che offriva in quel momento l’oceano era spaventevole. Ad ogni istante
delle montagne liquide si rovesciavano sulla piroga, sballonzolandola furiosamente,
fra un bagliore intenso che dava alle acque delle tinte livide, cadaveriche. [E.Salgari "La Perla Sanguinosa", Donath 1905]
|
Ancora ne “Le due Tigri”, il
rapimento di Surama da parte dei Thugs avviene durante un tremendo ciclone, che
Salgari così descrive:
Un lampo
abbagliante aveva spaccata in due la massa di vapori densi e gravidi di
pioggia, mentre un improvviso colpo di vento, d'una impetuosità straordinaria,
spazzava la jungla, facendo curvare fino a terra i giganteschi bambú e torcendo
i rami dei tara e dei pipal.
[...]
Larghe gocce d'acqua cadevano con un crepitio sinistro sui vegetali che coprivano l'immensa pianura, mentre lampi abbaglianti solcavano le nerissime nubi. [E.Salgari "Le due Tigri", Donath 1904]
|
Non
menziona mai, invece, il monsone vero e proprio, la pioggia fitta, torrenziale,
anche violenta in alcuni casi, ma di intensità e pericolosità molto inferiore
ad altri fenomeni atmosferici, quali appunto i cicloni e gli uragani inseriti
da Salgari tra le avversità affrontate dai suoi personaggi.
La cosa
non stupisce. Il monsone, infatti, è un evento fondamentale per la vita reale
di miliardi di persone, ma non estrinseca tutta la sua forza e pericolosità in breve
tempo. Risulta quindi poco adatto ad essere inserito nella trama di un romanzo
d’avventure dove è necessario, affinché risulti avvincente, massimizzare la
dinamicità dell’azione.