India: una breve introduzione storica.
Attualmente il
subcontinente indiano, quello che fino a prima dell’indipendenza del 1947 era
indicato come “le Indie”, è diviso in tre stati sovrani: l’Unione Indiana, Il
Pakistan e il Bangladesh. Questi ultimi due stati furono un’unica entità
politica fino a che, nel 1971, una sanguinosa guerra civile operò la suddetta
ripartizione.
L’India, nel
suo complesso, è stata teatro di una delle più antiche civiltà del mondo, si
parla del IV – III millennio a.C. Si trattò di una civiltà altamente sviluppata
(costruzioni in pietra, rete idrica, sviluppo dell’artigianato) che fiorì, come
altre (Egiziana e Mesopotamica), lungo il corso di un fiume, l’Indo. Da ciò la
denominazione di “Civiltà dell’Indo” o “Civiltà di Harappa e/o Mohenjo Daro”,
dai nomi dei due principali siti abitativi.
Nonostante
questo primato e nonostante che la cultura indiana, la sua filosofia, le sue
tecniche di cura, con la medicina ayurveda, siano ancor oggi sviluppatissime,
l’India e la sua storia non costituiscono minimamente argomento di studio nelle
nostre scuole, rigidamente caratterizzate da una visione eurocentrica del
mondo.
I giovani si accorgono che esiste un
continente indiano solo allorquando qualche condottiero europeo cerca di
conquistarne una parte o quando in epoche ancor più recenti l’Europa ne sfrutta
le risorse commerciali.
Intorno al
2000-1500 a.C., quando la Civiltà dell’Indo era ormai in declino, in India si
stanziarono le tribù centro-asiatiche degli ARI, che andarono a sovrapporsi
alle popolazioni locali, dette DRAVIDICHE.
Con
l’espandersi verso est e verso sud degli Ari a scapito dei Dravidici e la
conseguente fusione delle due culture, nasce il prototipo della civiltà
indiana, basata su una rigida suddivisione in classi, dette caste. Le caste principali
erano quelle dei brahamani, dei guerrieri, degli artigiani e dei contadini e
fra di esse fu la prima ad occupare il vertice della piramide sociale.
Come
reazione alla crescente rilevanza sociale e religiosa della classe dei
brahamani nacquero le “sette eretiche” del Buddhismo e del Jainismo (VII – VI
secolo a.C.). Mentre il secondo restava confinato all’interno dell’India, il
primo, grazie al proselitismo dei propri membri, si ramificò all’estero ed
ancor oggi è una delle religioni più diffuse al mondo.
All’epoca
l’India subì due invasioni: quelle dei Persiani di Dario e dei Greci di
Alessandro Magno. Ambedue però furono limitate alla sola zona nordoccidentale e
non influirono assolutamente sull’assetto politico dell’India, ma solo sulla
cultura.
Infatti,
dalla fusione di elementi occidentali ed elementi orientali nacque una
particolare forma d’arte, detta del Gandhara, dal nome della zona del nord
dell’India dove ebbe la massima espressione e fioritura.
Si
uscì per la prima volta dalla frantumazione politica in una moltitudine di
staterelli, almeno per quanto riguarda l’India del nord, nel IV secolo a.C.
All’epoca la dinastia dei MAURYA organizzò, dalla capitale PATALIPUTRA
(l’odierna Patna) un impero militare e burocratico, duro ed efficiente, che
raggiunse il suo massimo splendore con il regno di ASHOKA.
Questo
sovrano favorì il buddismo elevandolo al rango di religione di stato e
favorendone lo sviluppo anche al di là dei confini.
Alla
disgregazione dell’impero Maurya (II secolo a.C.) seguirono secoli di
instabilità che terminarono nel 319 d.C. quando, con CHANDRAGUPTA II, si
affermò e sviluppò l’impero dei GUPTA. Questa
dinastia, la cui capitale era ancora Pataliputra, estese il proprio dominio a
tutta l’India settentrionale; questo periodo storico è considerato l’epoca
aurea dell’India.
I
Gupta diedero grande impulso alle arti, basta ricordare le costruzioni di
Ajanta, Ellora, Sanchi e Sarnath. Con tale dinastia il buddismo perse, almeno
in India, la sua forza propulsiva ed espansiva e fu di nuovo sostituito
dall’induismo.
Nel
VI secolo d.C. anche questo periodo felice, in cui fiorirono gli studi di
astronomia e matematica e le arti in genere, ebbe termine. Nel nord si tornò
alla frammentazione politica spinta mentre fu nel sud che si svilupparono
poteri forti, tra cui ricordiamo i regni dei Chola, una potenza anche navale
che arrivò a colonizzare vaste zone del sud-est asiatico, e dei Pallava.
Sotto
questi regnanti l’arte monumentale ebbe grandissimo sviluppo e nelle loro
principali città, tra cui ricordiamo Madurai, Kanchipuram, Mahabalipuram,
Tanjore, furono realizzati monumenti che ancora oggi destano l’ammirazione dei
visitatori.
Al
nord, intanto, si entra nella seconda grande fase, quella delle invasioni musulmane.
I primi timidi tentativi datano VI – VII secolo, l’inizio delle incursioni in
grande stile è dell’XI secolo (MAHMUD DI GHAZNA) ma è il XII secolo che vede il
consolidamento definito della penetrazione islamica, con la creazione del
Sultanato di Delhi.
I
secoli seguenti vedono un continuo incremento della penetrazione musulmana
anche se il potere ed il controllo del sultano scemava a mano a mano che ci si
allontanava dalla sua capitale; inoltre tale espansione non riuscì mai a
raggiungere in maniera stabile il sud del paese dove fece da baluardo
insuperabile per secoli il potente regno indù di VIJAYANAGAR, con la splendida
capitale HAMPI.
Il
1525 è un anno fondamentale per la storia dell’India: BABUR, lontano
discendente di Tamerlano e Gensis Khan, marciò, dalla propria capitale Kabul,
in India sconfiggendo a Panjpat il sultano di Delhi. Viene così fondata la
dinastia dei MOGHUL che per quasi due secoli governerà su India settentrionale
e centrale e verrà ricordata non solo per la forza pur formidabile dei suoi
eserciti ma anche per la nuova età dell’oro per architettura, arte e
letteratura che realizzò. Per tutti basta ricordare il Taj Mahal.
Il
potere della dinastia fu consolidato dal terzo imperatore, AKBAR, che inaugurò
una politica di tolleranza religiosa integrando anche gli indù nella guida
dell’impero, nominandone numerosi consiglieri, generali e burocrati.
Tale
politica di apertura agli indù fu, in linea di massima, un cardine dell’azione anche
dei successori, fino all’ultimo grande imperatore Moghul, AURANGZEB, che al
contrario fece dell’intolleranza religiosa il proprio cavallo di battaglia.
Aurangzeb estese, a prezzo
di sanguinosissime e dispendiosissime, in uomini e denaro, campagne militari, i
confini dell’impero anche a buona parte del sud, dove distrusse migliaia di
templi indù. Ma tale politica dissanguò le casse dello stato e assottigliò in
maniera irreversibile le forze dell’esercito imperiale.
Alla sua morte (1707)
l’impero nella sostanza si dissolse, fiaccato dalle lotte con gli eserciti
della Confederazioni dei Maratti, una bellicosa popolazione guerriera
dell’India centrale. La potenza imperiale si restrinse sempre più, limitandosi,
e a volte solo in facciata, alle zone intorno a Delhi.
Nel frattempo,
parallelamente alle fortune dell’impero Moghul, si era consolidata la presenza
europea nel subcontinente. Il primo contatto data 1498, quando il portoghese
VASCO de GAMA approda con le sue navi nel porto di Calicut, sulla costa del
Malabar.
I Portoghesi fondarono
numerose enclave commerciali, imitati da Olandesi e Francesi e,
successivamente, dagli Inglesi. Con l’affacciarsi degli Inglesi sulla scena
commerciale e politica dell’India mutò in maniera sostanziale la strategia: non
più solo creazione di insediamenti per commerciare ma una vera e propria opera
di conquista territoriale.
Strumento della affermazione inglese in India fu la
“Compagnia Inglese delle Indie Orientali”, un’organizzazione commerciale a cui
la Corona inglese aveva concesso il monopolio del commercio britannico in
India. Ben presto la Compagnia si trasformò in uno stato nello stato, con
propri eserciti e funzionari che amministravano i territori conquistati.
Inglesi e Francesi si
fronteggiarono, come già in Europa e in America, anche in India, intervenendo e
sfruttando le rivalità esistenti trai vari regni indiani, sia indù sia
musulmani. La vittoria arrise alle truppe della Compagnia e successivamente il
dominio inglese, grazie a nuove vittoriose campagne militari contro la
Confederazione dei Maratti, lo stato del Mysore e i Sikh del Punjab, si estese,
direttamente o indirettamente, a tutto il territorio indiano.
Nel 1857 i soldati indigeni
della Compagnia (i sepoy) si ribellarono ed il potere britannico vacillò. La
duplice struttura militare inglese, una della Corona e una della Compagnia,
parallele ma indipendenti l’una dall’altra, aveva mostrato tutte le sue
contraddizioni, rendendosi difficilmente gestibile e poco efficiente. L’anno seguente la rivolta
era sedata ma la conseguenza fu che la Corona inglese decise di assumere
direttamente la responsabilità del governo dell’India, liquidando la gloriosa
ma ormai obsoleta struttura della Compagnia delle Indie.
Il potere britannico durò
fino a dopo la II Guerra Mondiale quando, nel 1947, dopo decenni di richieste
da parte dei movimenti indipendentisti, capeggiati dalla leggendaria figura di
Gandhi, gli Inglesi lasciarono l’India. Il territorio indiano fu diviso in due
stati indipendenti, l’Unione Indiana, a maggioranza indù, e il Pakistan a
maggioranza musulmana. Quest’ultimo era geograficamente costituito da due parti
separate da migliaia di chilometri.
La Spartizione non fu
indolore ma causò milioni di morti e lasciò ferite, da ambo le parti, che non
si sono ancora rimarginate. Infatti, anche al giorno d’oggi, a più di
cinquant’anni dall’addio degli Inglesi e a trenta dalla guerra civile che ha
visto staccarsi dal Pakistan la sua parte orientale, dando vita allo stato indipendente
del Bangladesh, i rapporti tra India e Pakistan sono sempre in bilico e fanno
temere nuovi sbocchi militari.