Induismo
di
Francesca "Asia" Rossi

 

“Rinuncia al mondo e, avendo rinunciato ad esso, godine, ma non provare piacere di tale godimento. Solo cosi potrai raggiungere quella liberazione da questo mondo di continua rinascita fino a trovare una pace infinita in Brahman o in Dio; poiché la ricerca della verità non ha mai fine”.

Mahatma Gandhi



Il termine “induismo” è un termine di origine persiana che designa la religione dell’India delle fasi vedica, brahmanica e induistica vera e propria (alcune volte, anzi, si riferisce solo a quest’ultima). L’induismo è una delle più antiche religioni del mondo, con un patrimonio religioso che risale alla metà del secondo millennio a.C.. Non è solo un sistema religioso, ma anche sociale e un vero e proprio modo di vita. Esso ha il suo fulcro in una indagine ed esperienza del mistero divino e nell’aspirazione a sfuggire al ciclo delle rinascite. Non vi sono, però, affermazioni dogmatiche su Dio.

Le scritture induiste si dividono in due categorie: sruti (rivelazione) e smrti (tradizione).
La prima comprende i Veda, cioè parola eterna, (sabda), udita da sapienti di immemorabile antichità e messa per iscritto in raccolte di inni e preghiere (Samhita), prescrizioni rituali (Brahmana), “Testi della Selva” (Aranyaka) che culminano nelle Upanisad.
L’induismo professa l'infallibilità dei Veda, in quanto espressione dell’Assoluto o "messaggio divino" e li considera la prima rivelazione.
La smrti è invece una rivelazione secondaria, a causa della sua mescolanza con la verità umana; essa comprende aforismi (Sutra), antiche leggende (Purana); poemi epici (Mahabharatae Ramayana).
La Bhagavadgita, che fa parte del Mahabharata, è tuttavia ritenuta equivalente ai Veda.
A questa vasta letteratura religiosa sono comuni alcune credenze, accettate da tutti gli indù come universalmente valide, sintetizzate nei termini: dharma, brahman, samsara, moksa.
Dharma racchiude i concetti di legge, ordine, regole di condotta, diritti, doveri, moralità e religione. E’ ciò che mantiene l’intero universo nell’ordine cosmico e l’umanità nell’ordine morale, in conformità della legge morale.
Brahman designava in origine “il sacro”: una prescrizione, un canto, un'azione sacrificale. Da quando il sacro, manifestato nel rituale sacrificale, fu considerato il vincolo che tiene unito l’uomo all’eterno, brahman venne ad assumere il significato di principio immutabile ed eterno, sia al di là di spazio e tempo, sia nella sua manifestazione nel mondo empirico. In epoca vedica brahman “riempie gli dei”, li fa crescere. Infatti nel RigVeda questo termine implica ciò che è massiccio, stabile, ciò che conferisce forza alle formule rituali.
La legge del karman (azione) considera ogni azione l’effetto di una causa e a sua volta causa di un effetto. L’intero processo è chiamato samsara, il ciclo di nascita e morte, al quale ogni esistenza fenomenica è soggetta.
L’esistenza empirica è costretta nelle catene del tempo e del desiderio: il desiderio di fare e di vivere porta necessariamente alla rinascita; il tempo è concepito come una ruota che gira e che ritorna sempre al punto di partenza, senza scopo né redenzione. Sfuggire a questa azione di tempo e desiderio è possibile con la liberazione (moksa), che si realizza mediante la disciplina morale, la conoscenza e l’amore di Dio.
La fase più antica dell’induismo è rappresentata dalla religione vedica (1500 circa a.C.).
Gli indiani del periodo vedico adoravano divinità ritenute originariamente mortali, che si credeva avessero conquistato l’immortalità mediante l’ascetismo o bevendo il succo divino del soma. Benché gli dei vedici fossero considerati diversi per carattere e poteri, era frequente la pratica di invocare nel culto l’uno o l’altro dio come il supremo e quasi l’unico (enoteismo). Questa pratica portava ad identificare un dio con un altro e addirittura con tutti. Uno è colui che i saggi chiamano con molteplici nomi.
Nonostante il carattere ritualistico e ieratico, la religione vedica esprimeva sentimenti di rapporto personale tra divinità e fedeli, come il timore per la collera divina, la devozione interiore, la fede nella benevolenza del Dio. Nella sua fase brahmanica o bramanesimo (800 a.C.) la religione vedica si sviluppa in un ricco culto ritualistico e in un complicato sistema di sacrifici.
Quando il sacrificio divenne l’atto più importante della religione, gli dei vedici persero rilevanza e fu loro attribuita l’asserzione di aver raggiunto l’immortalità attraverso il sacrificio. I sapienti brahmanici miravano a riprodurre nei loro atti e nelle meditazioni l’ordine cosmico di cose ed eventi, cosi da assicurare l’ordinato funzionamento del cosmo e del cerimoniale religioso, nella persuasione che l’ordine umano, l’etica e il comportamento sociale interagiscono con l’ordine cosmico. Gli inni più recenti del Rigveda mostrano l’avvio della ricerca della realtà suprema che sta all’origine del mondo.
Nello stesso tempo l’idea di brahman viene ad assumere il significato di Potenza prima e si sviluppa nell’idea di Assoluto o spirito universale (atman). Infatti Atman inizialmente sembra significare “soffio vitale” e diventa poi essenza delle cose e viene distinto da tutto ciò che è contingente, cioè maya, apparenza illusoria. La religione si concentra sul concetto di eterno, immortale, realmente reale.
Le Upanisad incorporano varie tendenze dottrinali e religiose: alcune di esse pongono l’ultimo fondamento oggettivo di ogni esistenza con il soggetto ultimo e principio di ogni coscienza, l’io più intimo dell’uomo: nella realizzazione dell’identità dello spirito individuale con lo spirito universale, sta la liberazione dalla rinascita. Le Upanisad più recenti mostrano un orientamento ateistico: una chiara affermazione degli attributi trascendenti e personali di Dio; si pensi a Rudra Shiva, il supremo signore, l’onnipotente, l’onnisciente dominatore dell’universo. Egli crea e opera nel mondo attraverso la sua sakti (potenza), ama la rettitudine e odia il male.
Buddismo e Giainismo, benché affermatisi nel VI sec. a.C. come movimenti di riforma all’interno dell’induismo, rifiutarono ben presto l’autorità dei Veda e conservarono solamente la dottrina del brahman e della rinascita escludendo altre credenze induiste come atman o brahman.
Per questi motivi, tali sistemi filosofico-religiosi furono ritenuti non ortodossi dagli indù. La loro influenza sull’induismo consistette soprattutto nell’impulso alla formazione di ordini monastici e nella pratica della non violenza, sebbene l’influsso del buddismo sulla filosofia indiana fosse evidente fin dal tempo delle Upanisad.
La Baghavadgita (200 circa a.C.) è il coronamento del teismo indiano. In questo poema Dio, identificato con Krishna, è creatore, conservatore e distruttore dell’universo. E’ trascendente, ma dimora nel cuore degli uomini come l’anima di tutte le cose; tutte le cose sussistono in Krishna, ma egli non si esaurisce in esse. Non è un assoluto impersonale, ma ama gli uomini come un padre, un compagno, un amato.
Nel seno dell’induismo esistono tre grandi sette: visnuismo, shivaismo, shaktismo.
Le prime due, più importanti, esaltano Visnu e Shiva, rispettivamente, come il dio supremo, personale, benigno dal quale dipendono tutte le altre divinità. Lo shaktismo ha una stretta affinità con lo shivaismo, poiché la dea del culto, la Shakti, secondo la mitologia indù è la moglie di Shiva. Benché shivaismo e visnuismo ammettano l’adorazione di dee che sono l’elemento femminile della divinità, è nello shaktismo che il culto della dea madre si sviluppa sino alla prevalenza del principio femminile.

I Sistemi filosofici

I sistemi filosofici indiani comprendono due gruppi: sistemi ortodossi e sistemi eterodossi. Appartengono a questi ultimi buddhismo e giainismo.
I sistemi ortodossi, che riconoscono l’autorità dei Veda, sono: nyaya (ragionamento corretto, logica); vaisesika (sistema di categorie dell’essere), samkhiya (dottrina professante il dualismo di spirito e materia, yoga (metodo di autodisciplina spirituale), mimamsa (indagine sul rituale vedico), vedanta (letteralmente: la fine dei Veda).
Il Vedanta si basa sulle Upanisad ed è una delle filosofie più largamente seguite e da esso provengono le principali dottrine induiste. Nella interpretazione ateistica, invece, il Vedanta sostiene che la realtà suprema è Dio, creatore, conservatore e distruttore dell’universo. Dio è trascendente, ma anche immanente sia nel mondo, sia nelle anime e dimora nel “loto” del cuore. Soltanto conoscendolo e amandolo l’Io si libera dalla schiavitù della trasmigrazione e raggiunge l’unione con l’Essere Supremo.

Le Feste

Il rituale indù deriva dai sacrifici vedici (il maggiore dei quali era il sacrificio del cavallo). I sacrifici, eseguiti con lunghi cerimoniali che culminano nelle offerte fatte al fuoco sacro, hanno lo scopo di stabilire una comunicazione con il mondo divino per rendere omaggio agli dei e assicurare benessere, pioggia, luce, discendenza, ecc. Gli dei benevoli devono essere propiziati perché continuino la loro opera di bene presso gli uomini; gli dei malevoli devono essere placati perché si astengano dal fare il male. In genere l’offerta consiste in qualche prodotto della terra o in parti di animale (di norma di un capro). Le offerte vengono deposte sopra una lettiga sacrificale o consegnate alla fiamma sacra sull’altare. Appunto perché la fiamma sacra è il mezzo attraverso il quale le offerte salgono agli dei, il dio-Fuoco (Agni) è divenuto il mediatore tra dei e uomini.
Il significato del rito sacrificale è quello di cedere una parte delle proprie sostanze al dio, sia pure, in parte, per uno scopo egoistico: ma questa offerta deve essere accompagnata da fede profonda (sraddha) e sincerità.

Nella forma domestica i rituali indù sono più semplici e consistono in una serie di osservanze affidate ad un capo dotato di rispettabilità e pietà (di solito un bramano). Tali osservanze comprendono obblighi rituali (samskara), la cerimonia d’iniziazione, doveri propri del capofamiglia (allestimento del focolare domestico, riti del matrimonio, offerte giornaliere agli dei ecc.). Questi atti appartengono al dharma nel senso più esteso della parola e costituiscono il costume, il diritto civile e la legge morale.
In epoca vedica per poter celebrare i propri riti domestici, l’individuo singolo doveva sottomettersi ad un lungo periodo di istruzione da parte di un bramano, un’istruzione che iniziava negli anni precedenti la pubertà e che in qualche modo sostituiva ciò che presso i popoli primitivi è l’iniziazione (infatti dopo averla subita l’individuo diventava dvija, cioè “nato due volte”, quasi a ricordo della morte e rinascita rituali, proprie delle iniziazioni).
Inoltre, anche il rituale domestico era definito e prescritto dai sacerdoti; non soltanto, ma anche il focolare domestico intorno al quale tutto il rituale si concentrava, doveva essere acceso da un bramano. Dunque il rituale domestico era condizionato dall’opera sacerdotale anche nelle più modeste forme quotidiane. La pratica della preghiera (japa) è osservata da tutti gli indù; è una recitazione mentale o orale e la sua efficacia è proporzionale all’intensità e alla concentrazione. Cantare le gesta degli dei libera dalla rinascita; narrare la storia delle loro azioni e combattimenti cancella le colpe e dona felicità.
La preghiera fondamentale (mantra) è la sillaba sacra OM o AUM, le cui tre lettere sono considerate il brahman(spirito) dell’Assoluto, la sostanza di ogni esistenza, lo scopo della vita.
Il culto delle immagini riveste un ruolo enorme nella storia dell’induismo. L’idolo è considerato solo un segno della realtà suprema, un simbolo della divinità. Ovunque vi sia splendore, bellezza, amore, lì è la divinità. Per la maggior parte dei devoti, l’immagine è un oggetto a sostegno dell’adorazione, un aiuto per esplicare la devozione come tutti gli elementi esteriori di pratica religiosa. Quando l’immagine è insediata nel santuario, si compie il rito consacratorio di “suscitare il soffio” (cioè la vita) e “aprire gli occhi”. L’adorazione dell’idolo consiste nell’ungerlo, nel vestirlo, nell’ornarlo e profumarlo, nell’offrirgli cibi e bevande e nel circondarlo di fiori e luci. Talvolta il simulacro del dio, posto su grandi carri, viene fatto uscire dal recinto del tempio, portato in processione (yatra) e infine immerso in un fiume o lago sacro.
A un livello di religiosità più spirituale l’uso degli idoli e dei simboli sacri viene messo da parte durante la meditazione, che viene cosi praticata senza supporti materiali al fine di riportare alla coscienza la natura incorporea della divinità e rendendola vivida e reale quanto un simbolo.
Oltre ai pellegrinaggi ai luoghi sacri come Benares o Dvarka, vi sono molte feste religiose che seguono un preciso calendario. La più importante è Durga Puja in ottobre-novembre: l’immagine della dea Durga è trasportata su un carro decorato, mentre fanciulle e donne le gettano riso, fiori e acqua. La Sivarati si celebra solennemente in gennaio-febbraio tra i seguaci di Shiva.
La principale festività tamil è Pongal (gennaio-febbraio), durante la quale si offre alle varie divinità riso bollito nel latte e si celebra il rito dell’aspersione, con acqua consacrata, di vacche e tori ornati di ghirlande: in tale occasione il bestiame è lasciato in libertà perché anche a esso possano venire presentate le immagini degli dei.

Le “vie” di salvezza

Una delle vie di salvezza è la disciplina dell’atto disinteressato, che consiste nell’agire con assoluto distacco, perché solo ciò può liberare dalla rinascita. La retta azione porta al distacco, che a sua volta conduce ad una più alta perfezione spirituale. L’ignoranza è la causa dell’attaccamento al mondo, dunque è necessaria per la salvezza la conoscenza intuitiva della vera realtà dell’Assoluto e dell’Io (“via della conoscenza”).
Nelle correnti non dualistiche il raggiungimento dell’identità con l’Assoluto rappresenta il fine ultimo della religione. Lo yogacome concentrazione mentale è il mezzo migliore per realizzare questa identità (“via della concentrazione”). Nella corrente ateistica, invece, la consapevolezza della dipendenza dell’Io da Dio rappresenta la meta finale che si raggiunge con la bhakti (amore di dio), cioè con la partecipazione affettiva del devoto a tutto ciò che viene dalla divinità (“via della devozione”).



L’uomo e la società

L’induismo attribuisce alla vita umana quattro scopi: utile (artha), piacere (kama), rettitudine (dharma) e liberazione dalla catena delle rinascite (moksa). Quest’ultimo è lo scopo supremo dell’uomo al quale gli altri sono subordinati. Utile e piacere sono beni solo in quanto conducono all’osservanza della legge morale (dharma) e quindi alla liberazione (moksa). La virtù consiste nel condurre una vita retta, vivendo in pace e in armonia con se stessi e con la società, in conformità ad un triplice ordine di doveri: quelli di casta, quelli legati ai diversi stadi della vita e quelli comuni a tutti. La società indù fin da tempi antichi è divisa in quattro caste: sacerdoti, guerrieri, contadini e artigiani, schiavi. Soltanto la casta dei sacerdoti ha carattere essenzialmente religioso. Essi sono custodi e amministratori del potere divino ed esecutori del sacrificio. Ma anche le altre classi partecipano in misura diversa agli obblighi rituali. La quarta classe esiste solo per servire le altre tre e fino ad oggi è rimasta esclusa da ogni status religioso. L’investitura religiosa, infatti, appartiene solo ai “nati due volte” (dvija), cioè ai membri delle caste superiori.
All’epoca dei i>Veda le forme della cultura materiale degli Indù dovevano essere semi-primitive. Essi erano agricoltori, allevatori di bovini e di cavalli, guerrieri e conquistatori, ma si raggruppavano in villaggi più o meno modesti e privi di costruzioni importanti. Non possedevano templi e nemmeno luoghi sacri naturali (mentre più tardi e sino ad oggi entrambi abbonderanno in India).
La maggior parte delle regole di casta, divenute ben presto ereditarie, sono basate sul concetto di separazione, che deriva la sua sanzione dai concetti di puro e impuro.

L’induismo moderno

Con l’arrivo dei missionari cristiani l’induismo subì l’influenza del cristianesimo, anche per effetto dell’ampia tolleranza professata verso tutte le credenze e grazie alla sua notevole capacità assimilatrice: all’induismo è infatti estranea l’idea di una rigida ortodossia e per esso tutte le vie conducono ad un’unica meta, che è Brahman o Dio. I movimenti di riforma del secolo XIX furono caratterizzati da serietà morale e impegno sociale. Il Mahatma Gandhi risvegliò le coscienze di fronte a scandali come quello degli intoccabili, facendo appello ai valori propri dell’induismo stesso. Egli pose l’accento sulla rinuncia, la non violenza e la costante ricerca della verità ovunque essa si trovi. Gandhi diceva: ” Per me dio è vita e amore; Dio è etica e moralità; Dio è assenza di paura; Dio è fonte di Luce e di vita ed è al di sopra e al di là di queste; Dio è Coscienza”.

Bibliografia

- “Enciclopedia Europea” Garzanti
- “Introduzione alla storia delle Religioni” di Angelo Brelich (Edizioni dell’Ateneo)
- “Antica India” di Marilia Albanese (Ed. White Star)
- “Le Religioni-India” (Ed. Laterza)

E.Salgari
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della "Tigrotta" Francesca "Asia" Rossi

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