India Danzante
di
Francesca "Asia" Rossi



Affascinante, idealizzata, impressa per sempre nelle pagine dei più bei libri ad essa dedicati, la civiltà indiana è lo specchio di una cultura, di un mondo che da sempre attira gli occidentali, ma ancora custodisce gelosamente molti dei suoi segreti.
La danza è uno di questi; complesse coreografie scandite da ritmi che non si lasciano imprigionare nei pentagrammi musicali occidentali e non trovano alcuna corrispondenza nei semitoni a noi tanto familiari.
I movimenti del corpo non solo accompagnano la musica, ma la completano. Ogni gesto ha un significato ben preciso. In questa maniera la danza non è più solo divertimento, ma anche evasione, rituale, suggestione, forma di apprendimento mitico - religioso.
Infatti secondo il mito indù l’arte dello spettacolo sarebbe stata ideata da Brahma al quale gli dei si erano rivolti affinché elaborasse un tipo di divertimento istruttivo, ma allo stesso tempo in grado di procurare gioia e diletto all’udito e alla vista, dunque accessibile a tutti gli uomini.
Brahma si servì dei Veda per perseguire il suo scopo: trasse la parola dal Rigveda, la musica dal Samaveda, la mimica dallo Yajurveda e i sentimenti dall’Atharvaveda.
Era stato così completato un quinto Veda, il Natyaveda o Veda dell’arte drammatica, in grado di condurre l’uomo alla salvezza.
In seguito del mitico Natyaveda sarebbe stato realizzato un adattamento per i mortali ad opera di Bharata, autore del Natyashastra, il Trattato della danza, che raccoglieva i principi fondamentali della rappresentazione scenica e delle arti ad essa pertinenti: la danza, la musica, la mimica e l’espressione verbale.
Infine Brahma istruì le Apsaras o ninfe celesti poiché Bharata riteneva di fondamentale importanza anche la partecipazione femminile. Nacque così il teatro indiano, le cui prime manifestazioni sembrerebbero risalire al II millennio a.C. ai dialoghi e alle danze effettuate durante i sacrifici.
Se il teatro fu dono di Brahma, l’arte della danza venne regalata agli uomini da Shiva, che insegnò al suo devoto Tandu la danza di manifestazione e dissoluzione dell’universo che il dio eternamente eseguiva e che da quel momento fu nota come Tandava.
Tandu, a sua volta, la trasmise a Bharata e questi la diffuse tra gli uomini, mentre Parvati, moglie di Shiva, aveva addestrato le donne ad eseguire la sensuale Lasya.
Il Natyashastra evidenzia l’esistenza di due generi di danza: uno espressivo che rappresenta l’eterna lotta tra demoni e dei nel cuore dell’uomo e utilizza un rigoroso vocabolario di gesti, Abhinaya e un altro puro, Nritta, nel quale l’esecutore esprime le proprie emozioni attraverso coreografie più libere.
Il ritmo battuto dai piedi scandisce le varie posizioni del corpo, che hanno lo scopo di comunicare sentimenti profondi.
Gli stili antichi sono confluiti nel Bharatanatya e nell’Orissi, rivisitazioni moderne delle forme classiche, in cui l’insegnamento spettava agli uomini e l’esecuzione alle donne. Il Bharatanatya si ispira alle danze sviluppatesi nel Tamil Nadu ed eseguite nei templi dalle Devadasi, le “ancelle del dio”, fanciulle istruite nella danza e nelle arti raffinate.
L’Orissi eredita invece la tradizione della regione dell’Orissa, dove, nel tempio Konarak e in altri edifici sacri danzavano le Mahari, che avevano compiti affini a quelli delle Devadasi. Le sculture visibili nel tempio di Konarak hanno immortalato le principali posizioni dell’antica danza in modo tanto preciso da costituire un punto di riferimento per gli studiosi e gli artisti quando, agli inizi del Novecento, si decise di recuperare queste forme espressive in procinto di scomparire.
L’accompagnamento musicale era affidato alla vina, uno strumento a corde predecessore del sitar, al tamburo, ai cembali e agli strumenti ad ance; una voce maschile o femminile narrava cantando l’evento mitico che veniva mimato con la danza espressiva.
Anche la musica aveva una origine soprannaturale, poiché era connessa al nada, vibrazione primordiale diversificatosi poi in ulteriori risonanze che rappresentavano i vari stati della materia.
I mantra, sillabe dal valore esoterico, rientravano nello stesso ambito metafisico. La musica era costituita da tre elementi fondamentali: il tala, battito o scansione, da intendersi come “struttura” in cui si sviluppano il ritmo e la melodia; il raga, la melodia; il rasa, essenza del godimento musicale.
L’improvvisazione, seppur importante nella musica indiana, era regolata da norme precise che, per esempio, dividevano i raga in maschili e femminili e li associavano a diversi stati d’animo.
La danza diviene “preghiera in movimento”, espressione dell’equilibrio cosmico. Contrappone la bellezza perfetta ed eterna alla imperfezione del mondo terreno. Il valore dell’artista indiano si misura sulla sua capacità di trasformare le emozioni da lui provate in musica.
Egli può interpretarle, ma deve mantenere sempre un equilibrio tra i sentimenti che prova e le regole musicali e ovviamente culturali. Si può dunque parlare di individualismo, ma non di produzione arbitraria. Infatti lo scopo primario della danza e della musica è quello di coinvolgere chi guarda e ascolta, indurre nello spettatore le emozioni che hanno ispirato l’artista. In questa maniera le sensazioni umane vengono sublimate.
L’animo umano viene così trasportato dove non esiste né il tempo né lo spazio, in una dimensione irreale e magica in cui può godere dell’arte per un istante che sembra eterno.

Glossario:

  • Abhinaya: danza mimica
  • Apsaras: ninfe celesti
  • Brahma: dio creatore della triade di divinità chiamata Trimurti, di cui fanno parte anche
  • Vishnu e Shiva, primo degli dei, creatore dell’universo, guardiano del mondo
  • Devadasi: ancella del dio, ovvero danzatrice sacra
  • Lasya: danza di Parvati
  • Mahari: danzatrice sacra dell’Orissa
  • Mantra: formula sacra esoterica
  • Nada: vibrazione, fremito protettivo dell’universo
  • Natyashastra: Trattato della danza
  • Nritta: danza pura
  • Parvati: consorte di Shiva
  • Raga: melodia maschile (Ragini: melodia femminile)
  • Rasa: succo, quintessenza dell’emozione estetica
  • Shastra: testi tradizionali
  • Shiva: terza divinità della Trimurti, dio della distruzione cosmica, la quale è associata alla rigenerazione
  • Sitar: strumento a corde
  • Tala: unità di misura per le statue,anche battito,scansione ritmica
  • Tandava: danza di dissoluzione cosmica del dio Shiva
  • Veda: testi sacri considerati la verità divina emessa dal dio Brahma. Essi sono: Rigveda, Yajurveda, Samaveda e Atharvaveda. I primi tre sono chiamati "il Triplice Veda" e sono liturgici e pubblici. L’ultimo è "intimo" e non liturgico
  • Vina: strumento musicale a corde

Bibliografia:

  • Antica India. Dalle origini al XIII secolo d.C., di Marilia Albanese, edizione White Star 2004
  • Enciclopedia Europea, edizione Garzanti
  • Dizionario Universale dei Miti e delle Leggende, di Anthony S. Mercatante, edizione Newton Compton

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Testi e informazioni per questo articolo a cura
della "Tigrotta" Francesca "Asia" Rossi

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