domenica , 05 novembre 2000
Salgari, che nella morte trovò l' eroismo di Yanez

Alvi Geminello

NON PARALLELE Salgari, che nella morte trovò l' eroismo di Yanez di GEMINELLO ALVI Inutile cercare Mompracem negli atlanti recenti. L' isola di Sandokan compare al largo del Borneo solo nelle carte più antiche, che però ne variavano il nome: Monpiace ni, Monpiacen, Mon Pracem. Era nell' atlante di Stieler del 1830, ma sparì dalla carta delle Compagnie delle Indie Orientali di James Horsburgh. Al geografo Van den Dungen Gronovius bastò nel 1835 segnalare un isolotto anonimo a mezza rotta tra le Co mades e le Tre Isole, annotato anche dal Barone Melvill de Carnbée nel 1848. Eppure Emilio Salgari navigò quei mari o almeno lo pretese. Giacché ai suoi posteri risulta solo ch' egli a diciott' anni venne promosso al secondo corso di capitano di gran cabotaggio, che però non frequentò, per imbarcarsi poi tre mesi sulla Italia Una da mozzo, lungo la Dalmazia. E tornarsene a Verona, dove la sua inquartata contro tempo venne premiata con medaglia d' argento. Schermitore, nonché ginnasta, riguardò p ure il mondo dall' alto d' un biciclo. Era infantile e buono. Ma visitò nell' 81 quel Congresso Geografico Internazionale che si tenne al Palazzo reale di Venezia, ammirandovi le suore lascivamente denudate dal Mahdi, e la Rafflesia gigantea, e le ca rabine dell' esploratore Gessi. Quasi n' ebbe la febbre. E comunque bastò per convincersi d' essere stato a Ceylon, nel Borneo, e a Sumatra. Dopodiché Sandokan il vendicatore che «più d' una volta era stato visto bere sangue umano e, orribile a dirsi , succhiare le cervella dei moribondi» insanguinò centocinquanta puntate del giornale Nuova Arena. Il basso Salgari dagli occhi miti emanava complicità, ma aveva fronte di melanconico e mascella collerica. Perciò non digerì «le pubbliche ironie sull' essere io capitano di mare» di tal Biasioli, come lui giornalista. E lo sfidò a duello. Salgari era di quei moralisti che detta una bugia la credono vera. Con mulinello di testa ferì il rivale al naso. I padrini verbalizzarono non potersi continuare lo scontro. Invece Salgari avrebbe voluto; affettando l' aria gridava: «lo voglio uccidere, lo voglio uccidere, ... lo ho giurato a mia madre». Seguì sull' Arena un settennio d' articoli senza marajà: rendiconti del prezzo dei cavoli o sfoghi patrio ttici. Fino alle critiche teatrali del 1889 in cui descrisse l' attrice, ventiduenne minuta, Ida Peruzzi: «plauditissima e briosa artista di molto sentimento». E iniziò visionario corteggiamento: «Tutte le follie di cui uomo è capace le ho provate, v issuto tra le tempeste degli oceani ove l' anima diventa selvaggia...». Né mancarono «le notti in cui dei pensieri mi perseguitano come se la mia anima fosse accessibile ai rimorsi per ciò che ho fatto laggiù, in quel paese di belve umane, ... ». A f irma: «selvaggio malese». Dal matrimonio nel 1892 nacquero Fathima, come l' eroina di La favorita del Mahdi, e Omar, e il terremoto Nadir, come Il Re della montagna. Pubblicò La scimitarra di Buddha coi nomati fratelli Treves, per cui pubblicavano De Amicis, Pirandello e Verga. Gli fu proposto pure un contratto a percentuale; ma Salgari goffo scelse la striminzita paga fissa d' un editore di riviste beghine. Si dimise da l' Arena. Fu «Yanez de Gomera, nobile portoghese delle Celebe, di quegli uo mini che emigrando avevano centuplicato il loro patrimonio. Ma era appena giunto a raccozzare un po' d' oro quando cadde sotto l' unghie di Sandokan». Finì a Sampierdarena, dove il mare accanto alle rotaie era color cenere. Carburò marsala e gite in barca a remi. Fu Yanez anche a Torino. Ma la moglie s' ammalò di nervi; il passaggio a Bemporad costò una rovinosa penale. Si sentì nello stato più deprimente per un malese: incatenato dalla lussuria venale degli editori, a scrivere. Anni e anni sped endo manoscritti senza rileggerli, ingollando vino marsala tra mappe, astrolabi e macchie inchiostrate. Mancò una morte da samurai, ferendosi minimamente prima che Aida venisse chiusa nel manicomio di Collegno. Il 22 aprile 1911 di ritorno da un libr aio a cui rivendeva le copie gratuite dei suoi libri, scrisse. Ai figli: «Sono vinto, la pazzia di vostra madre mi ha spezzato il cuore... fatemi seppellire per carità essendo completamente rovinato... mantenetevi buoni e onesti... vado a morire dove andavamo a fare colazione». Agli editori: «A voi che vi siete arricchiti con la mia pelle mantenendo me e la mia famiglia in una continua semi miseria od anche più, chiedo solo che a compenso dei guadagni che vi ho dati pensiate ai miei funerali». A i direttori dei quotidiani torinesi: «Vinto dai dispiaceri mi sopprimo. Conto milioni d' ammiratori in ogni parte dell' Europa e dell' America. Li prego, signori direttori, di aprire una sottoscrizione per togliere alla miseria i miei quattro figli e poter passare la pensione a mia moglie finché rimarrà in ospedale...». E s' avviò verso via Guastalla. Non portava più il soprabito di Yanez; ma liso abito grigio. Era un calvo orientale col viso tondo e indomiti occhi obliqui, ma disperati. Si sfil ò la cravatta decolorata e l' appoggiò sul muschio accanto alla giacca in un rigoglio di fiori. Il bastone lo sospese su un ciuffo d' erba e, sdraiatosi lento in una piega del terreno, estrasse a fatica dalla tasca un rasoio. Ci si squartò l' addome, rigirandolo fino a vedere i morbidi tubi carnei degli intestini, da cui emanò tiepido vapore, a cui le fitte orrende, e il furore con cui infierì pure sulla gola, non gli fecero badare. A guardarlo evitarsi persino d' urlare, Yanez non lo avrebbe ch iamato suicidio, bensì morte eroica.
Per saperne di più:
Internet: http://www.thegrid.net/fern.canyon/pirates/salgari/salgari.htm http://perla.tux.nu/ Libro: Silvino Gonzato «Emilio Salgari», ed. Neri Pozza, Vicenza, 1995