Yara
La regina dei Caraibi


[...] Il Corsaro si era spinto innanzi colla spada tesa, pronto a ferire, ma subito si trattenne facendo un gesto di stupore.
Dinanzi a lui stava una bellissima fanciulla indiana, ed un giovane negro il quale reggeva un pesante candeliere d'argento.
Quella giovanetta poteva avere sedici anni e come si disse era bellissima, quantunque la sua pelle avesse una tinta leggermente ramigna.
La sua corporatura era elegantissima, con una vitina così stretta che due mani sarebbero bastate a stringerla. Aveva due occhi splendidi e neri come carbonchi, ombreggiati da due ciglia foltissime e lunghe; il nasino diritto, quasi greco, le labbra piccine, vermiglie, che mostravano dei denti più brillanti delle perle; dei capelli lunghissimi, neri come le ali dei corvi, gli scendevano, in pittoresco disordine, sulle spalle, formando come un mantello di velluto.
Anche il costume che indossava era graziosissimo. La sua gonnellina di stoffa rossa era ricamata con pagliuzze d'argento e adorna di piccole perle; la sua camicia, assai attillata ed abbellita da pizzi, era pure cosparsa di pagliuzze d'oro e alla cintura aveva una grande sciarpa a smaglianti colori, terminante in una quantità di fiocchetti di seta. I suoi piedi, piccoli forse come quelli delle cinesi, sparivano entro delle graziose babbucce di pelle gialla pure ricamate in oro, e agli orecchi portava due grandi anelli di metallo ed al collo numerosi monili di grande valore.
Il suo compagno invece, un negro di diciotto o vent'anni, aveva le labbra molto tumide, gli occhi grandissimi che parevano di porcellana e una capigliatura assai cresputa.
Con una mano reggeva il candeliere, coll'altra invece impugnava una specie di coltellaccio ricurvo, arma usata dai piantatori.
Vedendo il Corsaro in quell'attitudine minacciosa, la giovane indiana aveva fatto due passi indietro, mandando un grido di sorpresa ed insieme di gioia.
"Il bel gentiluomo!" aveva esclamato.
"Chi siete voi?" chiese il Corsaro balzando a terra.
"Yara," rispose la giovane indiana con un tono di voce argentino.
"Non ne so più di prima; d'altronde non mi preme avere maggiori spiegazioni. Ditemi invece se la casa è assediata."
"Sì, signore."
"E don Pablo de Ribeira, dov'è?"
"Non l'abbiamo più veduto."
Il Corsaro si volse verso i suoi uomini, dicendo:
"Non abbiamo un istante da perdere. Forse siamo ancora in tempo.
Senza nemmeno occuparsi del negro e dell'indiana aveva infilato il corridoio per giungere alla scala, quando si sentì prendere dolcemente per la falda dell'abito. Si volse e vide l'indiana. Il bel volto della giovane tradiva un'angoscia così profonda, che ne fu stupito.
"Che cosa desideri?" le chiese.
"Non voglio che vi uccidano, signore," rispose Yara con voce tremante.
"Cosa importa a te?" chiese il Corsaro, con accento meno duro."
"Gli uomini che sono in agguato nelle vie vicine, non vi risparmierebbero."
"E nemmeno noi risparmieremo loro."
"Sono molti, mio signore."
"Pure bisogna che esca da qui. La mia nave m'aspetta alla bocca del porto."
"Invece di andare incontro a quei soldati, fuggite."
"Sarei ben lieto di poter andarmene senza impegnare battaglia, ma vedo che non vi è che questa scala. Il sotterraneo è stato chiuso da don Pablo."
"Vi è un solaio; potete nascondervi."
"Io, il Corsaro Nero!... Oh!... Mai, mia fanciulla. Tuttavia grazie del tuo consiglio; ti sarò sempre riconoscente. Ti chiami?"
"Yara, vi ho detto."
"Non scorderò questo nome."
Le fece un gesto d'addio e scese le scale preceduto da Moko e seguito da Carmaux e da Wan Stiller.
Giunti nel corridoio, si arrestarono un momento per armare i moschetti e le pistole, poi Moko aprì risolutamente la porta.
"Che Dio vi protegga, mio signore!" gridò Yara che si era fermata sul pianerottolo.
"Grazie, buona fanciulla," rispose il Corsaro, slanciandosi nella via.[...] [La Regina dei Caraibi, E. Salgari, Donath Editore, Genova, 1901, Capitolo III]



Nella foto: Yara, illustrazione di Giuseppe Gamba. La regina dei Caraibi, E. Salgari, Donath Editore, Genova, 1901.






Le eroine salgariane

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