Than-kiù
Le stragi delle Filippine/Il Fiore delle Perle


[...] D'improvviso Romero alzò il capo, come se si fosse bruscamente svegliato, rialzando con una mano i bruni riccioli che gli scendevano sulla fronte. Rimase un momento immobile come trasognato, poi si alzò di scatto, col più vivo stupore dipinto sul viso.
Than-kiù gli stava dinanzi, ancora appoggiata alla tavola, ma aveva lasciata cadere anche il cappello e mostrava il suo viso, che durante tutta la notte aveva tenuto costantemente coperto.
Il Fiore delle Perle, pur appartenendo ad un'altra razza, poteva ben gareggiare per bellezza colla Perla di Manilla e produrre una viva impressione anche sul cuore di Romero. Quella giovanetta, nata all'ombra delle pagode del Celeste Impero e trasportata, chissà in seguito a quali vicende, sotto il dolce clima delle isole ispaniche, era forse una delle più belle e delle più perfette creature nate dall'incrocio della razza mongola colla mantsciura.
Era più alta di Teresita, mirabilmente sviluppata, dalla pelle candida, senza quei riflessi leggermente giallastrei che si scorgono sui volti delle donne chinesi delle province meridionali, anzi d'una tinta quasi alabastrina, ma con certe sfumature indefinite che solo si scorgono sull'avorio.
I suoi occhi, lievemente inclinati, d'un nero intenso e che avevano una espressione dolce e malinconica, quasi triste, erano velati da superbe ciglia brune e fitte; il suo naso non era depresso come quello delle donne di razza tartara; le sue labbra rosse, sottili, mostravano denti piccoli come granelli di riso, e d'una bianchezza delicata.
Aveva i capelli nerissimi, con certi riflessi metallici che facevano spiccare maggiormente la bianchezza marmorea della pelle, raccolti intorno a tre spilli d'oro terminanti in tre grosse perle; il corpo racchiuso entro una casacca di seta azzurra a fiori di vivaci colori, stretta alla cintura da una larga fascia rossa ricamata in oro; calzoncini ampi, pure di seta, ma bianca ad arabeschi gialli, ed i piedi piccoli come una foglia di rosa, per usare una espressione chinese, nascosti entro scarpine di broccato a punta rialzata e colla suola di feltro bianco.
Non portava gioielli né agli orecchi, né al collo. Solamente ai polsi aveva alcuni cerchietti d'oro sormontati tutti da una perla di notevole valore.
La giovane chinese, poiché doveva essere molto giovane, forse al pari della Perla di Manilla, non si era mossa. I suoi occhi però, sotto le folte ciglia che quasi li nascondevano, non si erano staccati dal meticcio.
- Than-Kiú, sei tu?... - chiese Romero.
- Sí, mio signore, - rispose la chinese, con voce dolce.
- Hai vegliato, mentre io dormivo?...
- Sí, mio signore. [...] Le stragi delle Filippine, E. Salgari, Donath Editore, Genova, 1897, Capitolo VI]



[...] Hong guardò il fiume, tese gli orecchi, e non vide, nè udì nulla.
- Giungeremo prima dei pirati, - disse a Than-kiù. - Se non m'inganno fra un quarto d'ora noi saremo a bordo della tow-meng.
- E' necessario attraversare il fiumicello, - osservò la giovane.
- E' vero, ed io ti porterò sull'opposta riva, senza bagnarti.
Il cinese la sollevò come fosse una piuma, le raccomandò di aggrapparglisi al collo, poi entrò risolutamente in acqua, senza pensare che su quel fiume vi potevano essere dei coccodrilli.
L'acqua era profonda un metro e mezzo, e così rapida, da rendere il passaggio tutt'altro che facile; ma Hong era forte come un toro e opponeva ai gorghi il suo robusto dorso, senza vacillare. Non avanzava però senza aver prima tastato il fondo e ben posato il piede, per tema di perdere l'equilibrio, e si studiava di non far bagnare nemmeno i piedi della giovane cinese. Certi momenti, sia che avesse paura che gli scivolasse dalle braccia o per istinto, se la stringeva fortemente al petto, ed allora Than-kiù sentiva che quelle braccia poderose, che avevano poco prima vinto il formidabile gattopardo, tremavano come quelle d'un fanciullo.
- Sei stanco, Hong? - gli chiese Than-kiù.
- No, - rispose il cinese con voce soffocata. - E' nulla. -
Con un ultimo sforzo attraversò la distanza che lo serparava dalla riva e guadagnò il margine della foresta. Prima di deporre a terra Than-kiù, parve che esitasse.
- Hai udito qualche rumore? - chiese la giovinetta.
- No, Than-kiù, - rispose Hong. - Mi sembravi così leggera che t'avrei portato volentieri fino alla giunca.
[...]
Dopo aver costeggiato per qualche tempo la riva, Hong, si fermò addotando a Than-kiù una massa nera che galleggiava in mezzo al fiume.
- La tow-meng? - chiese ella.
- Si, la giunca di Tseng-kai.
- Budda li ha protetti, - mormorò la giovane.
Poi volgendosi verso Hong e stringendogli la mano, gli disse con voce dolce:
- Grazie ancora, amico mio; Than-kiù non dimenticherà mai questa notte. -
Quindi guardandolo fisso e posandogli le mani sulle spalle, aggiunse:
- Tu sei leale.
- Cosa vuoi dire con codeste parole? - chiese Hong.
- Tu mi hai compresa... tu che mi ami, - mormorò ella.
- Si, ma senza speranza, perchè Romero ti ha spezzato il cuore, è vero, Than-kiù? - chiese egli con profonda tristezza.
La giovane cinese gli mise un dito sulle labbra come per impedirgli di proseguire e scese la riva dicendo:
- Andiamo, mio fedele amico: avremo appena il tempo per prepararci alla difesa. [...] [Il Fiore delle Perle, E. Salgari, Donath Editore, Genova, 1901, Capitolo XI]



[...] I due orsi, vedendo comparire gli avversari, si erano raddrizzati sulle zampe posteriori, mandando sordi grugniti. Il più grosso, il maschio di certo, con un'agilità che nessuno avrebbe sospettata in quel corpo piuttosto massiccio, si avventò con tale furia addosso a Hong che, a questi, sorpreso dall'inaspettato assalto, mancò il tempo d'alzare il kampilang. Quasi nel medesimo istante l'altro caricava, con pari slancio, Pram-Li e Sheu-kin, tentando di abbrancare or l'uno or l'altro.
Hong, urtato in pieno petto, malgrado il suo vigore straordinario, non resse, tanto più che il terreno era fangoso, sdrucciolevole, e cadde all'indietro. L'orso, senza curarsi di Than-kiù che accorreva in aiuto del compagno, gli si gettò sopra tentando di abbracciarlo, per poi soffocarlo con una stretta poderosa.
La giovanetta era però una tale avversaria da tenerne conto. Niente affatto atterrita, si era fatta animosamente innanzi, stringendo con mano robusta il kampilang. L'arma scintillò un istante in aria e piombò sul corpo dell'animale, producendogli una ferita spaventevole dalla quale schizzò il sangue in gran copia. Reso maggiormente furioso da quel colpo, l'orso abbandonò il cinese e si volse contro la valorosa giovane, investendola disperatamente.
Guai se Than-kiù si fosse lasciata prendere! Ma essa aveva compreso che non vi era da scherzare, e si era messa a indietreggiare lestamente, minacciando l'avversario coll'arma. Disgraziatamente la lingua di terra non era larga più di cinque metri, e ben presto si trovò coi piedi in acqua.
- Morte di Fo! ... - urlò Hong, il quale si era subito rialzato. - Fermati Than-kiù! ... -
Aveva ripreso il kampilang che nella lotta gli era sfuggito e si era scagliato alle spalle della fiera. La pesante arma, impugnata da quel braccio potente, piombò con tale violenza, da tagliar netto il capo dell'animale. Balzò sopra quel corpo sanguinante che si agitava fra le ultime convulsioni, afferrò la giovanetta che aveva l'acqua fino alle ginocchia e la sollevò bruscamente.
Quasi nell'istesso momento due mascelle enormi, irte di lunghi denti, emersero sotto la giovanetta e si richiusero con un fragore simile a quello che produce un cassone, quando viene violentemente chiuso.
- Mille demoni!... - gridò Hong, che era diventato pallido come un cencio lavato. - Un istante di ritardo e quel coccodrillo le troncava le gambe! ... [...] [Il Fiore delle Perle, E. Salgari, Donath Editore, Genova, 1901, Capitolo XV]





Nelle foto: Than-kiù, illustrazioni di Giuseppe Gamba. Il Fiore delle Perle, E. Salgari, Donath Editore, Genova, 1901.






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