Talmà Le Aquile della Steppa
[...]
Il giovane attraversò la terrazza, tenendosi curvo onde non esporsi ai tiri dei banditi e scese una gradinata coperta, che metteva capo ad una specie di veranda, dove alcuni uomini, nascosti dietro il parapetto, facevano fuoco.
- Talmà! - grido' Hossein, vedendo fra loro biancheggiare una forma femminile.
Un gran grido rispose:
- Il mio prode fidanzato! ... Siamo salvi!... Fuoco, amici, fuoco! -
Poi la giovane si slanciò fuori dal gruppo, cadendo fra le braccia di Hossein.
Talmà giustificava pienamente la rinomanza d'essere la più bella fanciulla della grande steppa turchestana.
Quantunque non dovesse avere più di quindici anni, era quasi alta come Hossein, con forme bene sviluppate, come amano quei popoli, fra cui la magrezza nelle donne equivale a tutto ciò che può esservi di brutto, con grandi occhi scuri, somontati da bellissime sopracciglia, dall'arcata perfetta e capelli neri come l'ala dei corvi, che teneva raccolti in un gran numero di trecce adorne di gruppetti di perle.
Come già tutte le donne sarte, indossava una zimarra di seta verde, aperta sul dinanzi per lasciar vedere parte della camicia di seta bianca e calzoni larghi e imbottiti internamente, in modo da non lasciar trasparire la gamba, e calzava alti stivaletti di cuoio rosso, colla punta assai rialzata.
Attorno alle anche, aveva uno scialle di kachemire, dalle splendide tinte, annodato sul dinanzi coi due capi pendenti fino quasi a terra.
Malgrado l'imminenza del pericolo, non dovesse averle lasciato tempo di occuparsi troppo della sua persona, aveva ai polsi dei ricchissimi e pesanti braccialetti d'oro e agli orecchi dei lunghi pendenti, formati da perle riunite con turchesi e con rubini.
- Giungi a tempo, mio valoroso Hossein, - disse la fanciulla, la cui voce tremava. - E tuo zio? E Abei? Sei giunto con la tua scorta?
- Solo con Tabriz, ma non temere, mia dolce Talmà. Fra un'ora o due i miei uomini saranno qui e faremo un macello delle Aquile della Steppa.
E' tutta asserragliata la casa?
- Tutte le porte sono barricate.
- Di quanti uomini disponi?
- Di nove: uno l'ho mandato a te. L'hai veduto?
- Si, ed e' anche morto. Vieni via di qui: le palle fioccano da tutte le parti. Occupiamoci della difesa.
- Hossein, non esporti ai loro fucili! - gridò Talmà vedendo che stava per precipitarsi verso il parapetto della galleria.
- Non temo - rispose il giovane, liberandosi con dolce violenza dalle braccia di Talmà.
- Rifugiati nella tua stanza: non corriamo alcun pericolo per ora. -
La fanciulla fece un energico gesto di diniego.
- Sono la figlia d'un beg, - disse. - Ho anch'io nelle mie vene il sangue d'un guerriero.[...] [La Aquile della Steppa, E. Salgari, Donath Editore, Genova, 1907, Capitolo VI]
[...] Subito dopo erano usciti Hossein e Talmà, seguiti dal vecchio beg e da Tabriz.
Il primo indossava uno splendido costume persiano di seta bianca, con grandi cordoni ed alamari d'oro e sul berrettone conico un pennacchio ornato di diamanti e di smeraldi; Talmà invece aveva il suo vestito da sposa, che risaltava vivamente sulla candida giumenta che le serviva da cavalcatura.
Aveva i capelli divisi in due grosse trecce, che le ondeggiavano sulle spalle e che contornavano splendidamente il suo visino bianco-rosa, allungate artificiosamente con spighette formate da peli di cammello e intrecciate con mazzolini di bellissime perle di Bahrem.
Sul capo portava una specie di tiara d'argento dorato, adorna di turchesi, assai alta, un vero edifizio, coperta in parte da un lungo velo intessuto con pagliuzze d'oro e con numerose fila di sottilissime catenelle e di pietre preziose, come rubini, zaffiri e smeraldi e che terminava al di sotto della cintura, in un ricchissimo e probabilmente antichissimo merletto.
La sua veste era ampia, di seta rossa, diritta, priva delle maniche affinchè si potessero scorgere i meravigliosi braccialetti che le ornavano le bellissime braccia, - regali del fidanzato; - era stretta alle anche da una fascia pure di seta, ricamata in oro, di colore azzurro ed abbellita sul petto da piastrine d'argento e d'oro, somiglianti nella forma alle cartucce di moderni fucili e che probabilmente dovevano contenere degli amuleti e dei versetti del Corano.
Al di sotto di quella veste, che non le scendeva oltre le ginocchia, formando ampie e ricche pieghe, Talmà portava dei larghi calzoni alla turca, di seta bianca, con festoni d'oro, allacciati alle caviglie, un po' sopra delle scarpette di cuoio rosso splendidamente ricamate in argento.
[...]
Tutto d'un tratto un grido altissimo s'alzò, perdendosi lontano lontano nella steppa sconfinata:
- Viva gli sposi! -
Talmà era ricomparsa sulla bianca cavalla, sotto un nuovo velo di seta trapunto in oro che copriva quasi tutta la parte posteriore del suo bellissimo animale.
Teneva fra le braccia un agnellino dalla lana candidissima, ucciso pochi momenti prima e adorno di nastri di seta a varie tinte.
Si fermò un momento a guardare io cavalieri, poi lanciò la sua cavalla a corsa sfrenata attraverso la steppa, tenendosi ben stretto al seno l'agnellino.
Pochi momenti dopo Hossein usciva a sua volta, montando il suo splendido cavallo e si lanciava sulle tracce della fidanzata, seguito dal beg, da suo cugino e da Tabriz, gridando con voce stentorea:
- Amici, aiutatemi a raggiungerla! ... La mia stella fugge!...
- Eccoci! - Urlarono in coro i cavalieri, snudando i kangiarri, - Uran!... Uran!...
Non era che una commedia, poichè Talmà non aveva nessuna voglia di fuggire al suo valoroso fidanzato: ma così doveva fare, perchè nelle cerimonie nuziali si deve sempre simulare il rapimento della fidanzata.
[...]
La bella Talmà, che, come abbiamo detto, cavalcava superbamente, faceva cavalcare la sua bianca cavalla, allontanandosi nella steppa e aizzandola colla voce e colla frusta dal manico cortissimo.
Rideva forte e di quando in quando si volgeva a guardare l'immensa turba dei cavalieri che galoppava sfrenatamente sulle sue tracce, urlando e sparando, preceduta da Hossein, dal beg e da Abei.
La giovine aveva già percorsi tre o quattro chilometri, avanzandosi sempre nella pianura, quando la sua cavalla fece uno scarto improvviso, poi stramazzò pesantemente fra le erbe, sbalzandola di sella.
Talmà mandò un grido, poi rimase distesa, mezza svenuta.
Quasi nel medesimo istante dieci o dodici uomini, guidati da Hadgi, il luogotenente del mestvires, sorsero fra le erbe altissime, gettandosi su di lei.
- I cavalli! - gridò il luogotenente, afferrando la fanciulla. - Presto! - [...] [Le Aquile della Steppa, E. Salgari, Donath Editore, Genova, 1907, Capitolo VIII]
Nelle foto: Talma, copertina di Alberto Della Valle, illustrazioni interne di A Tanghetti. Le Aquile della Steppa, E. Salgari, Donath Editore, Genova, 1907.
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