Miss Ellen
Una sfida al Polo


[...] L’automobile ormai era in vista. Era una magnifica macchina tutta scoperta, a dieci posti, dipinta in giallo, montata da sole cinque persone.
Al volante stava una bellissima giovane, dai capelli biondissimi, con riflessi d’oro, occhi azzurri stranamente variegati, dai lineamenti un po’ forse troppo energici per essere una donna, dalla vita sottile come una vespa, che indossava un ampio gabbano di seta cruda adorno di pizzi di gran valore e che guidava con una sicurezza meravigliosa.
Dietro di lei stavano due giovani, seduti ad una certa distanza l’uno dall’altro, fra i venticinque ed i trent’anni, l’uno bruno e baffuto, d’aspetto distinto, e l’altro biondastro, un po’ tozzo e sbarbato come un prete anglicano.
Più indietro ve n’erano altri due, d’aspetto terribile, massicci come bisonti, di statura gigantesca, con certe mani e certe braccia da mettere un senso di terrore anche agli uomini più muscolosi degli Stati Uniti ed anche del Canadà.
L’automobile, guidato dall’intrepida miss con una sicurezza e destrezza meravigliosa, si slanciò con velocità fulminea nella pista, descrisse sempre in volata due giri fra gli applausi clamorosi degli spettatori, poi si arrestò proprio nel centro, quasi di colpo.
Miss Ellen, che doveva possedere dei muscoli proprio americani, aveva frenato a tempo, strappando ai diecimila uomini che si stringevano addosso alla rozza cinta ed ai bars improvvisati, un vero urlo di ammirazione.
– Signor mio – disse un giovanotto di ventiquattro o venticinque anni, coi baffetti biondi, di forme quasi erculee, ad un grosso americano tutto chiuso in una monumentale pelliccia e con tanto di cilindro in capo, alto quanto la canna d’un camino, che pure urlando non cessava di centellinare un bicchiere di gin cocktail (acquavite fortissima). – Quella splendida creatura maneggia il suo automobile meglio del più famoso chaffeur d’America e d’Europa.
L’americano, che stava per lanciare il suo centesimo urrah, si volse verso il giovane e lo guardò quasi con compassione.
Bevette un’altra lunga sorsata del suo gin cocktail, poi gli chiese un po’ ironicamente:
– Ma di dove venite voi?
– Dall’Inghilterra.
– E siete giunto a Quebec od a Montreal?
– Da solo quarant’otto ore.
– By-God!... Allora comprendo la vostra ignoranza – rispose il grosso americano, lisciandosi la sua barba da becco, più rossa di quella del diavolo zoppo.
– Che cosa volete dire, gentleman? – chiese il giovane inglese, tendendo le sue braccia muscolose con un gesto quasi minaccioso.
– Che voi non sapete chi è quella superba creatura che guida così meravigliosamente quel superbo automobile di ottanta cavalli.
– Affatto, signor mio.
– Vi credo – disse l’americano, dopo d’aver bevuto un altro lungo sorso.
– Chi è dunque, se non vi rincresce?
– Miss Ellen Perkins.
– Ne so meno di prima.
– Si dice che sia la fanciulla più indiavolata di tutti gli Stati della grande Unione americana. Ah!... Che demonio!... Amazzone intrepida che sfida e vince perfino i famosi cow-boys del lontano Far-West, canottiera insuperabile, automobilista, spadaccina, lottatrice e che so io?... È la regina dello sport.
– E che cosa viene a fare qui, gentleman, se non vi annoio?
– Tutt’altro, giovanotto. La bella miss, poiché converrete con me che è una fanciulla meravigliosa...
– Ho un buon paio d’occhi anch’io, gentleman. Sarei pronto pei suoi begli occhi, a sfidare nuovamente tutti gli studenti dell’Università di Cambridge alla corsa, al salto, alla corsa con ostacoli, al getto del martello...
– Ah!... Siete uno sportman anche voi, a quanto pare – disse l’americano, interrompendolo. – Allora capirete meglio le cose. Dunque dovete sapere che due uomini si disputano la mano di quella bellissima creatura, e sono i due più celebri sportmen dell’America del Nord. Se non fossero tali, avrebbero potuto rinunciare subito a qualsiasi speranza di conquistare il cuore di quella indiavolata fanciulla.[...] [Una sfida al Polo, E. Salgari, Bemporad Editore, Firenze, 1909, Capitolo I]


Nelle foto: Miss Ellen, illustrazioni di Gennaro Amato. Una sfida al Polo, E. Salgari, Bemporad Editore, Firenze, 1909.


[...] Uscì dal garage svelta e leggera come un uccello e dopo d’aver attraversato parecchie aiuole ormai spoglie di fiori e di foglie, introdusse i due rivali ed i loro partners in un elegantissimo chiosco di stile cinese, tutto in pietra bianca, con vetrate colorate a disegni rappresentanti draghi mostruosi vomitanti fuoco, e lune sorridenti in mezzo ad un cielo d’una tinta indefinibile ed ammobiliato graziosamente.
Una stufa a gas ardeva in un angolo, spandendo un dolce tepore che faceva crepitare i numerosi giornali gettati, semispiegazzati, su un tavolino laccato, di manifattura celestiale.
Toccò un bottone elettrico, per dare qualche ordine, poi invitò i quattro uomini a sedersi su delle poltroncine di velluto azzurro, dicendo:
– Signor di Montcalm, potete spiegarvi meglio. Quale consiglio desiderate da me?
– Miss, – disse il canadese, con voce grave – siete sempre risoluta a concedere la vostra mano al più forte di noi due?
– Un’americana non ha che una parola, ve l’ho già detto – rispose la giovane. – Non so se le canadesi siano così.
– Uditemi, miss: noi abbiamo tentato tutte le prove e come avrete constatato, né io, né mister Torpon siamo riusciti a riportare una vittoria decisiva. Noi veniamo quindi a chiedere a voi che cosa d’altro possiamo provare, giacché siete sempre risoluta ad accordare la vostra mano solamente al vincitore di questa singolare tenzone.
– Ma credete, signor di Montcalm, di aver esaurite tutte le sfide?
– Mi pare che non ci rimanga più nulla da tentare.
– V’ingannate. Avete letto l’edizione di ieri del New-York Times?
– Non ne ho avuto il tempo. M’interesso poco dei giornali americani.
– Allora voi non avete udito ancora parlare della grande corsa intorno al mondo in automobile, organizzata dal New-York Times in unione al Matin di Parigi, quello che ha indetta la famosa corsa Pekino-Parigi guadagnata da uno sportman italiano, il principe Borghese.
– Una corsa intorno al mondo!... – esclamarono ad una voce i quattro uomini.
– Sì, signori miei, un raid gigantesco al quale, si sa fin d’ora, prenderanno parte automobili italiani, francesi, americani e tedeschi. Si fanno già i nomi degli eroi che prenderanno parte alla gara. Si tratta d’una corsa di trentaseimila chilometri, trentamila dei quali verranno coperti dalle vetture.
– Bisogna essere pazzi per tentare una simile prova! – esclamò mister Torpon.
– E perché, mio gentleman? Io ammiro già quegli uomini che si slanciano attraverso il mondo sulla sbuffante macchina, sfidando chissà quali pericoli!... Ah!... Se io fossi un uomo invece di essere una donna, mi farei subito iscrivere.
– Miss, – disse il canadese, mentre due servi negri entravano portando un superbo servizio di thè, con chicchere color del cielo dopo la pioggia ed adorne di stravaganti caratteri cinesi – che cosa vorreste dire con ciò?
– Che se io fossi al vostro posto, tenterei anch’io un raid da far stupire e commuovere il mondo intero – rispose miss Ellen, cogli occhi scintillanti d’entusiasmo.
– Vorreste che ci iscrivessimo anche noi a quella grande corsa? – chiese il canadese.
– Oh!... Io tenterei qualche cosa di meglio. Ormai quel raid è sfruttato, quantunque abbia ancora da cominciare.
– Che cosa fareste voi allora?
– Io!... Tenterei la conquista del Polo Nord coll’automobile, per esempio!...
– Superba idea!... – esclamò mister Torpon, che da buon americano non vedeva alcuna difficoltà anche nelle più pazzesche imprese.
– Un po’ troppo pericolosa forse – disse invece il canadese.
– E perché pericolosa, signor di Montcalm? Se i concorrenti della corsa organizzata dal New-York Times e dal Matin si propongono di attraversare la gelida Alaska, che come voi saprete non è altro che un immenso deserto di neve per non chiamarla addirittura un mostruoso ghiacciaio, per poi passare lo stretto di Behering gelato e quindi lanciarsi attraverso la non meno fredda Siberia, vuol dire che un’automobile può sfidare le nevi ed i ghiacci. Vi pare, signor Torpon?
– Io dico ciò possibilissimo – rispose l’americano, senza esitare.
– Aggiungerò anzi che si dice che se il raid intorno al mondo riuscirà, come si spera, l’anno venturo i due giornali lanceranno una sfida polare attraverso l’Artico. Sfruttate prima voi quel grandioso progetto e vi coprirete senza dubbio di gloria.
– Se non morremo – disse il canadese, con un sorriso sardonico.
– Il destino che finora vi ha perseguitati, vi proteggerà – disse la giovane americana, sempre più entusiasmandosi. – Volete la mia mano? Ebbene, marciate verso il Polo. L’avrà, ve lo giuro, chi si sarà spinto più innanzi. Se credete, disputatevela.
Nel chiosco regnò un silenzio piuttosto lungo. I due rivali si interrogavano collo sguardo, mentre la miss versava il thè.
– Che cosa dite dunque voi, signor di Montcalm? – chiese finalmente Torpon.
– Che se voi tenterete di raggiungere il Polo, io vi contrasterò, con tutte le mie forze, la mano di miss Perkins – rispose il canadese con voce grave. – Accada quello che si vuole, io tenterò quest’ultima lotta. Tanto peggio per me se i ghiacci inghiottiranno me e la mia automobile, o se gli orsi bianchi faranno colazione colle mie carni.
– Così dovevano parlare i grandi eroi dell’antichità!... – esclamò miss Ellen. – Qua la vostra mano, miei valorosi, e poi lanciatevi alla conquista di quel cardine del mondo che è stato il sogno di tanti audaci navigatori ed anche di tanti sportmen. Afferrate il volante e... go ahead!...
– Ecco una donna meravigliosa!... – esclamò mister Torpon. – Nelle vostre vene avete il vero sangue americano, miss.
– Per mandarvi a tentare la pelle e farsi una clamorosa réclame – borbottò fra sé il maestro di boxe canadese, aggrottando la fronte. – Preferisco le canadesi e quelle del nostro vecchio paese. Almeno sono più equilibrate.
– E così, signori, siete ben decisi? – disse la giovane, dopo che tutti ebbero vuotate le tazze.
– Per mio conto sì – rispose lo yankee. – Questa corsa verso il Polo mi ha subito conquistato. O raggiungerò il punto ove s’incrociano tutti i meridiani del globo o morrò nell’impresa, col vostro nome sulle labbra, miss.
– E voi, signor di Montcalm?
– Vi ho detto già miss, che partirò ed al più presto possibile per disputare al signor Torpon la palma della vittoria.
– Ah, la vedremo, mio gentleman!... – gridò lo yankee. – Io spero di piantare lassù, fra il regno degli orsi bianchi, la bandiera degli Stati dell’Unione, prima di voi.
– Non siete ancora giunto al Polo, mister.
– Ci andrò, ve l’assicuro.
– Non contate su nessun aiuto da parte mia. Ci considereremo come nemici implacabili.
– Se io v’incontrassi, poiché io non partirò in vostra compagnia, e dovessi trovarvi morente di fame, non pensate che io vi dia una sola crosta dei miei biscotti.
– Meglio così, mister. Almeno ora so che non dovrò calcolare che sulle mie sole forze – ribatté il canadese.
– Nemmeno se vi vedessi fra le fauci d’un orso bianco, consumerò una cartuccia per voi. Ricordatevelo, signor di Montcalm.
– Va bene.
Il canadese s’inchinò dinanzi alla giovane americana, la quale aveva assistito, impassibile, a quel battibecco, quasi come la cosa non le riguardasse, dicendole:
– Miss, ritorno a Montreal per prepararmi al grande viaggio, poiché conto di partire prestissimo per approfittare dei grandi freddi. Se cadrò durante l’impresa, qualche volta pensate a me.
Ciò detto uscì bruscamente dal chiosco, seguìto dal suo partner, il quale masticava delle bestemmie. [...] [Una sfida al Polo, E. Salgari, Bemporad Editore, Firenze, 1909, Capitolo V]





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