«Ecco un elogio che non scorderò mai, perché detto da un uomo bianco,» disse la siamese.
«Un elogio che vi meritate, Len; se siete la più bella fanciulla che io abbia veduto nel Siam, siete pure la più valorosa, e le donne d'Europa potrebbero ben invidiarvi.»
Il generale, che pareva più commosso ancora del dottore, guardava i due giovani cogli occhi umidi.
Aveva compreso ormai che non era più solo una dolce amicizia la loro; un affetto ben più tenace, ben più ardente, ormai univa il giovane europeo e la figlia delle regioni tropicali.
Vedendoli guardarsi con aria imbarazzata, ma cogli occhi ardenti, credette opportuno intervenire.
«Andiamo a vedere le tigri, dottore,» disse. «Sono due belve superbe, ve l'assicuro.»
Mentre si volgeva per raggiungere lo spiazzo dove le due fiere giacevano a pochi passi l'una dall'altra, Roberto si chinò verso la fanciulla.
«Vi amo, Len,» le sussurrò all'orecchio.
La giovane abbassò gli occhi, arrossì, poi rispose con un filo di voce:
«Sarebbe un sogno troppo bello, dottore. Io amata da un europeo!»
Due lagrime le tremolavano sotto le lunghe ciglia.
«Venite, Len-Pra,» disse Roberto. «Vediamo dove avete colpito il tigre che contava di banchettare colle nostre carni.»
Attraversarono l'ultimo tratto del sentiero aperto dal povero lottatore e giunsero sullo spiazzo.
[...] [La città del re lebbroso, E. Salgari, Donath Editore, Genova, 1904, Capitolo XXI]