Honorata Wan Guld
Il Corsaro Nero/La regina dei Caraibi


[...] Stava (il Corsaro Nero) dirigendosi verso poppa, quando la porta del quadro si aprí bruscamente ed una fanciulla apparve, seguita da due donne e da due paggi sfarzosamente vestiti.
Era una bella figura di giovane, alta, slanciata, flessuosa, dalla pelle delicatissima, d'un bianco leggermente roseo, di quel roseo che solo si scorge sulle fanciulle dei paesi settentrionali, e soprattutto in quelle appartenenti alle razze anglo-sassoni ed iscoto-danesi.
Aveva lunghi capelli d'un biondo pallido, con riflessi piú d'argento che d'oro, che le scendevano sulle spalle, raccolti in una grossa treccia fermata da un grande nastro azzurro adorno di perle; occhi dal taglio perfetto, d'una tinta indefinibile che avevano dei lampi dell'acciaio brunito, sormontati da sopracciglia finissime e che, cosa davvero strana, invece di essere bionde al pari dei capelli, erano nere.
Quella fanciulla, perché tale doveva essere, non avendo ancora le forme sviluppate della donna, indossava un elegante vestito di seta azzurra, dal grande collare di pizzo, come usavasi in quel tempo, ma semplicissimo, senza ricami di oro né d'argento; però al collo aveva parecchi giri di perle grosse, che dovevano costare parecchie migliaia di piastre ed alle orecchie due superbi smeraldi, pietre molto ricercate in quell'epoca e molto apprezzate.
Le due donne che la seguivano, due cameriere senza dubbio, erano invece due mulatte, belle del pari, dalla pelle leggermente abbronzata, di riflessi ramigni ed erano pure mulatti i due paggi.
La giovanetta, vedendo il ponte del vascello ingombro di morti e di feriti, d'armi, di attrezzi spezzati e di palle di cannone, e dovunque macchiato di sangue, fece un gesto di ribrezzo ed arretrò come se volesse tornare nel quadro per sottrarsi a quella vista orribile, ma vedendo il Corsaro Nero che le si era fermato a quattro passi di distanza, gli chiese con aria corrucciata, aggrottando le sopracciglia:
- Che cosa è accaduto qui, signore?
- Potete comprenderlo, signora, - rispose il Corsaro, inchinandosi. - Una battaglia tremenda, finita male per gli spagnuoli.
- E chi siete voi?
Il Corsaro gettò via la spada insanguinata che non aveva ancora deposta e levandosi galantemente l'ampio cappello piumato, le disse con squisita cortesia:
- Io sono, signora, un gentiluomo d'oltremare.
- Ciò non mi spiega chi voi siate, - diss'ella, un po' rabbonita dalla gentilezza del Corsaro.
- Allora aggiungerò che io sono il cavaliere Emilio di Roccanera, signore di Valpenta e di Ventimiglia, ma qui porto un nome ben diverso.
- E quale, cavaliere?
- Sono il Corsaro Nero.
Udendo quel titolo, un fremito di terrore era passato sul bel viso della giovanetta e la tinta rosea della sua pelle era repentinamente scomparsa, diventando invece bianca come l'alabastro.
- Il Corsaro Nero, - mormorò guardandolo con due occhi smarriti. - Il terribile Corsaro della Tortue, il nemico formidabile degli spagnuoli.
- Forse v'ingannate, signora. Gli spagnuoli posso combatterli, ma non ho motivo per odiarli e ne diedi or ora una prova ai superstiti di questo vascello. Non vedete laggiú, dove il mare si confonde col cielo quel punto nero che sembra perduto nello spazio? È una scialuppa montata da diciannove marinai spagnuoli che io rilasciai liberi, mentre per diritto di guerra avrei potuto trucidarli o tenerli prigionieri.
- Avrebbero mentito coloro che vi dipingevano come il piú terribile Corsaro della Tortue?
- Forse, - rispose il filibustiere.
- E di me che cosa farete, cavaliere?
- Una domanda, innanzi tutto.
- Parlate, signore.
- Voi siete?
- Fiamminga.
- Una duchessa, mi hanno detto.
- È vero cavaliere, - rispose ella, lasciandosi sfuggire un gesto di malumore, come se le fosse dispiaciuto che il Corsaro avesse ormai saputo del suo alto grado sociale.
- Il vostro nome, se non vi rincresce.
- È necessario?...
- Bisogna che io sappia chi voi siete, se volete riacquistare la libertà.
- La libertà?... Ah!... Sí, è vero, dimenticavo che io sono ormai vostra prigioniera.
- Non mia, signora, ma della filibusteria. Se si trattasse di me, metterei a vostra disposizione la mia migliore scialuppa ed i miei piú fidi marinai e vi farei sbarcare nel porto piú vicino, ma io non posso sottrarmi alle leggi dei Fratelli della Costa.
- Grazie, - diss'ella, con un adorabile sorriso. - Mi sarebbe sembrato strano che un gentiluomo dei cavallereschi duchi di Savoia fosse diventato un ladro di mare.
- La parola può essere dura per i filibustieri, - diss'egli, aggrottando la fronte. - Ladri di mare!... Eh... Quanti vendicatori vi sono fra di loro!... Forse che Montbars, lo sterminatore, non faceva la guerra per vendicare i poveri indiani distrutti dall'insaziabile avidità degli avventurieri di Spagna?... Chissà che un giorno non possiate sapere anche il motivo per cui un gentiluomo dei duchi di Savoia sia qui venuto a scorrazzare per le acque del gran golfo americano... Il vostro nome, signora?
- Honorata Willerman, duchessa di Weltrendrem.
- Sta bene, signora. Ritiratevi nel quadro ora, dovendo noi procedere ad una triste funzione, al seppellimento dei nostri caduti nella lotta; ma questa sera vi attendo a pranzo a bordo della mia nave.
- Grazie, cavaliere, - diss'ella, porgendogli una candida mano, piccola come quella d'una bimba e dalle dita affusolate.
Fece un leggero inchino e si ritirò lentamente, ma prima di rientrare nel quadro si volse e vedendo che il Corsaro Nero era rimasto immobile al suo posto, col cappello ancora in mano, gli sorrise un'ultima volta.
Il filibustiere non si era mosso. I suoi occhi, che erano diventati tetri, erano sempre fissi sulla porta del quadro, mentre la sua fronte diventava piú fosca. Stette qualche minuto colà, come se fosse assorto in qualche tormentoso pensiero e come se i suoi sguardi seguissero una fuggevole visione, poi si scosse e crollando il capo, mormorò:
- Follie!... [...] [Il Corsaro Nero, E. Salgari, Donath Editore, Genova, 1898, Capitolo XI]



[...] La nave, travolta dai flutti e dalle raffiche, fuggiva con una velocità spaventosa, in mezzo ai lampi ed alle trombe d'acqua. Pareva che ad ogni istante dovesse venire subissata e cacciata a fondo; invece si risollevava sempre, scuotendo i marosi che le urlavano d'intorno e la spuma che la copriva.
Il Corsaro Nero, ritto a poppa, alla barra, la guidava con mano sicura. Irremovibile fra le furie del vento, impassibile fra l'acqua che lo inondava, sfidava intrepidamente la collera della natura cogli occhi accesi ed il sorriso sulle labbra.
La sua nera figura spiccava fra i lampi, assumendo in certi momenti proporzioni fantastiche.
Le folgori scherzavano a lui intorno tracciando le loro linee di fuoco; il vento lo investiva, strappando pezzo a pezzo la lunga piuma del suo cappello; la spuma volta a volta lo copriva, tentando di abbatterlo; i tuoni sempre piú formidabili l'assordavano, ma egli rimaneva impavido al suo posto, guidando sempre la sua nave attraverso le onde e le raffiche.
Pareva un genio del mare, sorto dagli abissi del Gran Golfo, per misurare le proprie forze contro quelle della natura scatenata.
I suoi marinai, come la notte dell'abbordaggio, quando lanciava la Folgore addosso al vascello di linea, lo guardavano con superstizioso terrore, e si chiedevano se quell'uomo era veramente un mortale al pari di loro od un essere soprannaturale, che né le mitraglie, né le spade, né gli uragani potevano abbattere. Ad un tratto, quando i marosi irrompevano con maggior rabbia sui bordi del veliero, si vide il Corsaro scostarsi un istante dalla barra, come se avesse voluto precipitarsi verso la scaletta di babordo del cassero e fare un gesto di sorpresa e fors'anche di terrore.
Una donna era uscita allora dal quadro e saliva sul cassero, aggrappandosi alla branca della scala con suprema energia, onde non venire rovesciata dalle scosse disordinate della nave.
Era tutta avvolta in un pesante vestito di panno di Catalogna, però aveva il capo scoperto ed il vento faceva volteggiare in aria i superbi capelli biondi!
- Signora! - gridò il Corsaro, che aveva subito riconosciuta in quella donna la giovane fiamminga. - Non vedete che qui vi è la morte?
La duchessa non rispose, gli fece un cenno della mano che pareva volesse dire:
- Non mi fa paura.
- Ritiratevi, signora, - disse il Corsaro, che era diventato piú pallido del solito.
Invece di obbedire la coraggiosa fiamminga si issò sul cassero, lo attraversò tenendosi aggrappata alla barra della randa e si rincantucciò fra la murata e la poppa della grande scialuppa la quale era stata calata dalle gru per impedire alle onde di portarla via.
Il Corsaro le fece cenno di ritirarsi, ma ella fece col capo un energico gesto di diniego.
- Ma qui vi è la morte!... - le ripeté. - Tornate nel quadro, signora!
- No, - rispose la fiamminga.
- Ma che cosa venite a fare qui?
- Ad ammirare il Corsaro Nero.
- Ed a farvi portar via dalle onde.
- Che importa a voi?...
- Ma io non voglio la vostra morte, mi capite, signora! - gridò il Corsaro, con un tono di voce, nel quale si sentiva vibrare per la prima volta un impeto appassionato.
La giovane sorrise, però non si mosse. Rannicchiata in quel cantuccio, colle mani strette attorno al suo pesante vestito, coi capelli svolazzanti, si lasciava bagnare dall'acqua che irrompeva sul cassero, senza staccare gli occhi dal Corsaro.
Questi, avendo compreso che tutto sarebbe stato inutile, e forse lieto di vedersi quasi vicina quella coraggiosa giovane, che era salita lassú sfidando la morte, per ammirare la sua audacia, non le aveva piú ripetuto l'ordine di abbandonare il cassero. Quando l'uragano lasciava alla sua nave un istante di tregua, volgeva gli occhi verso la duchessa e forse involontariamente le sorrideva. Certo si ammiravamo entrambi.
Tutte le volte che la guardava, i suoi occhi s'incontravano subito in quelli di lei, che avevano acquistata una immobilità quasi vitrea, come al mattino quand'ella si trovava sulla prora del vascello di linea.
Quegli occhi però, dai quali emanava un fascino misterioso, mettevano indosso all'intrepido filibustiere un turbamento, che egli non sapeva spiegarsi. Anche quando non la guardava, sentiva che essa non lo perdeva di vista un solo istante e provava un desiderio irresistibile di volgere il capo verso quell'angolo della nave.
Vi fu anzi un momento, in cui le onde si rovesciavano con maggior impeto sulla Folgore, che ebbe paura di quello sguardo, poiché le gridò:
- Non guardatemi cosí, signora!... Giuochiamo la vita!
Quel fascino inesplicabile subito cessò. La giovane chiuse gli occhi ed abbassò il capo, coprendosi il volto colle mani.
La Folgore si trovava allora presso le sponde di Haiti. Alla luce dei lampi eransi vedute delinearsi delle alte coste fiancheggiate da pericolose scogliere, contro le quali poteva frantumarsi la nave. La voce del Corsaro echeggiò tosto fra i muggiti delle onde e gli urli del ventaccio.
- Una vela di ricambio sul trinchetto!... Fuori i fiocchi!... Attenti a virare!...
Il mare, quantunque il vento lo spingesse verso le coste meridionali di Cuba, era spaventoso anche presso quelle di Haiti. Ondate di fondo, alte quindici o sedici metri, si formavano attorno alle scogliere, provocando delle contro-ondate terribili. La Folgore però non cedeva. La vela di ricambio era stata spiegata sul pennone di trinchetto ed i fiocchi erano stati ricollocati sul bompresso, e filava sotto la costa come uno steamer lanciato a tutto vapore. Di quando in quando i marosi la rovesciavano impetuosamente, ora sul babordo ed ora sul tribordo, tuttavia il Corsaro con un vigoroso colpo di barra la risollevava, rimettendola sulla buona via. Fortunatamente l'uragano, dopo aver raggiunta la sua massima intensità, accennava a diminuire di violenza poiché ordinariamente quelle tempeste tremende non durano che poche ore. Le nubi cominciavano qua e là a rompersi, lasciando intravvedere qualche stella ed il vento non soffiava piú colla violenza primiera. Nondimeno il mare si manteneva burrascosissimo e molte ore dovevano trascorrere prima che quelle grandi ondate, scagliate dall'Atlantico entro il Grande Golfo, si calmassero e si livellassero.
Tutta la notte, la nave corsara lottò disperatamente contro i marosi, che l'assalivano da tutte le parti, riuscendo a superare vittoriosamente il canale di Sopravvento ed a sboccare in quel tratto di mare compreso fra le Grosse Antille e l'Isola di Bahama.
All'alba, quando il vento era girato da levante a settentrione, la Folgore si trovava quasi di fronte al capo haitiano.
Il Corsaro Nero, che doveva essere affranto da quella lunga lotta, e che aveva le vesti inzuppate d'acqua, quando poté discernere il piccolo faro della cittadella del capo, rimise la ribolla del timone a Morgan, poi si diresse verso la grande scialuppa, presso la cui poppa si trovava ancora rannicchiata la giovane fiamminga e le disse:
- Venite, signora: vi ho ammirato anch'io e credo che nessuna donna avrebbe affrontata la morte come avete fatto voi per vedere la mia Folgore lottare coll'uragano.
La giovane si era alzata, scuotendosi di dosso l'acqua che le aveva inzuppate le vesti non solo, ma anche i capelli. Guardò il Corsaro negli occhi, sorridendo poi gli disse:
- Può darsi che nessuna donna avrebbe osato salire in coperta, ma posso dire che io sola ho veduto il Corsaro Nero guidare la sua nave, in mezzo ad uno dei piú tremendi uragani, ed ho ammirato la sua forza e la sua audacia.
Il filibustiere non rispose. Era rimasto dinanzi a lei guardandola con due occhi ardenti mentre la sua fronte pareva che fosse diventata cupa.
- Siete una valorosa, - mormorò poi, ma cosí sommessamente da venire udito solamente da lei.[...] [Il Corsaro Nero, E. Salgari, Donath Editore, Genova, 1898, Capitolo XIV]



[...] - Amici, - disse (Il Corsaro Nero) con voce spezzata. - Ella è qui!...
- Voi non ne avete ancora la certezza, signore, - disse Carmaux.
- Ti dico che Honorata è qui! - gridò con esaltazione.
- Possibile che la duchessa fiamminga sia diventata la regina degli antropofaghi? - esclamò Wan Stiller. - E se fosse invece un'altra? Qualche spagnuola sfuggita ad un naufragio?
- No, il cuore mi dice che quella donna è la figlia di Wan Guld.
- Saremo salvi o saremo perduti? - si chiese Carmaux.
Il Corsaro non rispose. Aggrappato alle sbarre della gabbia, ansante, affannato, colla fronte imperlata d'un freddo sudore, guardava verso la scogliera sulla cui cima doveva fra poco apparire il genio del mare. Un tremito convulso agitava le sue membra.
La cerimonia del sacrificio era cominciata.
Una moltitudine d'indiani aveva invasa la spiaggia, mentre numerose scialuppe percorrevano la baia dirigendosi verso la scogliera.
Verso il mare si udivano dei canti strani e ad intervalli risuonavano dei colpi sordi che parevano mandati da un enorme tamburo.
La regina degli antropofaghi, circondata dai capi e dai più famosi guerrieri della tribù, doveva aver cominciati i sacrifici destinati alle divinità del mare. Le rocce però impedivano ai corsari di vedere la strana cerimonia. Gl'indiani accalcati sulla spiaggia si erano inginocchiati e univano le loro voci a quelle che venivano dalla scogliera. Era un canto triste, monotono, senza scatti, che rassomigliava al misurato rompersi delle onde contro la costa.
Ad un tratto però si fece un gran silenzio. Tutti gl'indiani si erano sdraiati al suolo, colla fronte appoggiata sulla sabbia.
Il sole era allora prossimo al tramonto. Scendeva in mare fra due nuvole color del fuoco, mandando i suoi ultimi raggi proprio sulla cima della scogliera. Tutto all'intorno le acque scintillavano, come se dei getti d'oro fuso si fossero mescolati o fossero sorti dalle profondità del mare.
Il Corsaro non distaccava gli sguardi dalla vetta sulla quale doveva apparire la regina degli antropofaghi. Il cuore gli batteva così forte da rompergli il petto, mentre stille di sudore gli solcavano il volto ritornato pallidissimo.
Carmaux, Wan Stiller e Moko, pure in preda ad una viva ansietà, si erano collocati ai suoi fianchi.
- Guardatela! - esclamò improvvisamente Carmaux.
Sul fondo infuocato del cielo era comparsa una forma umana. Si teneva ritta sulla punta estrema della scogliera, colle braccia tese verso la tribù che gremiva la spiaggia. La distanza che la separava dai filibustieri era tale da impedire a questi di poterla ravvisare, ma il cuore del Corsaro aveva provato un sussulto. Qualche cosa, come una specie di corona di metallo, probabilmente d'oro, scintillava sulla testa della regina ed un ampio mantello, che pareva formato di piume variopinte, l'avvolgeva dalle spalle ai piedi. Anche alle braccia, che sembravano nude, scintillavano dei pezzi di metallo, forse dei braccialetti o dei monili.
Le chiome erano sciolte e ondeggiavano leggiadramente attorno al volto della regina, sotto i primi soffi della brezza notturna.
- La vedete, signore? - chiese Carmaux.
- Sì, - rispose il Corsaro, con voce soffocata.
- La riconoscete?
- Ho un velo dinanzi agli occhi... ma il mio cuore batte forte e mi dice che quella donna è la stessa che io ho abbandonata sul mare tempestoso dei Caraibi.
In quell'istante una voce robusta, potente, quella del capo indiano, echeggiò per l'aria:
- Guerrieri rossi!... La nostra regina proclama sacri gli uomini bianchi, figli delle divinità marittime!... Sventura a chi li tocca!
Il sole in quel momento scomparve e l'oscurità scese rapida, celando agli sguardi dei corsari la regina degli antropofaghi.
Il signor di Ventimiglia si era lasciato cadere, nascondendosi il viso fra le mani. Ai suoi compagni era sembrato di udire come un sordo singhiozzo. Gl'indiani avevano abbandonata la spiaggia e anche le scialuppe erano approdate.
Passando dinanzi alla gabbia, uomini, donne e fanciulli s'inchinavano come se i prigionieri fossero diventati, di punto in bianco, delle vere divinità. Il passaggio era già terminato, quando si vide comparire il capo, seguito da quattro guerrieri che portavano dei rami resinosi accesi.
Con un colpo di mazza sfondò quattro sbarre e, preso il Corsaro per una mano, gli disse:
- Vieni! La regina ti attende.
- Le hai detto il mio nome? - chiese il signor di Ventimiglia.
- Sì.
- Dimmi se ha i capelli biondi o neri.
- Come l'oro.
- Honorata! - esclamò il Corsaro, comprimendosi il petto con ambe le mani. - Andiamo!... Conducimi dalla regina!
L'indiano attraversò il villaggio che pareva deserto, non scorgendosi alcun lume brillare nelle capanne nè udendosi alcun rumore, si cacciò sotto la foresta che la luna cominciava ad illuminare e un quarto d'ora dopo s'arrestava dinanzi ad una vasta abitazione la quale sorgeva in mezzo ad una macchia di magnolie.
Era una costruzione che non mancava d'una certa eleganza, colle pareti coperte di stuoie dipinte a vivaci colori, con una veranda che le girava tutto intorno ed un doppio tetto terminante a punta per ripararla meglio dai cocenti raggi del sole. Una lampada, avanzo certamente di qualche nave naufragata in quei paraggi, illuminava vagamente l'interno, lasciando nella penombra buona parte della vasta stanza. Il Corsaro, pallido come un cencio lavato, si era arrestato sulla soglia. Gli pareva d'avere un denso velo dinanzi agli occhi.
- Entra, - gli disse il capo, il quale si era arrestato al di fuori assieme ai quattro guerrieri. - La regina è qui!
Una forma umana, avvolta in un ampio mantello di penne di jacamar verdi e oro a strisce fiammeggianti, con in testa una corona d'oro, si era staccata dalla parete opposta, avanzandosi lentamente verso il Corsaro. Giunta a tre passi da lui, aprì il mantello gettando contemporaneamente indietro, con un rapido moto del capo, l'opulenta capigliatura bionda che le scendeva sulle spalle e sul petto in pittoresco disordine. Era una splendida creatura di venti o ventidue anni, colla pelle rosea, gli occhi grandi, che mandavano vivi lampi, con una bocca piccolissima, che lasciava intravedere dei denti piccoli come granelli di riso e scintillanti come perle. Aveva il corpo racchiuso in una specie di camicia di seta azzurra, stretta ai fianchi da una cintura d'oro e le braccia cariche di monili di gran valore ed in mezzo al petto portava l'emblema del sole, in argento massiccio.
Il Corsaro era caduto in ginocchio dinanzi a lei, esclamando con voce soffocata: - Honorata!... Perdono!
La regina degli antropofaghi, o meglio la figlia di Wan Guld, era rimasta immobile dinanzi a lui. Il seno però le si sollevava impetuosamente, mentre dei sordi singhiozzi le morivano sulle labbra.
- Perdonami, Honorata, - ripetè il Corsaro, tendendo le braccia.
La regina si curvò su di lui e lo rialzò, mormorando con voce rotta:
- Sì, t'ho perdonato... la notte istessa in cui tu mi abbandonasti sul mare dei Caraibi... Tu vendicavi i tuoi fratelli.
Poi scoppiò in pianto, nascondendo il bel volto sul petto del fiero scorridore del mare.
- Cavaliere, - mormorò. - T'amo ancora!
Il Corsaro aveva mandato un grido di gioia suprema e si era stretta al cuore la giovane donna. Ad un tratto però si staccò da lei quasi con orrore, coprendosi il viso colle mani.
- Sorte fatale! - esclamò. - Parliamo così, mentre fra me e te il triste destino che mi perseguita ha gettato tanto sangue!
Honorata udendo quelle parole era indietreggiata, mandando un grido.
- Ah! - esclamò. - Mio padre è morto!
- Sì, - disse il Corsaro con voce cupa. - Egli dorme il sonno eterno nei baratri del gran golfo, nella stessa tomba ove riposano i miei fratelli.
- Me l'hai ucciso... - singhiozzò la povera giovane.
- È il destino che te l'ha ucciso, - rispose il Corsaro. - Egli si è inabissato col suo vascello, mentre cercava di trarmi nella gran tomba umida, dando fuoco alle polveri. - E tu sei sfuggito alla morte!
- Dio non ha voluto che io morissi senza rivederti.
- Perdono per mio padre!
- Le anime dei miei fratelli sono placate, - disse il Corsaro con voce funebre.
- E la tua?
- La mia!... L'uomo che odiavo non vive più e oltre la tomba non sopravvive la vendetta. La mia missione è finita.
- E anche l'amor tuo è morto, cavaliere? - singhiozzò Honorata.
Un sordo gemito fu la risposta.
Ad un tratto il Corsaro prese la giovane per una mano, dicendole:
- Vieni!...
- Dove vuoi condurmi?
- Bisogna che veda il mare.
La trasse fuori dalla casa e la condusse verso la foresta, inoltrandosi sotto i grandi alberi.
Il capo indiano ed i suoi guerrieri, ad un cenno della regina, si erano arrestati, mentre si disponevano a seguirla. La notte era splendida, una delle più belle che il Corsaro avesse ammirato sotto i tropici. La luna splendeva in un cielo purissimo, sgombro di qualsiasi nube, proiettando i suoi raggi azzurrini, sui giganteschi pini e sui funebri cipressi della foresta.
L'aria era calma, tiepida, carica di profumi deliziosi delle magnolie, delle coreopsidi gialle e delle passiflore. Un silenzio quasi assoluto, pieno di pace e di mistero, regnava al di sotto dei grandi vegetali. Solamente di quando in quando, in lontananza, si udiva il frangersi dell'onda mossa dalla marea.
Il Corsaro aveva cinta colla destra la sottile vita della giovane donna, la quale da canto suo aveva posato il biondo capo sulla spalla di lui. Camminavano lentamente, in silenzio, ora occultandosi sotto la fosca ombra dei vegetali ed ora comparendo alla luce dell'astro notturno.
- Morire così, fra il profumo dei fiori e la luna dinanzi agli occhi, sotto queste ombre misteriose, - disse ad un tratto Honorata. - Potessero in questo momento le mie palpebre chiudersi per sempre e non riaprirsi più mai!
- Sì, la morte, l'oblio! - rispose il signor di Ventimiglia con voce cupa.
Il mare cominciava ad apparire attraverso i tronchi degli alberi. Scintillava come una immensa lastra d'argento e tremolava vagamente sotto la spinta della marea. L'onda muggiva cupamente, frangendosi con crescente fragore.
Il Corsaro si era arrestato presso una gigantesca passiflora e guardava con una specie d'ansietà la brillante superficie del mare. Si sarebbe detto che in mezzo a quei flutti argentei cercasse di scoprire qualche cosa.
- Essi dormono laggiù, - disse ad un tratto. - Forse a quest'ora sanno che noi siamo uniti e rimontano a galla per maledirci.
- Cavaliere! - esclamò Honorata, con terrore. - Quali follie!
- Credi tu che l'odio sia spento nell'anima tormentata di tuo padre? Credi tu che il suo cadavere non si agiti sapendoci vicini? Ed i fratelli miei, ai quali avevo giurato l'esterminio di tutta la sua razza?
- Sì, essi rimontano a galla, - proseguì il Corsaro che pareva fosse in preda ad una viva esaltazione. - Io li vedo salire dagli abissi del mare a guizzare attraverso le onde luminose. Essi vengono a imprecare contro il nostro amore, essi vengono a rammentarmi i miei giuramenti, essi vengono a dirci che fra me e te vi sono quattro cadaveri... del sangue... dell'odio... Dell'odio... Ed essi forse ignorano quanto io ti ho amata e quanto io ti ho pianta. Honorata, dopo quella notte fatale che ti abbandonai sola, in mezzo alla tempesta, affidandoti alla misericordia di Dio!... Guardali, Honorata, guardali... Ecco il Corsaro Verde... ecco il Rosso... ecco tuo padre... e anche l'altro mio fratello ucciso sulle terre di Fiandra...
- Cavaliere! - esclamò la giovane, atterrita. - Ritorna in te!...
- Vieni!... Vieni!... Voglio vederli!... Voglio dire loro che io t'amo!... Che ti voglio mia sposa!... Che le loro anime ritornino negli abissi del Gran Golfo e che non risalgano più mai alla superficie.
Il Corsaro, che pareva avesse smarrita completamente la ragione, trascinava Honorata verso la spiaggia. I suoi occhi mandavano strani bagliori e un tremito convulso agitava le sue membra.
La giovane regina degli antropofaghi si lasciava condurre senza opporre resistenza, quantunque comprendesse che il Corsaro correva incontro alla morte.
Quando giunsero sulla spiaggia, la luna stava per tramontare in mare. Un'immensa striscia d'argento si proiettava sull'acqua, la quale pareva che tutto d'un tratto avesse acquistata una trasparenza insolita. Il Corsaro si era arrestato, curvo innanzi, cogli occhi smisuratamente dilatati, fissi in quella striscia scintillante.
- Li vedo!... Li vedo!... - esclamò. - Ecco le quattro salme che salgono dal fondo del mare e che si coricano sull'onda luminosa!... Essi ci guardano!... Vedo i loro occhi scintillare come carbonchi attraverso i flutti!... Non hai udito tu il gemito di mio fratello morto in Fiandra?
- È la brezza notturna che sibila fra i cipressi, - disse la giovane.
- La brezza!... - esclamò il Corsaro come se non avesse compreso. - No, è vento che viene dalla Fiandra!... È l'urlo di mio fratello assassinato ai piedi della rocca!... E questo grido? L'hai udito tu!... È del Corsaro Verde!... Io l'ho udito la sera che abbandonavo il suo cadavere fra le onde del mar dei Caraibi!... E questo è il gemito del Corsaro Rosso!... Anche Carmaux e Wan Stiller l'hanno udito la notte nella quale io rapivo la sua salma dalla forca di Gibraltar. E questo rombo che mi rintrona gli orecchi?... È la fregata che salta!... La nave che tuo padre ha inabissato!... Vieni, anche la nave rimonta a galla!... Forse risalirà anche la mia Folgore che l'Atlantico mi ha inghiottita!...
Il Corsaro, sempre tenendo stretta al suo fianco la giovane donna, scendeva la spiaggia. Le onde mosse dalla marea si frangevano fra le sue gambe e ricadevano gorgogliando e scintillando sotto gli ultimi bagliori della luna.
Aveva sollevata fra le robuste braccia la giovane regina e si avanzava fra i flutti, gridando:
- Vengo!... Fratelli!... Vengo!
Ad un tratto s'arrestò. Aveva già l'acqua alla cintura e le onde gli rimbalzavano fino alle spalle.
- Dove sono io? - si chiese. - Cosa sto per commettere?... Honorata!...
La giovane l'aveva avvinghiato al collo ed i suoi biondi capelli s'erano attortigliati attorno al Corsaro.
- La vita o la morte? - gli chiese.
- L'amor tuo, - rispose la giovane con un filo di voce.

L'indomani Carmaux, Moko, Wan Stiller e gli indiani, perlustrando la spiaggia, trovavano sulla sabbia la corona ed il mantello di piume della regina e la misericordia del Corsaro.
Contate le scialuppe, avevano trovato che ne mancava una. [La regina dei Caraibi, E. Salgari, Donath Editore, Genova, 1901, Capitolo XXXIII]

Nelle foto: Honorata Wan Guld, illustrazioni di Giuseppe Gamba. Il Corsaro Nero, E. Salgari, Donath Editore, Genova, 1898; La regina dei Caraibi, E. Salgari, Donath Editore, Genova, 1901.






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