Yanez, e le insidie di Kama
Maurizio Musso

Narrano le antiche leggente vediche, di Kama-deva, dio giovane e bellissimo,
 figlio del cielo e dell’inganno, compagno di Rati,la voluttà e Vasanta, la primavera.
Egli vaga in cerca delle sue vittime, a cavallo di un pappagallo,
circondato da creature celestiali.

La sua arma micidiale è un arco: la verga é canna da zucchero; la corda, una fila d’api;
 le frecce, i fiori penetranti dell’amra.
I suoi cinque  dardi insidiosi risvegliano i sensi e muovono l’energia creatrice.
Se l’ira di Shiva lo annienta
 costringendolo a vagare senza meta come kama-ananga (senza corpo),
il desiderio di Shiva lo fa rinascere, nel ciclo eterno dell’amore che rinnova ogni cosa.

 

 

[La giovane bajadera, che era stata trasportata in una delle cabine del quadro e medicata prontamente da Yanez e da Sandokan, tre giorni dopo era, se non completamente guarita, almeno in grado di condurre i suoi protettori alla vecchia pagoda dove doveva aver luogo l'oni-gomon.
Durante quei tre giorni si era mostrata sempre contentissima di trovarsi in quella comoda ed elegante cabina e fra quei nuovi protettori, dei quali aveva subito abbracciata con entusiasmo la causa, fornendoli di preziosi particolari sulla sanguinosa associazione dei Thugs. Non aveva però potuto dire nulla della nuova «Vergine della pagoda», la piccola Darma, della quale fino allora non aveva mai udito parlare. Dimostrava poi una speciale riconoscenza pel sahib bianco, come chiamava il flemmatico Yanez che si era creato suo infermiere e che amava volentieri parlare con lei, la quale si spiegava in un inglese perfetto, ciò che dimostrava una educazione elevata e piuttosto rara fra le bajadere (“Le dueTigri”, Cap.VI )]

 

L'alba inondava di oro e porpora la distesa tranquilla delle sacre acque del Gange.

Dopo i movimentati accadimenti della sera precedente, Yanez aveva dormito pochissimo e male,

e ora in compagnia della sua inseparabile sigaretta assisteva indifferente a quel tripudio di colori e luci.

Da qualche tempo non era più lo stesso; quell'atteggiamento distaccato, ironico e un po' beffardo,
che era servito tante volte a celare la sua proverbiale astuzia e la sua volontà di ferro, di fronte ai mille pericoli della sua vita avventurosa, sembrava averlo abbandonato.

Più volte si era sorpreso a riconoscere queste doti perdute, nelle azioni insolitamente misurate del suo "fratellino"1, che doveva essersi accorto della cosa perché sempre più spesso sfoderava un sorriso enigmatico, rivolto al compagno.

E ora all'improvviso era comparsa questa fanciulla.

Non riusciva a farsi una ragione che un sentimento così strano e inaspettato per un uomo maturo e temprato quale egli si stimava, potesse farsi strada nel suo cuore timidamente ma inesorabilmente, serpeggiante come la lama di un kriss.

"Follie", concluse infine, tirando le fila dei suoi ragionamenti che, per la prima volta, gli apparivano vuoti e inconcludenti.

"L'aria immobile di queste terre e i miasmi pestilenziali di questo fiume mi stanno infiacchendo." Disse scrollandosi e sollevandosi dalla murata di poppa dove per lunghi minuti si era abbandonato al corso dei suoi pensieri.

Davanti a lui, come una luna piena, si parò Sambigliong.

"La fanciulla ha chiesto di voi, signor Yanez!"

"E che cosa vuole ? Non puoi occupartene tu ?", replicò seccato.

"La fanciulla ha chiesto di voi", ripeté, e questa volta Yanez credette di scorgere sul viso dell'immenso malese l'accenno vago di un sorriso del tutto inconsueto in lui.

Senza rispondere il portoghese scese la scaletta di accesso al quadro,
 dirigendosi verso la cabina dove era stata ricoverata la giovane indiana.

Nonostante cercasse di controllarsi, mano a mano che si avvicinava,
 sentiva che il suo cuore era in tumulto.

La trovò morbidamente distesa fra tappeti e cuscini.

Era bellissima. Una vaporosa massa di capelli neri, intrecciati ai fiorellini bianchi del mussenda,
 con dei graziosi nastrini azzurri, le cadeva mollemente sulle spalle.

L'ovale perfetto del viso, gli occhi grandi e nerissimi, il naso piccolo e delizioso,
le labbra come un bocciolo di rosa, tutto contribuiva a renderla incantevole allo sguardo.

Per un attimo rimasero entrambi silenziosi.

"Cosa desiderate ?" esordì Yanez un po' brusco, irritato forse di non riuscire a dominarsi.

"Il sahib bianco é forse adirato con me ?, sto diventando un peso per lui ?"
 chiese la bella bajadera tremante.

"Ma cosa dite ? Qui siete al sicuro e nessuno vuole abbandonarvi."

"Non voglio tornare a vivere con quei miserabili. Preferirei morire."

"Non temete, abbiamo giurato odio eterno alla tigre dell'India, non tornerete nelle mani di quegli assassini. E poi voi potete esserci preziosa per aiutarci a raggiungerli."

"E' solo per questo che mi avete risparmiata e accolta ? E dopo? Cosa ne sarà di me dopo ?"

"Vi ripeto: non temete; Sandokan ha promesso di provvedere a voi. Egli non é mai venuto meno alla sua parola. E tutti noi l'abbiamo sempre rispettata."

"Dunque tu rispetti soltanto la decisione del tuo comandante" diss'ella.

"Cosa importa ciò ?"

"A me importa" disse la fanciulla, improvvisamente determinata, e quel piglio deciso,
in una creatura così vulnerabile, la rendeva ancora più bella e desiderabile.

A queste parole lui parve vacillare: "per cosa mi avete fatto chiamare ?" chiese asciutto.

La danzatrice si sentì umiliata e questo dovette essere subito evidente al portoghese
che, dopo un attimo di esitazione, si affretto a riparare : "scusami fanciulla,
dimmi piuttosto, come ti senti ? Avverti ancora dolore al fianco ?"

"No, ma sento che la febbre non mi ha ancora abbandonato" sussurrò rincuorata.

Yanez si avvicino, e curvatosi, si appresto ad esaminare le fasce che avvolgevano alla vita quel
corpo flessuoso. Svolse con delicatezza le bende e scoprì la ferita, ormai quasi rimarginata,
contornata da un vasto alone arrossato. Intorno la pelle appariva levigata ed elastica.

Lo sguardo di Yanez corse fino all'ombelico perfetto, e ai fianchi abbronzati, ancora cinti dalla
graziosa catenina d'oro che aveva adornato, con altri preziosi monili, il suo corpo,
nelle danze frenetiche della sera innanzi.

Pose quindi la sua mano ruvida sul viso della giovane e il gesto, iniziato sulla piccola fronte per saggiarne il calore, scese divenendo una carezza dolce.

Surama si abbandonò a quel tocco leggero e con un movimento lieve sfiorò con le labbra la mano del suo infermiere.

Yanez, confuso, abbassò lo sguardo e, dopo averla medicata, cinse nuove bende su quel tronco sottile.

“La ferita è in via di guarigione, e la febbre ti lascerà in capo a poche ore. Hai solo bisogno di riposo.” Detto questo si alzò di scatto per andarsene.

"Tornerai a trovarmi , sahib ?" chiese la giovane con apprensione.

Yanez si voltò e con tono raddolcito disse :"Verrò presto. Ma ora riposati", e, seguito dal sorriso luminoso di lei, che non poteva scorgere, si allontanò.

 

***

 

Alla sera Yanez ritornò dalla sua paziente, bussò delicatamente e, non avendo avuto risposta, entrò.

Surama, tale era il nome della giovane, giaceva profondamente addormentata in un delizioso disordine.

Il portoghese pensò bene di lasciarla riposare e, dopo averla ammirata a lungo,
 un po' a malincuore lasciò la cabina.

 

***

 

Il giorno successivo, di buon ora, qualcuno si affacciò alla porta della giovane bajadera,
che rimase un po' delusa nel vedere il viso olivastro e rotondo del fido Sambigliong.

“Salute a te” disse il rozzo marinaio, porgendole una tazza di tè scurissimo e bollente ed alcuni dolcetti un po' stantii recuperati chissà dove.

La giovane ringraziò e chiese subito del "suo" sahib bianco.

"La Tigre e padron Yanez, insieme ai loro ospiti, sono scesi a terra prestissimo e non sono ancora tornati" rispose il malese, e, non avendo ricevuto altri segni, voltatosi, si allontanò.

 

***

 

Era scesa da poco la sera, Surama stava dormendo dolcemente su una comoda poltrona
 sulla quale era riuscita a sollevarsi, quando fece il suo ingresso Yanez.

L’uomo si fermò per alcuni istanti a contemplare quel viso bellissimo, pacificato dal sonno.

D'improvviso lei apri i grandi occhi neri che subito si fissarono quieti su quelli dell'europeo,
 in attesa.

“E questi cosa sono ?” chiese lui divertito, indicando la modesta ciotola e i miseri cocci,
 deposti in un angolo.

“E’ la mia colazione sahib !” rispose allegra.

Un lieve sorriso increspò le labbra sottili del portoghese.

“Il buon Sambigliong è un ottimo pilota, ma un pessimo maggiordomo ("bestia", pensò, sarebbe stato il termine adatto, ma non in presenza di una fanciulla). Ho perso ormai ogni speranza di insegnargli le buone maniere con gli ospiti di riguardo. Mi scuso. Domani provvederò io stesso."

“E io sarei un’ospite di riguardo ?” disse prorompendo in una risata argentina,
 che incantò l’europeo.

"Sono felice di trovarvi migliorata."

"In verità mi sento ancora assai debole."

"Come avete trascorso la notte, milady ?"

"Ho fatto sogni orribili."

"Come, non avete affidato il vostro riposo a qualcuno dei vostri innumerevoli dei tutelari ?"
 disse un po' ironico e condiscendente.

"Vi burlate forse di me ?", fece un po' sospettosa, "forse i vostri dei vi proteggono meglio ?"

“Non ho bisogno di invocare protezioni.
Voglio contare solo sulle mie forze e cerco di non fidarmi di nessuno."

"Rinnegate anche le dolcezze di Kama2? E' questa la forza di voi europei?

"Cosa c’entrano adesso gli europei ?"

"C’entrano sempre. Vengono come padroni nelle nostre terre e sotto un velo di cortesia, disprezzano noi e le nostre sacre tradizioni" rispose lei in tono un po’ accademico. 

“Credo di capire a quali tradizioni vi riferite.” Replicò Yanez ironico. “Quella ad esempio di assassinare una vedova dopo averla drogata, per compiacere un marito cui ormai nulla importa di questo mondo, e per appagare una massa di parenti e fedeli fanatici, devoti a chissà quali sanguinarie divinità. Per quel che mi riguarda, se voi foste la mia sposa, vi esenterei dall’obbligo di sacrificare la vostra vita per onorare simili barbare usanze !”

“Se voi foste il mio sposo io …” iniziò infervorata la bella bajadera, ma subito si arrestò, arrossendo vistosamente.

“Dite…” la invitò Yanez. “Ma, vi sentite bene ?”

“Nulla, sahib, nulla …”

"Comunque, il progresso deve imporsi", proseguì il portoghese, "dovete imparare dai vostri conquistatori,  non solo per contrastarli e liberarvene, ma per elevare la vostra civiltà.
Credetemi non vi é altro mezzo."

 

"Di quale civiltà parlate ? Di quella portata dai “barbari biondi” ? Davvero la stimate superiore ?

E davvero credete di essere invincibili ?

Badate una grande sciagura si sta abbattendo sull'India intera.

Nelle città, il popolo prepara una vendetta terribile contro i bianchi. Nessuno verrà risparmiato."

 

"Non so di quali informazioni disponete, ma se vi riferite ai disordini causati dai sepoys, che hanno interessato di recente alcune guarnigioni nell’interno, dubito che gli Inglesi si lasceranno sfuggire facilmente il controllo. E se anche fosse è solo questione di tempo. La Corona potrebbe riversare in poche settimane interi battaglioni perfettamente addestrati e potentemente armati, in tutto il Paese. Non sarebbe solo una lotta impari, sarebbe una carneficina. E badate che mi duole dirlo.

Purtroppo la  nazione indiana è divisa in mille fazioni e sarebbe facile preda del leopardo inglese.”

 

"Vi duole, sahib ? "

 

"Certo. Voi state parlando degli Inglesi, che io ho odiato e combattuto con tutte le mie forze in molte occasioni. Tuttavia tremo di fronte ai massacri che potrebbero seguirne."

 

"Che cosa vi fa diverso dagli Inglesi ? Avete forse rinnegato le vostre radici e la vostra gente ?"

 

"La mia pelle é bianca, ma il mio braccio é con questi uomini che hanno deciso di restare
liberi. E la mia mente é al servizio di questa causa."

 

"Braccio, mente, ... e il vostro cuore ? Non ha mai conosciuto l'amore il vostro cuore ?" disse la bella indiana, forse un po’ annoiata dai quei discorsi troppo seriosi e cupi.

Yanez non raccolse quella fanciullesca provocazione, ma sorrise.

«Io vi sto intrattenendo da troppo tempo, mentre voi avete bisogno di riposare e recuperare le forze. Riprenderemo più tardi le nostre conversazioni”, e detto questo, si congedò.

Mentre Yanez si allontanava Surama, sommessamente, sussurrava:

“Foste voi il mio sposo, io potrei morire per voi, solo per voi,
 se solo vi abbandonaste a Kamadeva …”

 

***

 

Il mattino successivo Yanez si presentò con un luccicante vassoio d'argento colmo di ogni ben di Dio. Lo seguiva impettito Sambigliong con due grossi cesti, uno dei quali ripieno di frutta coloratissime e profumate.

"Che meraviglia" disse Surama, esprimendo la propria gioia con gridolini da bambina felice.

"Buongiorno milady, spero che quest'oggi il servizio sarà di vostro gradimento."

Detto questo, e congedato il fido malese, si sedette presso la giovane servendogli il te e riservandogli ogni genere di attenzioni.

La fanciulla assaggiò solo alcuni cibi con razioni da pettirosso, e rimarcando ogni cosa, mentre il portoghese la osservava compiaciuto.

"Parlate un perfetto inglese, dove l'avete imparato ? non certo dai thuggies."

"Da loro ho imparato solo a comprendere un po' il ramashy, la loro lingua maledetta"
 disse mestamente.

"Cos'é il ramasee ?"

"Una sorta di dialetto con il quale gli adepti comunicano e si riconoscono."

“Cos’altro potete dirmi di questa diabolica setta ?”

“Ben poco, sahib. Per mia fortuna sono stata allevata, insieme ad altre, al riparo delle loro scelleratezze, per servire e compiacere la dea nera con la danza. Grazie alle confidenze delle anziane, però, qualcosa è trapelato anche a noi. Si tratta soprattutto delle rivelazioni atroci di seguaci, in nulla dissimili da volgari criminali, svelate impunemente sotto l’effetto del toddy3 o per soddisfare la raccapricciante vanteria di avere “offerto” alla dea centinaia di vittime.

Questi miserabili operano in bande, e come serpenti cercano di cattivarsi la simpatia e la fiducia
delle carovane e dei pellegrini isolati, che incontrano sul loro cammino verso le città sante.

La maggior parte di loro sono diventati banditi da strada, e badano più a depredare e spogliare delle loro misere ricchezze le disgraziate vittime, che a celebrare i rituali che dovrebbero “santificare” questi macabri sacrifizi.

Si limitano a massacrarli sorprendendoli isolati o nel sonno, godendo del loro terrore impotente e della loro agonia, e li seppelliscono subito per occultare le tracce delle loro infamie.

Nondimeno i veri fanatici sono forse più pericolosi e terribili, non lasciando trapelare nulla dei loro piani abominevoli e rispondendo del loro operato soltanto ai capi della setta, che si dice siano potentissimi.”

Yanez aveva ascoltato in silenzio quella testimonianza inquietante.

“Non avete udito parlare di una piccola bimba consacrata al culto della dea ?”

La fanciulla si prese alcuni istanti per rispondere.

“No, sahib, nulla di tutto ciò è giunto alle mie orecchie. Tuttavia se è lei che state cercando mi sento di rassicurarvi. Non vengono mai sacrificati donne  e bambini a questo culto sanguinario. Anzi spesso accade che i carnefici si facciano carico dei figli delle loro vittime, e li allevano consacrandoli al servizio della nera Devì, e iniziandoli al thagi4

"Ma quale crudele destino vi ha condannato a vivere la vostra giovinezza a contatto con simili mostri ? Qualcosa ci avete già detto ..."

“La mia é una storia assai triste, sahib … " e subito si rabbuiò.

Yanez  credette bene di far cessare subito quella tetra conversazione.

"Ne parleremo un'altra volta. Badate soltanto a guarire e a mangiare ... non avete toccato quasi nulla."

"Una bajadera deve restar leggera, come i suoi veli ..." e finalmente sorrise. “Ma parlami invece di te, sahib e dei tuoi compagni. Chi siete ? Da dove venite ?”

“ Siamo pirati, milady, o almeno così ci definirebbero i “barbari biondi”, come li chiamate voi.

Certamente essi non ci lascerebbero sostare impunemente al riparo delle loro fortezze se avessero riconosciuto in noi le “tigri” dell’isola di Mompracem, come piace invece a noi, definirci.

Col tempo siamo diventati un piccolo popolo che riconosce in Sandokan il suo capo indiscusso, e che vive libero nei mari del Borneo. Molte tribù, ma anche semplici bande e famiglie, hanno deciso di unirsi a noi contro lo strapotere della Compagnia delle Indie nei mari malesi, combattendo sotto la bandiera della “Tigre”. Io stesso, che sono portoghese di nascita, sento ormai di appartenere a questa gente e da molti anni ho deciso di condividerne il destino.

Siamo accorsi qui a Calcutta per fornire tutto il nostro aiuto e sostegno a un amico indiano che in passato ha dovuto patire molto a causa della setta di Kalì e al quale questi spregevoli criminali hanno rapito Darma, la figlia piccolissima.”

“Voglio anch’io unirmi a voi e fare tutto ciò che posso per aiutarti a ritrovare quella bimba ! Tu hai fatto molto per me, sahib.” proruppe con slancio la bajadera.

“Avremo modo di parlare anche di questo. Ma più tardi. Adesso devo lasciarvi. Tornerò presto.”

 

***

***

***

 

 Yanez!... - gridò Sandokan. - È inutile che tu cerchi Surama.

 A quest'ora deve essere ben lontana, ma non disperarti. Noi daremo la caccia ai rapitori.

Il portoghese che in fondo al cuore, quantunque non lo dimostrasse,

 doveva nutrire una viva affezione per la disgraziata figlia del piccolo rajah assamese,

 per la prima volta forse in vita sua, perdette la calma.

- Devo ucciderli tutti e guai a loro se torceranno un capello a quella povera fanciulla!

 Ora sento anch'io di odiare a morte quei mostri (“Le dueTigri”, Cap.XVIII )

 

***

 

L'elefante manteneva un galoppo ammirabile, senza che il suo conduttore avesse bisogno

di aizzarlo coll'arpione, quantunque il terreno si prestasse poco per un corridore cosí

pesante, essendo sempre pantanoso.

In meno di due ore attraversò il tratto spazzato dal ciclone e raggiunse la jungla

meridionale, che pareva non avesse sofferto nulla da quelle trombe d'aria.

Infatti i bambú giganti, i calamus ed i foltissimi cespugli di mindi e di mussenda

riapparivano a macchioni, interrotti di quando in quando da gruppi di splendidi cocchi,

di pipal, di mangifere, di palmizi tara e di latanie, che crescevano sulle rive degli

stagni.

Un'ora piú tardi l'elefante, che non aveva cessato di trottare,

si cacciava in mezzo ad una immensa piantagione di bambú spinosi e di bambú tulda,

d'altezza straordinaria. (“Le dueTigri”, Cap.XIX )

 

***

 

Nella concitazione di quella corsa furiosa Yanez si era mantenuto silenzioso.

Ma chi avesse potuto seguire il corso turbinoso dei suoi pensieri avrebbe scoperto

una terribile, violenta lotta di emozioni contrastanti.

Sopra ogni cosa gli rimordeva rabbiosamente, la cautela con la quale aveva celato

i suoi veri sentimenti a Surama. Ed ora forse era troppo tardi.

Se apertamente condivideva la ragionevole speranza di ritrovare la fanciulla,

dentro di sé si faceva strada la certezza irrazionale e terribile che ella fosse perduta per sempre.

Malediceva gli spietati settari che gliel'avevano tolta, ma forse ancor più la sua incapacità di dichiarare apertamente, di fronte a tutti, l'amore che incendiava il suo cuore.

E forse non avrebbe più potuto farlo !

Ma doveva mantenere il controllo, ad ogni costo, e concentrare ogni sforzo
e ogni energia sugli odiati nemici.

Forse anche da questa prova poteva dipendere il destino della fanciulla, e il suo.

 

***

 

Verso il tramonto Sandokan ordinò la fermata, per concedere un po' di riposo

al bravo animale, il quale cominciava a dare segni di stanchezza e anche per

preparare la cena. (“Le dueTigri”, Cap.XIX )

 

***

 

Vicino al fuoco Sandokan si avvicinò a Yanez e stette silenziosamente accanto all'amico.

"Tu l'ami, vero ?" disse all'improvviso.

"Si", fu la risposta laconica del compagno.

"Non devi fuggire il tuo destino, l'amore ti renderà più forte e migliore."

"Grazie, fratellino ! Ma temo sia troppo tardi" replicò il portoghese, accennando un mesto sorriso.

"Non disperare, riavrai la tua Surama, lo sento... e tutti noi riavremo il nostro Yanez !",

e detto questo, dopo aver stretto la spalla del compagno, si allontanò.


FINE


1)      fratellino - appellativo confidenziale dato da Yanez a Sandokan

2)      KAMA - dio dell'amore, figlio di Brahma e Sarasvati,
 cavalca un pappagallo e ha arco e frecce fiorite.

3)      TODDY – liquore estratto dalla fibra della noce di cocco.

4)      THAGI – omicidio rituale praticato dalle sette religiose