Il nipote di Yanez
Maria Arcidiacono

La tigre lo fissava coi suoi occhi verdi che sembravano guardare lontano, occhi saggi, senza età. Una bestia imponente: alle sue spalle si profilava la vegetazione della jungla.

L’uomo la fissò freddamente: “Non ho paura di te sorellina, tu credi di tenere il mondo fra le zampe, ma io sono più forte, io ho il pensiero, e mio nonno aveva una tigre per amico, una tigre a due zampe, ma non meno fiera di te”.

L’uomo si passò una mano sui capelli lisci e nerissimi. Aveva le fattezze del viso delicate, il naso un po’ pronunciato, la pelle abbronzata dal sole dei tropici. Si chiamava Joao Maria Cristobal De Gomera ed era il nipote di Yanez e di Darma.

Guardò di nuovo il quadro a mezza parete che ritraeva la tigre. “Mio nonno avrebbe parlato con lei faccia a faccia, con la stessa indifferenza con cui sto parlando io...”. Entrò ancora un momento nel quadro. La tigre pareva lo seguisse con lo sguardo.

Joao girò lo sguardo intorno col sopravvenire del mezzogiorno, la galleria stava vuotandosi dei suoi visitatori abituali. Diede un’occhiata al finestrone.

“Una giornata uggiosa sir...”. Commentò uno dei guardiani che aveva colto il suo sguardo “ Questo è il tempo di Londra...ormai sono dodici giorni che piove senza interruzione.... in India di certo è differente”. Terminò dando un’occhiata al volto scuro di Joao.

 Joao abbozzò un sorriso e uscì.

Già, l’India. L’uomo sorrise al pensiero che presto l’avrebbe rivista: e avrebbe rivisto la sua dolce Marahani e il figlioletto Hernando. Ancora qualche giorno e si sarebbe imbarcato; nel frattempo gli toccava mangiare salsicce e bere birra e tè. Fece un’espressione nauseata al pensiero.

Strane persone gli inglesi: compìti, ricchi, e... infelici. Pensò agli uomini a cui era assuefatto a vivere sin dalla nascita: uomini su cui la morte incombeva attimo dopo attimo (il morso di uno scorpione, l’incontro fortuito con un coccodrillo, una malattia tropicale) e che, forse proprio per questo motivo trovavano la vita così interessante. “Gli inglesi hanno tutto garantito: cibo, medicine, lavoro, ma non c’è bellezza in questa città...ha ragione sir Wilde le persone qui conoscono il prezzo di tutto e il valore di niente...ah, come amo la mia isola!...”.

Due settimane dopo il dottor De Gomera si imbarcò trionfalmente sull’Ariel che faceva rotta per le Indie. Aveva con sè Juan Resurrectiòn il suo servitore, un gioviale filippino,

“Il viaggio si preannuncia lungo sir...ma alla fine ci attende la nostra bella isola...il posto migliore del mondo...”.

“Intanto potrai prenderti cura di tutte queste cose, i ferri chirurgici, le medicine, i libri e le altre apparecchiature ...tutta roba che ci sarà utile laggiù”. brontolò il doctor immergendosi nella contemplazione del Mediterraneo.

Il clima cominciò a cambiare dopo tre giorni dalla partenza, dapprima faceva soltanto caldo, ma quando si addentrarono nel Mar Rosso si aggiunse l’umidità, che rese difficili le notti sulla nave.

Sahib, fra pochi giorni saremo a casa...” continuava a ripetere Juan Resurrectiòn asciugandosi il sudore: “sull’isola nostra, l’isola dagli splendidi fiori di camelie, l’isola dalle bellissime donne, e dai colori di favola...”.

Era una luminosa alba indiana con tracce purpuree nel cielo bianco, quando l’Ariel attraccò al molo di Konarak. Lo stavano ad aspettare pochi scaricatori, indigeni piccoli di statura e magrissimi che osservarono le operazioni di sbarco con gli occhi nerissimi sbarrati.

“Juan devi sorvegliare le casse e tutto il resto, non lasciar avvicinare nessuno al carico, ci sono dei tagliagole che non esiterebbero un momento a mandarti al creatore anche per la decima parte di questo...sei armato?”.

Juan mostrò il machete “Ho questo, se non vogliono finire a fette non si avvicineranno... spero che tornerai presto, sahib...non vedo l’ora di imbarcarmi”.

Joao De Gomera s’avviò verso la capitaneria di porto. Dopo aver esibito i documenti e sbrigato i requisiti per lo scarico delle merci chiese di vedere il capitano Craig Romero.

“E’ all’Avana” gli fu risposto.

“ Jim Espadrillas?”

“Ha perso la nave...un naufragio nel golfo di Guinea  adesso è alla ricerca di un imbarco”

“Io devo trasportare della merce su una delle isolette di Akyab, mi servirebbe una chiatta o un battello...chi sono i lupi di mare che si trovano qui al momento?”.

“Ci sarebbe il capitano Cariani...Adhemar Cariani”.

“Italiano?”

“No, del Venezuela, in genere fa percorsi brevi, lui potrebbe portarvi...è un mago per passare anche col mare grosso in mezzo alle secche...”.

“Dove  trovarlo?”.Chiese il dottore..

Circa due ore dopo Joao De Gomera fu di ritorno dove aveva lasciato il servitore.

Una larga chiazza di sangue, un corpo immerso e galleggiante sulla superficie dell’oceano.

“Juan!”. E del carico nessuna traccia.

Gli occhi di Joao brillarono di ferocia, mai come ora la somiglianza col nonno era stata così accentuata . “Dannati farabutti questa me la pagano! Povero Juan, non è riuscito neppure più a vederla la sua isola!”.

La sua mano si strinse spasmodicamente sull’impugnatura della pistola.

Mentre stava sul molo ancora con gli occhi dilatati ad immaginare la scena cui non aveva potuto assistere, una vecchia donna dall’aria dignitosa si accostò a lui.

“ Li ho visti, si sono ritirati nella boscaglia...—disse—Erano in venti, o forse più, lui ha combattuto come un leone, ma era da solo...hanno rubato tutto...io ho assistito dietro la palizzata...hanno caricato tutto su un camion blu, sono nella giungla a quest’ora”.

“Sono stati i pandas”. Aggiunse.

“I pandas? Ma che se ne farebbero? C’erano solo medicine...tutta roba utile per noi, ma non credo che loro...”. Disse De Gomera.

Era tornato nel suo ambiente. La lotta in cui vince il più forte mentre il debole viene sconfitto era ancora in atto in quel luogo. Il breve soggiorno londinese glielo aveva fatto dimenticare.

“Riprenderò tutto...—decise ad alta voce --- E gliela farò pagare”.

“Noi ti aiuteremo—disse la donna – tu sei il sahib dell’ospedale. E quelle erano medicine, vero? Ogni volta che ci siamo ammalati siamo sempre venuti a curarci sull’isola, e perciò dobbiamo essere tutti contro quei maledetti, mio marito, mio figlio e i miei nipoti verranno con te”.

De Gomera si volse attorno. All’improvviso senza rendersene conto una folla si era radunata e ascoltava le parole della donna.

“Sì, noi ti aiuteremo....—disse uno del gruppo –  i miei cugini sono già partiti per andare a cercare le tracce che  i pandas hanno lasciato nella giungla, ma se vogliamo trovarli dobbiamo fare presto”.

De Gomera lo guardò: il giovane aveva un viso ardimentoso, pieno di coraggio, un bel viso scuro, più scuro del suo. I capelli gli scendevano sulle spalle a ciocche corvine.

“Bene, allora andiamo....- decise – credo che sarebbe meglio costeggiare la giungla seguendo la statale, ci vorrebbe un camion,  poi quando dovremo addentrarci nell’interno potremo lasciarlo da qualche parte...”.

“Alla caverna di Guaranaty, amico...—sogghignò il giovane –il tuo piano mi pare buono per cominciare...uno dei miei ha un camion che potremmo usare...e quanto alle armi?”.

“Io ho una pistola...” disse De Gomera “i pandas non sono tanto feroci, non quanto i thugs, vero?”.

“I thugs non esistono quasi più...il governo inglese li ha spazzati via...almeno ha fatto questo di buono, ma i pandas differiscono poco da loro...sono vili, mentitori e disprezzano la vita umana...non ci si può fidare di ...hanno uno spirito di corpo molto forte...e si celano in ogni luogo.. e adorano da sempre la maledizione dell’India...la perfida dea Kalì.”.

Intanto un camion venne a fermarsi davanti a loro, gli occupanti scesero. Il giovane fece un cenno di assenso e montò sopra insieme con Joao.

“In quanti siamo in questa faccenda?”

“Almeno una ventina: tu, io, i miei sei fratelli,  quattro cugini, mio padre e due miei zii, i nostri  cinque servi, e due o tre amici miei...”.

“Io volevo ringraziarvi per quello che state facendo...è che non c’è nessun obbligo che vi facciate rompere la testa o ammazzare, per causa mia...a proposito chi guida? Io so tutto sulla navigazione marina ma non ho la patente”.

“Neppure io, ma so guidare--- rise il giovane – reggiti forte e ...a proposito, non ci siamo presentati: io sono il giovane Naik, mio padre è il vecchio Naik....guarda che panorama”. Sorrise alla visione della vegetazione lussureggiante che si stendeva davanti a loro.

“Un momento, avevi detto di alcuni tuoi cugini che erano andati  a cercare le tracce, hanno trovato qualcosa?”.

“Ancora no, dobbiamo incontrarci alla caverna di Guaranaty. Il posto dove lasceremo il camion per entrare nella giungla, ma qualcosa avranno trovato senz’altro... Jan Naik e Ardeth Naik sono i migliori cacciatori che conosca...”.

“E’ strano che i pandas abbiano scelto di viaggiare nella giungla e non per mare... io stesso cercavo un cargo per portare le medicine fino all’isola...”.

“Ma tu credi che siano andati veramente nella giungla?—chiese il giovane Naik – nella giungla non c’è  mercato, e cosa pensi che vogliano fare delle tue medicine se non venderle e realizzare denaro?”.

“Già, forse hai ragione, è lontana questa caverna?”.

“No, siamo quasi arrivati, ma guarda chi si vede, i miei cari congiunti – rise il giovane Naik indicando due figure in distanza.

I due cacciatori erano giovanissimi e molto trafelati : “Abbiamo seguito le tracce per un miglio, poi sono usciti dalla giungla e si sono diretti verso Benares, con il camion blu, dovete andare là,... per adesso proseguite verso la caverna. Tutti gli uomini della famiglia sono armati e vi stanno aspettando là, noi siamo liberi, adesso, vero?” sorrisero.

“Liberi”. I due fecero un rapido inchino al forestiero e corsero via.

“Ma sono venuti fin qui a piedi?” si chiese De Gomera.

“Sono dei corridori formidabili...Jan Naik si sta allenando per andare alle Olimpiadi fra tre anni”. Rispose orgogliosamente il giovane Naik.

 

“Così quei disgraziati sono andati a Benares – meditò ad alta voce De Gomera --  quanto tempo ci vorrà per arrivare? E poi quando siamo là...cosa succederà?...”.

Il giovane Naik, intento alla guida non rispose. Dopo dieci minuti sospirò: “Ah, ecco la caverna e il mio parentado al completo...beh, andiamo a sentire”.

Non c’erano novità: Jan Naik e Ardeth Naik erano passati di là e li avevano avvisati.

“Dovrete andare a Benares naturalmente, ma con quel trabiccolo di camion non ci arriverete mai...—disse il vecchio Naik tirandosi la barba --- forse potrebbero andare con l’elicottero di Sura Naik...”.

“Ma zio...anche il mio elicottero è scassato...l’hai detto tu non più tardi di ieri”.

“Sì, ma è un mostro volante, se va tutto bene in tre ore potreste trovarvi là...”.

“E gli altri? So che anche voi volete partire...sull’elicottero ci staranno cinque persone al massimo...non voglio viaggiare sovraccarico, non si sa mai...”.

“Bene, tu, il sahib guaritore, il giovane Naik, lo zio Muri Naik e io...”.

“Tu? Ma sei avevi detto che non saresti salito neppure da morto sul mio elicottero...”.Obiettò il nipote.

“Zitto, questo è il momento di mostrare il mio valore, sconfiggerò l’orribile uccello di metallo il resto del parentado può tornare a casa...magari fate in modo che le donne cucinino qualcosa di buono, dopodomani...al nostro ritorno avremo fame...”. Concluse congedando con un gesto i rimanenti.

 

Nel giro di un’ora la piccola comitiva si trovava già a bordo a contemplare con occhi sbarrati la terra che si allontanava sempre di più.

Ora potevano vedere il mare e il cielo e la giungla lontana e tutto un balunginio di colori all’orizzonte che rendeva tutte le cose irreali.

“Hai abbastanza carburante Sura Naik?” chiese il vegliardo terrorizzato, aggrappato al sedile.

“ Zio vecchio Naik , non temere, ieri sera avevo fatto il pieno, e stamane non ho ancora avuto l’occasione di muovermi...-- respirò a pieni polmoni l’aria lassù --- Questa sì che è vita...”.

“Stavo pensando...prendendo l’elicottero forse arriveremo a Benares prima di loro...—disse De Gomera – come faremo a trovarli? Il mercato di Benares sarà grande...”.

“Uno dei più grandi dell’India, ma il problema non è il nostro, perché saranno loro a venire a cercarti...almeno, speriamo”. Disse il Giovane Naik.

“E come?...”.

“Immagina di avere delle merci da vendere, delle stoffe, per esempio, chi cercheresti come acquirente?”.

“Forse un sarto...”.

“Beh, entro le prossime ventiquattro ore  ci saranno delle persone che cercheranno un medico, o qualcuno interessato a comprare dei medicinali...perciò sta tranquillo e lascia fare alla sorte”.

Diedero un’occhiata alla terra che si rimpiccioliva sempre di più.

“Una grande nazione che ha perso se stessa” borbottò a voce alta Muri Naik, che non aveva aperto bocca sino ad allora.

“Che belle parole” ribattè sarcastico il Giovane Naik “E perché avremmo perso noi stessi zio?”.

“Perché? Perché un tempo l’India era maestra in campo spirituale: il suo messaggio lanciato all’universo consisteva nella ricerca della felicità... persino gli dei malvagi come la dea Kalì potevano essere combattuti  col naamsmarana , la ripetizione costante del nome di Hari,  adesso invece la gente si volge alle ricchezze, tutti adorano Siri, e hanno dimenticato la divinità che è in ogni uomo...”.

“Io sono cristiano, disse il dottore, ma dappertutto è la stessa cosa, India o Inghilterra la gente bada alle ricchezze e alle soddisfazioni materiali e si dimentica di aiutare i più deboli...ma spiegatemi un po’ di questa yuga, la dea Kalì...come possono le persone adorare quello che è cattivo, che è perfido?”.

 

“La Dea Kalì non è una dea vera e propria, è l’emanazione di Durga, la moglie di Shiva. Durga è generosa, elargitrice di bene, quanto Kalì è elargitrice di male: il bene e il male non possono stare separati, ma s’incontrano e s’uniscono, in tutte le cose, uomini, animali”.

“Interessante...non ho mai pensato che il bene e il male coesistano anche dentro di noi...per cui tornando a parlare della dea Kalì, come si fa ad adorare solo il lato negativo di tutte le cose?

“Ognuno sceglie le cose che approva... questi pandas adorano il male perché forse il male ha la preminenza in loro...”.

“Ehi, siamo arrivati...allacciatevi la cintura di sicurezza che atterriamo ho visto un bello spiazzo che servirà allo scopo...”.

Poco dopo atterravano in uno spiazzo erboso non lontano da alcuni templi che si intravedevano fra gli alberi. Il luogo, in quel momento era quasi spopolato, a parte alcuni monaci buddisti che si allontanarono rapidamente al vedere il velivolo.

“I templi di Sarnath...bel posto per atterrare....” disse fieramente il pilota “ Mi è venuta un’idea formidabile, andiamo a  parlare con Naik l’apostata, abbiamo bisogno del suo aiuto”.

Il vecchio Naik serrò le labbra: “No, Naik l’apostata no, avevo giurato che non avrei più parlato con lui finché fossi rimasto in vita, andate voi a trovarlo, io vi aspetterò qui sul prato...”.

Il gruppo, eccezion fatta per il vecchio Naik, s’avviò all’ingresso principale del tempio. Erano le sei di pomeriggio  e uno sparuto gruppo di pellegrini stava uscendo per recarsi nel vicino ashram.

Naik l’apostata, o come la sua nuova fede lo chiamava “Nandas” li notò mentre stava uscendo dal tempio, (aveva il capo rasato e gli occhi piccoli e infossati) e si avvicinò loro.

“Sapevamo che ti avremmo trovato qui...abbiamo bisogno di te...”.

“Ditemi tutto e vedrò quel che posso fare” rispose Nandas piegando la sua magra figura verso di loro. Era pallido ma il suo pallore risaltava ancor di più a causa della tonaca rossa bordata di giallo che portano i monaci buddisti.

“Innanzitutto avremmo bisogno di un posto per la notte, e qualcosa da mangiare, poi vorremmo chiedere il tuo consiglio su una cosa molto importante”.

“Venite con me—rispose Nandas—vi porto all’ashram...-

“C’è un’altra cosa...ho lasciato l’elicottero sul prato, vorrei metterlo in un posto sicuro e che non dia tanto nell’occhio...”. Disse il pilota.

“Uhm, quello è un po’ più difficile...ma ecco, dovresti prenderlo e sorvolare dietro quegli alberi laggiù, è abbastanza nascosto e non crea scompiglio fra i pellegrini e i turisti, ora venite con me all’ashram così potremo mangiare insieme e mi racconterete...oh, c’è anche lo zio, vecchio Naik, bene, bene, suppongo che non si sia ancora messo l’anima in pace,  vedo che mi evita, se non vuole parlare con me, non lo costringerò a farlo, forse nella prossima incarnazione capirà...”.

La sera, nell’ashram, dopo aver ascoltato la storia di Joao De Gomera, Nandas li guardò dalla profondità dei suoi occhi (occhi scuri e brillanti)  esclamò

 “C’è un problema, a Benares non esiste un mercato...”.

“Ma come.. ma se  è famoso.”.

“Famoso per  le sete e i broccati, non per altre cose, probabilmente i ladri si rivolgeranno agli ospedali, o a qualche altra organizzazione, dovreste mettere voce fra la gente che volete acquistare dei medicinali, e citare tutti gli articoli che vi sono stati rubati...chi li ha si farà vivo con voi... dovrete far sapere che siete medici e cercate certi medicinali, da qui passano migliaia di turisti e pellegrini, forse posso far circolare anch’io questa voce fra loro,  lasciate fare a me... domani cercherò un mezzo perché arriviate a Benares, e poi vedrete, ma non è così semplice, sarà come cercare un ago in un pagliaio”.

L’indomani mattina il cugino Nandas procurò loro un camioncino per andare a Benares, i cinque fecero il viaggio in assoluto silenzio.

“Qualcuno ci sta seguendo...”. Borbottò il giovane Naik.

“Non credevo che te ne fossi accorto...è una macchina più scassata della nostra, e ci vengono dietro da quando abbiamo lasciato l’ashram, che facciamo, ci facciamo agganciare?”.

“Aspettiamo un po’...potrebbe metterci sul percorso giusto, oppure potrebbe essere solo un perditempo...”.

Viaggiarono in silenzio per alcuni minuti.

“Ecco Varanasi, la bella città, piena di tutto e del contrario di tutto,  è molto vecchia...ci sei mai stato qui dottore?”.

Joao De Gomera scosse il capo. “No, ma ne ho sentito parlare...”.

“La chiamano Kashi, la città della luce. I veri credenti vengono qui a morire, per essere sepolti nel Gange e ottenere il saamara,  la conclusione delle vite...quando gli dei lasceranno la terra Benares sarà distrutta, ma le anime di coloro che vivranno saliranno a bordo di un’arca celeste...”.

“Peccato non poterla visitare...anzi,  no, questo è quello che dobbiamo  fare, girare intorno e fare in modo che la gente ti veda e sappia che tu sei un dottore e che cerchi medicine per la tua gente...”.

“E’ l’alba, andiamo a vedere il Gange...”.

Si  affacciarono dal ghat Dasaswamedh luogo frequentato dai veri credenti di Brahma, per osservare le miriadi di persone che cominciavano ad accalcarsi lungo le rive del fiume,  e vedere lo spettacolo delle pire che avevano bruciato tutta la notte e avrebbero continuato a bruciare anche nelle ore della giornata e gli yoghi e i sadhu che si mescolavano tra la folla.

“Forse dovremmo immergerci anche noi...—brontolò il vecchio Naik—come vero credente sento che dovremmo farlo, ma non so perché mi si rivolta lo stomaco all’idea di entrare in quell’acqua...”.

“Quanti mendicanti!”

“L’India è il paese dei mendicanti e dei pellegrini... e quei due ci stanno sempre seguendo?”.

“Con questa folla, ma parrebbe di sì...uno vestito all’occidentale e, un sadhu...”.

“Acchiappiamoli”

“Muri e Sura prendeteli e portateceli, noi raggiungiamo quegli alberi che si intravedono dietro il tempio di Shiva, vi aspettiamo là”.

“Forse abbiamo fatto male a lasciarli soli, magari avranno bisogno di aiuto...”.

“Non ti preoccupare, Muri era nello spionaggio britannico fino a cinque anni fa e Sura dall’età di cinque anni è stato un lottatore, fra un po’ arriveranno”.

Nel giro di dieci minuti i due nominati apparvero trascinando un europeo e un sadhu magrissimo e vestito solo di una fascia attorno ai fianchi e un turbante sporco.

“Ebbene che cosa volete? Perché ci stavate seguendo?”.

“No, noi non vi stavamo seguendo...non....” Un manrovescio datogli dal giovane Naik gli fece cambiare versione.

“Ebbene, volevamo parlare col sahib dottore, abbiamo sentito ieri sera nell’ashram che sta cercando delle medicine da comprare e ferri chirurgici e...c’è un amico che può fornirvi della merce...”.

“Ah, bene – disse Joao De Gomera entrando nella parte – se è così devo avere un appuntamento coi tuoi amici...io sarò disponibile nel parco dei cervi tra le quattro del pomeriggio e sei...e adesso –fece un cenno –liberate il sadhu, l’altro resterà nostro ostaggio – se tu non ti farai vedere pagherà il tuo amico al posto tuo...intesi”.

Il sadhu se ne andò barcollando e l’europeo li guardava senza pronunciare una parola.

“Io ti conosco – disse Muri Naik – Ti ho già visto tu sei  Wilkerson  “il Serpe”, eri una spia al servizio dell’Inghilterra, e poi sei passato ai tedeschi, cosa sei venuto a fare qui, sporco avventuriero?”.

L’uomo li guardò con fare beffardo e non rispose.

“Lo so io cos’è venuto a fare...adesso commercia in armi, e se tento di indovinare cosa vuole fare direi che  aveva fiutato un affare e si stava adoperando per portarlo in porto”.

“Bene, adesso lo sapete...io non centro con questa storia, sono solo un onesto commerciante di armi, e che...non tutti possono commerciare in sete o broccati...”.

Il vecchio Naik si avvicinò al giovane e gli bisbigliò qualcosa all’orecchio.

“Eh sì, bisognerebbe far arrivare qui la marahani Naik, lei li ha visti, saprebbe riconoscerli”.

“Peccato non averci pensato prima...” .

“Se telefoniamo al cugino Siri potrebbe portarla con l’auto e arriverebbero qui domani sera...”.

“L’importante è che riusciamo ad acchiappare i capi... bisogna stare in guardia sono persone pericolose...ma per riconoscerli non c’è che la marahani....beh, facciamo un telegramma e chiediamole di darsi da fare....”.

 Due minuti dopo Muri Naik si avviò verso l’ufficio del telegrafo.

“Intanto direi di portare il nostro amico in un luogo sicuro, da dove non può scappare...e non possono farlo scappare...”

“ Una stanza d’albergo al Taj Mahal, là ho un amico che mi conosce, non dovrebbe essere difficile trovare altra gente che ci dia manforte in caso di uno scontro....in fondo siamo solo cinque”.

“Uhm, hai ragione....domani pomeriggio ci vorrebbero almeno una ventina di persone appostate tra gli alberi se vogliamo acciuffare chi so io....” borbottò il vecchio Naik.

Si diressero all’albergo suddetto e chiesero una stanza.

“Non importano i letti, vogliamo stare tutti insieme” dissero.

L’impiegato alla reception li guardò inorridito ma concesse loro una stanzaccia enorme, con delle stuoie stese per terra..

 Il vegliardo continuò a borbottare sino alla sera, imprecazioni alla Trimurti, congetture e idee che si accavallavano nella sua testa, finché s’addormentò.

A Joao pareva di aver appena appoggiato la testa sul cuscino quando fu svegliato da un rumore improvviso, come di una finestra che sbattesse. Si alzò in tempo per schivare il coltello che andò a infilarsi nel cuscino.

“Alla salute!” esclamò “Amici miei, svegliatevi, là fuori qualcuno ci ama, e vuole regalarci la pace eterna, thugs o pandas o semplici ladri di medicinali...”. Aprì la porta e si slanciò fuori correndo. Fece appena in tempo a intravedere delle ombre che sparivano nella notte.

“Ah, dovevamo mettere qualcuno di guardia fuori...”.

“Lo avremmo trovato strangolato...meglio di no”.

“Allora non ci resta che aspettare domani pomeriggio...appuntamento nel parco dei cervi...”.

Tornarono a letto ma non riuscirono a dormire fino al mattino.

Al pomeriggio un po’ prima dell’ora stabilita  tutti i Naik erano disseminati dietro gli alberi, mentre il sahib dottore camminava su e giù con disinvoltura, fumando un sigaro per mostrare la sua indifferenza. Ma di dentro era un ribollire di rabbia.

La mano che non teneva il sigaro l’aveva in tasca poggiata saldamente sulla pistola.

Aspettò un’ora, poi un ragazzino si presentò “Tu sei il sahib dottore?...devi seguirmi....”.

“Ma dove, chi ti manda?”.

“Devi seguirmi ti dico....”. Joao si guardò intorno captando l’occhiata del vecchio Naik il cui viso sporgeva da  dietro l’albero, fece un cenno di assenso e disse “Va bene, conducimi...”.

Fu una breve corsa dentro una viuzza strettissima e maleodorante, alla fine salirono dei gradini ed entrarono in una casa dalle mura esterne colorate di celeste.

All’interno era buio, attraversarono un corridoio e sbucarono in un patio un po’ più luminoso. Alla fine si trovarono in una grande sala.

L’immagine che emergeva dalla penombra era una statua che agghiacciò il sangue nelle vene di Joao. La statua della dea Kalì.

“Ecco dove mi trovo – disse – proprio nel ventre della balena”. Immediatamente accanto alla statua si profilò un uomo, non si poteva vedere il suo volto. “Ho sentito che sta cercando dei medicinali, anche degli strumenti chirurgici, e altre cose....ho capito bene?”.

“Ha capito benissimo...”.

“Quanto sarebbe disposto a sborsare per, diciamo un quintale di materiali sanitari? Un cargo ragguardevole, badi...”.

Joao lo fissò freddamente “Dica il suo prezzo!”.

“Ventimila rupie...”

 “Alto per la verità...sono disposto a pagarlo... a quando la consegna del materiale?”

“Dica lei...”.

“Prima mi versi metà della somma e poi verrà recapitato metà del cargo... poi l’altra metà e il resto del cargo, allora dovrà liberare il  mio amico...”

“Chi,  Wilkerson “ il serpe”? Sarà tutto suo quando avrò ottenuto la merce...”.

“Le consegnerò la metà del cargo nel parco dei cervi, verso la mezzanotte lei tenga pronto il denaro”.

“Stanotte ho ricevuto visite...non so se da voi o da qualcun altro...non voglio sorprese; se morissi l’affare andrebbe a monte...vedete che non vi conviene, e adesso voglio andarmene”.

L’uomo rise sommessamente, il riso di un serpente, se i rettili ridessero.

“Un ragazzo la riaccompagnerà fuori...  così che i suoi amici potranno vedere che sta bene...allora ricordi, il parco dei cervi, è molto grande ma le daremo altre indicazioni al momento giusto, al più tardi verso mezzanotte avrà ciò che le spetta”.

Fece un gesto con la mano e si allontanò.

“Che posto orribile quella casa, c’era veramente la dea Kalì in una sala....solo starle vicino mi dà una sensazione orribile, di gelo”.

“La casa è adibita al culto, per cui di certo gli abitanti, o quelli  che vanno là saranno pandas , sicari, strangolatori, insomma bella gente!”.

“Vedremo allora cosa succederà stasera...”.Mormorò Joao “Sura, Muri, Naik Giovane, Naik Vecchio, siete pronti?  Dovremo stare all’erta, qualcuno arriverà di sicuro per tentare di strapparci dei soldi in cambio di medicinali, voi dovrete stare nei dintorni,  al limite, se mi chiederanno di andare da qualche altra parte seguitemi!”.

Era con una certa impazienza che Joao aspettò che si facesse l’ora del convegno e il sole tramontasse prima, prima di uscire da Benares per avviarsi al parco dei cervi.

Il parco era deserto, i pellegrini che lo avevano a ffollato durante il giorno si erano ritirati neio vari ashram della zona. Joao si sedette ai piedi di un albero in attesa.

E di lì un paio d’ore fu sconvolto a vedere arrivarsi addosso una freccia acuminata,  lanciata da qualcuno che si celava nel buio, la schivò seguendo la traiettoria. La freccia si era conficcata in un tronco. Il vecchio e il giovane Naik si avvicinarono “Non voleva veramente colpirti, sahib. Forse c’è un messaggio”.

“Vediamo che cosa dice?”

“Dice di dirigersi verso l’altra parte dell’ashram...da solo....”.

“Farò qualcosa di meglio, dov’è Wilkerson ?”

“E’ qui, ce l’ho sotto tiro se si muove lo fulmino...” disse Sura.

 

“E questo cos’è? “Disse ad un tratto Naik il vecchio toccandosi il braccio che sanguinava” Non ho sentito niente...eppure duole”. Gli altri lo guardarono “Un morso di serpente—mormorò il giovane Naik – ma qui i serpenti non ci sono, ogni giorno ripuliscono l’area”.

Il volto del vecchio Naik stava diventando sempre più bianco, finché lo stesero sull’erba Joao si inginocchiò e scoprì la ferita che non sanguinava più.

Aveva appena finito di   parlare che s’udirono delle urla acute tutt’intorno a loro; alzarono gli occhi e videro una decina di sadhu e monaci che si slanciavano contro di loro incitati  ad altissime grida da un monaco alto e magrissimo con gli occhi infossati.

“Ma ce l’hanno tutti con noi – mormorò Joao – forse l’Inghilterra non era poi tanto male...”. Guardò i Naik tutti attorno al loro vecchio “Non è morto, vero?”.

“Invece sì, ma ha avuto la bella sorte di morire a Benares...vedi Benares e poi muori...”. I Naiks si strinsero intorno al corpo con aria triste.

“Mi dispiace...”. Borbottò Joao. “Per la Trimurti cosa dobbiamo fare? Qui ci vogliono ammazzare tutti, e quell’uomo che guida i monaci, non è forse vostro cugino Naik l’apostata?”.

“E forse questi non sono monaci “proprio” buddisti, e il cugino è diventato un pandas, stanno arrivando qui, ora: attenti a mirare bene,  e quando non avete munizioni usate i vostri fucili per schiacciare qualche testa”.

“Io intanto prendo questo e vado a fare un giro dietro l’ashram, forse c’è qualche onest’uomo che vorrà vedermi onestamente, per vendermi quello che mi aveva rubato...”. Disse Joao afferrando il Serpe per il collo malgrado le proteste di costui.

Dietro l’ ashram furono accolti da una scarica di fucileria, che per fortuna non andò a segno.

“Allora se lui è un pandas e ci conosce, gli acquirenti avranno subodorato l’inganno, ma i medicinali sono qui, nell’ashram, ci scommetto..tu che ne dici, Serpe?.”. Joao proseguì col ragionamento.

Il “Serpe” alzò le spalle “Io avevo un affare grosso che potevo concludere e ormai è sfumato...così il monaco era vostro amico? “ Joao fece segno di sì

“ Invece è uno dei capi dei pandas, si è camuffato da monaco buddista per meglio perseguire i loro loschi scopi...dopo il vostro arrivo ha cercato di avvertire quelli che avevano questa partita di merce, che voi avreste cercato di riprendervi la roba, non c’è riuscito e allora sta cercando di far fuori voi e tutti gli altri....” Joao lo guardò meravigliato: l’espressione sprezzante e corrucciata era sparita dal suo volto.

“Agente speciale Wilkerson attualmente al servizio della Repubblica Indiana  e della signora Gandhi, stavamo cercando di scoprire un gruppo particolarmente efferato di pandas, col pretesto di vendergli delle armi, e voi mi avete rotto le uova nel paniere!”.

“Mi spiace, ma allora, che ne sa della merce... dove si può trovare?”

“Come ha detto lei, la roba è nell’ ashram, probabilmente nel grande spiazzo antistante gli alberi, insomma, ci siamo vicini... è possibile che si trovi ancora a bordo di un camion blu...quello che avevano i ladri quando l’hanno rubata”.

“Un grosso camion...so dove si trova...”.

“Non possiamo uscire allo scoperto adesso, ci sparerebbero addosso...”.

“Aggiriamoli e prendiamoli da dietro...”.

Gli sparatori erano tre appena, molto giovani “In alto le mani e arrendetevi...”

““Mai!”

“Combatteremo fino alla morte...”.

Un altro scambio di colpi e i corpi dei due giacevano a terra, esanimi. Joao li scavalcò senza fare una piega.

“Sono stecchiti, bene, adesso mi guidi alla merce...”.

 

Un’ora dopo il nipote di Yanez contemplava con aria  soddisfatta il carico dei medicinali che era riuscito a recuperare. “Adesso torniamo dall’altra parte, a trovare i Naiks......”.

I Naik erano in gruppo e quando si aprirono lasciarono vedere l’uomo legato che era Naik l’apostata, che li fissava con un’aria di sfida. Insieme a Naik l’apostata erano riusciti a catturare alcuni altri numerosi pandas.

“Voi non ve  la passerete liscia...avete sulla coscienza troppi omicidi e furti...e tu, vergogna della famiglia Naik,-- ululò il vecchio Naik in preda a una santa indignazione  -- si fermò un istante a raccogliere abbastanza saliva per sputare in faccia al congiunto – adesso vi consegneremo alla giustizia...e ci penseranno loro, noi non vogliamo macchiarci le mani di sangue!”.

“Ma non era morto? – chiese stupito Joao.

“No,  è stato solo uno svenimento, non ho mai potuto sopportare di vedere spargere il mio sangue, per questa volta le porte del cielo resteranno chiuse davanti a me, in un certo senso è un peccato, perché ero nel posto giusto per morire, ma fa lo stesso, significa che avrò altre sei o sette incarnazioni prima di concludere la mia esistenza”. Il vecchio si volse verso l’ ashram da dove stava arrivando trafelata la marahani Naik .

“Ma tu, che ci fai qui?”.

“Ci avete mandato a chiamare...non ricordi più? Sono venuta col cugino Siri Naik, lui è andato a prenotare le stanze...ma quanta pace c’è qui intorno...e, ma che ci fa il cugino Naik Bahari legato?”.

 

Lo guardò bene e impallidì “Ma...eri tu, allora, e io non ti avevo riconosciuto...vecchio Naik, era lui  il capo del gruppo, quello che ti ha rubato il carico dei medicinali... quello che ha ucciso il tuo servo.”.

“Eh, hai sentito?—disse in tono pacato Naik il vecchio volgendosi a Joao – Il cugino Naik l’apostata è tutto tuo....te lo regaliamo...”.

“Non saprei che farmene, anzi sì –Joao raccolse una certa quantità di saliva e la sputò sul viso dell’assassino – Lo daremo al “Serpe”, cioè all’agente Wilkerson, con quest’altra nuova imputazione di omicidio...quanto a me sono pronto a tornarmene sulla mia isola..se non addirittura in Inghilterra.”.

In cinque minuti gli uomini furono ammanettati e condotti via verso il centro di Benares.

I Naiks e Joao rimasero soli.

“E noi che facciamo, siamo qui a Benares e ce ne andiamo subito? “. Chiese la Marahani.

“Cosa vorresti fare donna?  In questa maledetta città ci sono solo cadaveri e ladri, pellegrini e fakiri, e anche strangolatori... casa propria è quanto di meglio ci sia, hai ragione dottore...noi veniamo con te, ci prenderemo cura del carico e ti accompagneremo fino all’isola”.

“Vi ringrazio Naiks, non avrei saputo che fare senza di voi...—Joao era commosso --- se tutto questo non fosse successo noi non ci saremmo conosciuti,  gli dei hanno ragione: non tutte le cose brutte vengono per nuocere....! Comunque, quando vorrete venire sulla mia isola, a trovarmi sarete i benvenuti”.

E così fu.

FINE