Il “Liquore Galliano”
e
“lo Schiavo della Somalia”



Tutto è cominciato da una mia “recensione” dei racconti salgariani contenuti nel secondo volume dell’Ed. Viglongo, contenente quelli apparsi nella Bibliotechina Aurea Illustrata dell’Ed. Biondo di Palermo.In quell’occasione scrissi:

* Un discorso a parte va fatto per il racconto “Lo schiavo della Somalia” in cui, come ci fa notare Giovanna Viglongo, compare la nota accanto al titolo * storia vera *, una precisazione ben curiosa (nonché unica nel suo genere), inoltre la storia e’ un vero e proprio “spot pubblicitario” reso racconto, perché in esso vien fatta l’esaltazione di un noto (per “allora”, oggi non so!) liquore di Livorno.
Ma, soprattutto, è come al solito una piccola esaltazione delle qualità degli Italiani.*

Punti fermi della situazione erano allora:
- l’unicità del racconto in oggetto
- la dicitura “storia vera” accanto al titolo
- la decisa menzione (pubblicità) al “Liquore Galliano”

L’amico Livio Belli, residente proprio a Livorno, partì proprio da questi “punti” per “indagare” sulla vicenda, curioso di sapere quali potevano essere state le motivazioni alla base della stesura di un racconto con queste caratteristiche.
Ma, nonostante “giocasse in casa”, è arrivato ben presto ad un punto morto. Chiacchierando riguardo a questo argomento, mi proposi di battere un’altra pista (un’ispirazione?) che alla fine si e’ rivelata quella giusta.
E che, come sempre accade con i “misteri di Salgari”, prende spesso la mano e coinvolge, incuriosendola, molta gente, cui sono grata perché, anche magari con delle semplici frasi, a volte buttate lì per caso, hanno aiutato a far chiarezza sulla vicenda.

Ma partiamo con ordine.
Il “Liquore Galliano”, si diceva. Il punto di partenza senza dubbio.
Non sono personalmente un’esperta di vini e liquori, e di sicuro non avevo mai sentito nominare questo, di liquore, prima di leggerne nel racconto. Ma, soprattutto, esisteva ancora quel liquore, o meglio, era ancora prodotto?

A quanto pareva sì, era ancora in commercio e, curioso!, la forma della bottiglia e la ricetta erano ancora i medesimi di quando ne scriveva Salgari. Sì perché “lo schiavo della Somalia” è stato pubblicato intorno al 1902, circa un secolo fa, e tante cose si possono modificare in così tanto tempo! Ma la bella bottiglia, alta e slanciata e dal contenuto di un bel color oro intenso, c’era ancora.
La mia ricerca è partita allora dalle enoteche della mia città, Roma, dove ero sicura ne avrei trovato notizie. Le prime ricerche sono state, invero, deludenti. Nessuno conosceva questo liquore, né certamente lo aveva.Qualche indicazione poi circa la casa produttrice, cioè la “Distilleria Arturo Vaccari”? Buio assoluto!

Alla fine, sconsolata, approdo una mattina, per caso, in un negozietto proprio dietro casa, che avevo tralasciato in base alla considerazione che “se questo liquore non lo conoscono i negozi grandi, figurati se i piccoli potevano averne nuove”, e… ecco là la bottiglia meta delle mie ricerche.
Dopo un appunto mentale a non fare più simili considerazioni in merito a grandi/piccoli, eccomi a visionare questo “fantomatico” Liquore Galliano.
Da questo momento, le cose si sono susseguite e incastrate velocemente.


Avevo trovato una pista.
Infatti, come appresi in seguito, informazioni sulla “Distilleria Vaccari”, partendo da Livorno, sarebbero state ben difficili da trovare, perché la sede legale non era più in questa città già da molto tempo, e con essa tutto quanto poteva riguardare l’argomento.

Avevo trovato il Liquore, ma perché Salgari lo aveva inserito in un suo racconto? La Viglongo suggeriva che, vista la “pubblicità” fatta dallo scrittore veronese, forse questo era dovuto ad un compenso che ne poteva essere derivato allo scrittore stesso.


Salgari, nei suoi rapporti “d’affari” con Livorno, poteva aver pensato di “racimolare” qualcos’altro con un racconto “commissionato”.
Ma carte che provassero di un simile accordo, non ce ne sono, o, forse, sono in Francia, visto che il Liquore Galliano non è più prodotto in Italia (vedi allegato 1)
Comunque, per quanto i mezzi usati da Salgari per ottenere altre “entrate” per la famiglia fossero molti e vari (e gli stessi racconti della Bibliotechina Aurea dell’Ed. Biondo, usciti a firma Altieri – cioè con uno degli pseudonimi salgariani – ne sono un esempio tipico) la cosa non mi convinceva poi troppo.
Altri esempi in questo autore, prima o dopo la pubblicazione di quel racconto, di “reclame” di prodotti del suo tempo, non se ne riscontrano nella sua Opera, e, comunque, diciamo che non mi sembrava “nel suo stile”.

Salgari poteva aver assaggiato il liquore, in chissà quale circostanza, e questo gli era piaciuto così tanto da farne uno dei protagonisti di uno scanzonato racconto.
Però, se gradiva un “bicchierino”, di tanto in tanto, sorseggiava Marsala.
Il Galliano, secondo le informazioni di una coppia di enologi in cui mi sono imbattuta durante le ricerche, era una variante del Liquore Strega, e quindi con tutt’altro gusto.

Un’altra cosa che non trovava riscontro era: se la casa produttrice era la “Distilleria Arturo Vaccari”, perché era stato dato il nome di “Galliano” al liquore?

Poi, parlando con un’altra persona, ecco la frase, per il mio interlocutore quasi banale, ma per me “illuminante”: << questo liquore era intitolato ad un certo Galliano, credo fosse un tenente, e che fu un eroe di guerra >>.
Un “eroe di guerra”? Che aveva fatto per esserlo e soprattutto, “di che guerra”?

Giuseppe Galliano, Capitano del 3° Battaglione Indigeni Eritrei, era nato a Vicoforte Mondovì (Cuneo) nel 1846 e morto ad Adua nel 1896.
Leggere la storia (militare, ma anche umana) di quest’uomo, rende orgogliosi di essere italiani! (vedi allegato 2)

E più leggevo la sua biografia e più pensavo che, puntare le ricerche sul “Liquore” Galliano, in quanto tale, era forse stato un errore, e che forse Salgari aveva appuntato il suo sguardo sull’ “uomo” Galliano.
Rileggendo attentamente il racconto, infatti, e avendo in mente questa nuova idea, mi è sembrato che, in realtà, Salgari non ha dato poi tutta questa importanza al “liquore”.
E’ vero, lo nomina 2/3 volte espressamente, è il mezzo con cui i protagonisti si salvano (barattandolo con un capo indigeno in cambio di viveri e in seguito anche per avere un mezzo di trasporto e delle guide per raggiungere un porto, da cui tornare in Patria), ma il tutto sembra più visto come una “gag”, come il siparietto curioso e comico che dipana il dramma.

“Storia vera”, un altro punto in sospeso, allora, potrebbe essere stato aggiunto dall’autore perché resosi conto che, un racconto con un simile finale, poteva sembrare inverosimile al lettore (anche quello giovane) e Salgari ci teneva a descrivere fatti “realistici”, quando non propriamente “veri”.


Oppure, anche perché uno dei protagonisti, il moretto Sadì-Omar, era una persona realmente esistita (un ragazzino Abissino portato in Italia), e di cui Salgari racconta la storia (e che Arturo Vaccari usò per un cartellone pubblicitario dei suoi prodotti, come si vede nella foto accanto).


Spicca invece, lo avevo già notato nella mia prima recensione, l’eroismo dei marinai Italiani della goletta che, pur essendo un “manipolo”, avevano tenuto la “postazione” e si erano battuti fino all’ultimo.
Poteva rifarsi all’azione di Galliano stesso che aveva, con i suoi uomini, pochissimi rispetto all’intero esercito assalitore, tenuto il Forte di Macallè.
Gli Italiani, oltre ad “eroi”, sono anche visti come “benefattori”, come persone “buone” che non meritano di essere attaccate dai pirati, e il moretto Sadì-Omar non cessa di piangere e di dire “poveri ‘Taliani, buoni ‘Taliani”, durante l’attacco alla goletta (che non può impedire, ma che vendica facendo saltare il barcone pirata con una mina – Galliano pur di tenere il forte stava per saltare in aria proprio con una mina).

Italiani buoni, benefattori del popolo africano, e Abissino in particolare.

Non bisogna dimenticare allora che, in quegli anni, prendeva piede il Colonialismo Italiano, l’Italia muoveva i primi passi in questa direzione e Salgari, come si legge in alcuni dei suoi articoli giornalistici del 1884-1885, appoggiava questo Colonialismo.
Era sinceramente convinto della positività di tale azione italiana, come appare lampante nell’articolo apparso su “La Nuova Arena” del 5 Gannaio 1885 (titolo “L’Italia a Tripoli”), in cui, tra le altre cose, afferma, in conseguenza delle tristi condizioni politiche della Tripolitania, e auspicando un intervento italiano in quel Paese:

<<Che l’Italia vada a Tripoli, non per impadronirsene formalmente, ma a rimettere sul trono il figlio e nipote di Jusef Pascià, procurandosi l’alto protettorato di questo ubertosissimo territorio.
Non solo non ci opporranno resistenza, ma la bandiera italiana sarà benedetta da tutta quanta la popolazione che riconoscerà in essa la propria liberatrice e il principe Caramanli e i suoi sudditi saranno felici di riacquistare la propria indipendenza col solo concederci gli sterminati terreni vergini, il diritto sui porti, sulle miniere inesplorate o fino ad ora non curate, sull’impianto delle strade ferrate e i telegrafi che in ultima analisi ritornerebbero a loro vantaggio.
Così l’Italia oltre a rendere libera una popolazione tradita, calpestata, dissanguata, si renderebbe padrona di una regione fertile situata nel cuore del Mediterraneo, che dovrebbe essere un lago italiano e che invece è di tutti, eccetto che dell’Italia >>.

Aiuto alla popolazione quindi, che vedrebbe gli Italiani come benefattori e “liberatori” e, visto che ci siamo, un salto economico non da poco per il nostro Paese.

Quindi, per tornare al racconto, è senza dubbio anch’esso sulla scia dell’esaltazione del Colonialismo Italiano ad Assab (Somalia, Etiopia) e di uno degli uomini che hanno sostenuto questo “sogno coloniale” perdendo anche la vita nell’impresa [Galliano è morto durante la battaglia di Adua].
Un personaggio più che conosciuto e degno di nota, quantomeno ai suoi tempi (essendo oggi ormai quasi dimenticato, purtroppo), che si era distinto in ogni operazione per le sue doti di coraggio e di umanità verso i suoi soldati e per tutto ciò ottenne ben “due” medaglie d’argento e “due” medaglie d’oro al Valor Militare!
La storia di un simile eroe colpì Arturo Vaccari che, nel 1896, anno della morte di Galliano, decise di dare proprio questo nome al liquore da lui appena creato, per omaggiare un personaggio così illustre.
E le cronache di questo eroe avranno sicuramente colpito anche il nostro Salgari, sempre intento a documentarsi per la stesura dei suoi romanzi, e senza dubbio compiaciuto di leggere le note positive su questo capo militare.

In conclusione,pur non potendo sapere per certo se ci sia stato un “compenso” per lo scrittore de “lo schiavo della Somalia”, ritengo sia più probabile che l’ispirazione di questo racconto risieda nell’omaggio di Salgari al Cap. Galliano per le sue gesta, omaggio fatto con il mezzo che gli era congeniale, la scrittura, così come Arturo Vaccari gli aveva dedicato la sua ultima creazione in forma di liquore. La “pubblicità”, se così si può dire, è rivolta quindi alle gesta di Giuseppe Galliano e a quello che rappresentava, cioè il tentativo dell’Italia di avere possedimenti coloniali in Africa.

Avevo finito così il mio “articolo”, sostanzialmente con un’*ipotesi*, abbastanza fondata invero, ma pur sempre un’ipotesi. Ero davvero sicura che Salgari conoscesse Galliano? La risposta è venuta a me per caso, confermando definitivamente ciò che avevo argomentato, leggendo un passo della biografia salgariana di Arpino/Antonetto alla ricerca di tutt’altro argomento:

[pag. 45 dell’ediz. Rizzoli ]“(Salgari)… lo si incontra anche a Cuorgnè, un paese del Canavese, (…). Va all’osteria e la ribattezza “cantina del guerriero Galliano”, in omaggio a Giuseppe Galliano, l’ufficiale piemontese due volte medaglia d’oro, morto in Africa l’anno precedente.”


Corinne “La Perla di Labuan” D’Angelo




Allegato 1:

Dal 1989 la Società D.R.L. (Distillerie Riunite di Liquori) che produceva il Galliano è entrata a far parte del Gruppo Francese Rémy-Cointreau e tutte le eventuali carte, legali e non, sono state acquisite da questa società e trasferite all’estero.
Tuttavia, durante la seconda Guerra Mondiale, la fabbrica del Liquore, a Livorno, è stata bombardata e molto (tutto?) e’ andato perso.



Allegato 2:

Giuseppe Galliano: BIOGRAFIA

Il popolare e leggendario difensore del forte di Enda Jesus (Macallè) era figlio di un ufficiale che nel 1821 fu compagno di Santorre Santarosa nei moti costituzionali di quell'anno in Piemonte. Entrato giovanissimo nel Collegio Militare di Asti il 24 ottobre I854, passò, quindi nel 1864 alla Scuola Militare, donde due anni dopo veniva dimesso col grado di sottotenente nell'Arma di Fanteria, ed assegnato al 24° Reggimento Como col quale partecipò alla guerra contro l'Austria del 1866. Nel 1870 era promosso luogotenente e nel 1873 otteneva di essere trasferito nel nuovissimo Corpo degli Alpini costituitosi l'anno prima. Vi rimase fino al 19 luglio 1883 quando, colla promozione a capitano, veniva destinato al58° Reggimento Fanteria Abruzzi. Nel 1884 passò all'82° Reggimento Fanteria e Torino  ed il 6 novembre 1887 partì per l'Eritrea col Corpo di Spedizione comandato dal generale Asinari di San Marzano, inviatovi per vendicare l'eccidio di Dogali, ma, essendosi gli abissini « dileguati qual nebbia al sole » dinnanzi alle imponenti forze italiane, il Corpo, nella primavera dell'anno dopo, 1888, venne sciolto e rimpatriato. Il 10 marzo 1888 il Galliano faceva ritorno al suo 82° Reggimento Fanteria Torino per rimanervi però soltanto due anni, che, nel 1890, in seguito a sue ripetute domande, otteneva di essere nuovamente inviato in Eritrea, donde purtroppo non doveva più far ritorno in Patria.

Alla battaglia di Agordat del 1893 - detta « seconda » per distinguerla da quella del 1890 detta « prima » - l'allora capitano Galliano comandava un Battaglione Indigeni Eritrei su quattro compagnie (e precisamente le prime e terze compagnie dei Battaglioni 3° e 4°) nonché una batteria di artiglieria da montagne servita da sudanesi. Dapprima le sorti della battaglia furono favorevoli alle nostre truppe, ma ad un certo momento i dervisci, « incuorati ed infervorati dai loro capi militari e religiosi », incalzarono dappresso i nostri tentando l'aggiramento.Vani riuscirono gli sforzi del Galliano per arginare la loro offensiva sì che dovette pensare a districarsi e ad ordinare la ritirata abbandonando i pezzi poiché tutti i muletti erano rimasti uccisi. Nel ripiegamento per scaglioni il Galliano, col suo esempio, costante di coraggio e di grande calma, in tanto frangente seppe mantenere la disciplina e l'ordine infondendo fiducia nei suoi fedeli ascari sì che quando lo ritenne opportuno dispose per un violento contrattacco alla baionetta, che guidò egli stesso a cavallo in primissima linea. In breve i Dervisci furono scompaginati e volti in fuga disordinata ed i pezzi ripresi. Il bottino in armi, munizioni ed insegne fu abbondante e trovasi oggi per la maggior parte depositato nel Museo di Artiglieria della Cittadella a Torino. Tra le bandiere si ammira il celebre stendardo verde dei Profeta, che per i Dervisci, fu una delle più dolorose ed avvilenti perdite. Alla notizia che S. M. il Re Umberto l° gli aveva assegnata la Medaglia d'Oro al Valor Militare, il Galliano così scriveva al fratello: « ... una sola cosa disturba la mia gioia per tanta onorificenza, ed è che si discosta troppo da quella data ai miei ufficiali che me l' hanno guadagnata e per i quali il Ministero non fu largo come per me ». Il Galliano ebbe a distinguersi soprattutto per la sua abilità e capacità nell'istruire e costituire in saldi ed omogenei reparti gli indigeni, che, come è detto in un rapporto, « seppe ottimamente inquadrare ed amalgamare insieme in massima parte con graduati di colore, a malgrado le differenti razze e religioni dei suoi componenti ». Fu uno dei primissimi e migliori nostri ufficiali coloniali ed a lui si deve l'avere dotato quel superbo 3° Battaglione Indigeni Eritrei di gloriose tradizioni guerriere sicché ancor oggi le genti dell'Eritrea ed anche dell'oltre confine ricordano col nome del suo eroico comandante più che con quello di « cremisi » datogli per il colore della fascia alla vita e del fiocco del « tarbusch » dei suoi ascari. Il valore, l'abilità e la capacità di comandante del prode ufficiale rifulsero in tutte le circostanze della sua vita in Colonia, ma sopratutto nei numerosi scontri in cui ebbe a trovarsi, coi suoi fedelissimi ascari, come del resto lo stanno a dimostrare le numerose decorazioni assegnategli. Infatti oltre a questa « prima » Medaglia d'Oro al Valor Militare, ebbe una Medaglia d'Argento al Valor Militare colla seguente motivazione: « Inviato con tre delle sue compagnie ad arrestare l'urto della colonna aggirante nemica, riuscì, nonostante la superiorità numerica dei tigrini, le difficoltà del terreno e le gravi perdite subite, a coprire le strade per cui doveva sfilare il corpo operante, rendendo così possibile di occupare saldamente la posizione di Coatit e di respingere il nemico su tutta la fronte. Nel pomeriggio del 13 e per tutto il 14 concorse a difendere il centro e la destra delle nostre truppe, respingendo sempre gli incessanti attacchi del nemico - Coatit, 13 e 14gennaio 1895 ». Sempre per tale sua valorosa azione ebbe in premio anche la Croce di Cavaliere dell'Ordine dei S. S. Maurizio e Lazzaro per « motu proprio » Sovrano. Per l'eroica difesa dei forte di Enda Jesus (Macallè), di cui egli comandava il presidio, ebbe un'altra Medaglia d'Argento al Valor Militare e la promozione per Merito di Guerra a tenente colonnello (14 gennaio 1896). Il forte resistette per oltre due mesi agli attacchi continui dell'intero esercito abissino, forte di oltre centomila armati comandati dal negus neghesti Menelich in persona. L'esiguo presidio di circa 1500 uomini non si arrese a malgrado le gravissime perdite subite - sopratutto per le malattie - ed allorquando stava per sacrificarsi per mancanza di munizioni, di viveri e di acqua « saltando in aria » per una formidabile mina fatta preparare dal Galliano, venne liberato in seguito a trattative tra il generale Baratieri ed il negus neghesti. Il Galliano colle sue truppe lasciò il forte a bandiere spiegate e colle armi sfilando dinnanzi agli attoniti abissini ammirati di tanto valore ed audacia. Dopo molti giorni di « trepidante attesa » il Galliano con tutti i suoi venne lasciato libero e fece trionfalmente ritorno tra le forze italiane che andavano ammassandosi al confine eritreo col Tigrè. Una seconda Medaglia d'Oro al Valor Militare venne assegnata al Galliano per la sua eroica condotta alla battaglia di Adua del 1° marzo 1896, dove cadde combattendo fino all'ultimo colla quasi totalità dei suoi ascari che lo idolatravano e che non lo vollero abbandonato nel supremo sacrificio. Il Galliano, che è il primissimo alpino decorato dall'aureo segno, è il primo caduto fregiato di due Medaglie d'Oro al Valor Militare, rompendo così la tradizione e la consuetudine fino a quell'epoca invalsa che non si potessero assegnare due Medaglie d'Oro ad una stessa persona.



Giuseppe Galliano: DECORAZIONI

- Medaglia d'Argento al Valor Militare e Croce di Cavaliere dell'Ordine di S. S. Maurizio e Lazzaro (Coatit,13-14 gennaio 1895) 

- Medaglia d'Oro al Valor Militare (prima) Agordat, 21 dicembre 1893)

- Medaglia d'Argento al Valor Militare e promosso tenente colonnello per Merito di Guerra (assedio del forte Enda Jesus (Macallè), 1895-96)

- Medaglia d'Oro al Valor Militare (seconda) Adua, 1°marzo 1896)



Giuseppe Galliano: MOTIVAZIONI DELLE DECORAZIONI

MOTIVAZIONE DELLA PRIMA MEDAGLIA D'ORO

Diresse con energia,coraggio e slancio esemplari, In occasione dei combatti- mento contro i Dervisci presso il forte di Agordat, l'attacco delle quattro compagnie che erano ai suoi ordini; respinto, le riordinò sollecitamente e le ricondusse all'attacco mettendo in fuga il nemico e riprendendo quattro pezzi di Artiglieria .

Agordat, 21 dicembre 1893

MOTIVAZIONE DELLA SECONDA MEDAGLIA D'ORO

Impegnatosi col suo battaglione sul monte Rajo, nel momento più critico della lotta, combatté valorosamente. Quando le sorti della pugna precipitarono, perdurò nella resistenza con pochi rimastogli a fianco, quantunque già ferito, e col moschetto alla mano incitando gli altri a finir bene vi si difese disperatamente finché fu ucciso.

Adua, 1° marzo 1896

MOTIVAZIONE DELLA MEDAGLIA D'ARGENTO

Inviato con tre delle sue compagnie ad arrestare l'urto della colonna aggirante nemica, riuscì, nonostante la superiorità numerica dei tigrini, le difficoltà del terreno e le gravi perdite subite, a coprire le strade per cui doveva sfilare il corpo operante, rendendo così possibile di occupare saldamente la posizione di Coatit e di respingere il nemico su tutta la fronte. Nel pomeriggio del 13 e per tutto il 14 concorse a difendere il centro e la destra delle nostre truppe,respingendo sempre gli incessanti attacchi del nemico.

Coatit, 13 e 14 gennaio 1895


Appunti di viaggio

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