Tra colonna e colonna al peso altero / sommessi i busti smisurati e grossi, / servon d'appoggio al grave magistero / in forma di giganti alti colossi./ Son fabricati d'un berillo intero / e d'ardente piropo han gli occhi rossi; / ciascun regge un feston distinto e misto / di zaffir, di topazio e d'ametisto.
Splende intagliata di fabrii lavoro / la maggior porta del mirabii tetto. / Sovra gangheri d'or spigoli d'oro / volge, e serragli ha d'or limpido e schietto, / e sostegno e non fregio al gran tesoro / del ricco ingresso il calcidonio eletto. / Soggiace al piè, quasi sprezzato sasso, / nela lubrica soglia il fin balasso. [Marino, Adone, 2, 20-21(1623)]
In un angolo d'una sala immensa, che aveva le pareti di marmo bianco e la volta sostenuta da parecchie file di colonne pure di marmo con incrostazioni d'oro, sopra un fitto tappeto di Persia scintillante d'argento stava sdraiato il S'hen-mheng. [...] Ricchissimi anelli d'oro massiccio, con rubini e smeraldi di valore inestimabile, gli ornavano le lunghissime zanne; fra i due occhi aveva la mezzaluna pure d'oro massiccio con diamanti e perle, sostenente nove cerchi d'oro destinati ad allontanare i malefici; agli orecchi degli enormi pendenti sfolgoranti di pietre preziose e sul dorso una magnifica gualdrappa di seta, intessuta con oro e tempestata di zaffiri, di rubini, di smeraldi e di diamanti. [E. Salgari, La Città del Re Lebbroso (1904)]
Quando mi venne proposto di leggere un romanzo di Salgari (uno qualsiasi, a scelta) e mettere per iscritto un qualche commento, positivo o negativo, arricciai parecchio il naso. Che scocciatura - pensai - ecco spezzarsi il temuto crine di cavallo da cui pende l'acuminata spada!
Certo, dovrei conoscere quest'autore quanto le mie tasche, avendo convissuto per più di vent'anni con edizioni Bemporad, Donath e Vallardi disseminate ovunque per casa, col ritratto del "Capitano" appeso sopra il comodino al posto del lare domestico cui rivolgere il pensierino della sera, la fedele cagnetta dal significativo nome Darma e le pareti tappezzate da stampe d'epoca con galeoni, pirati, donzelle ardimentose e flora e fauna di giungle misteriose.
In realtà, forse proprio a causa di tale inconscia convivenza, ho snobbato un po' Salgari, senza leggerne mai un romanzo per intero: figuriamoci se una laureanda in filologia, per di più con una tesi di materia barocca, trova tempo di cimentarsi con altro dai "classici"!
Ironia a parte, è stata frenante la consapevolezza che Salgari non fosse un autore da affrontarsi con eccessiva spavalderia (libri per l'infanzia, roba da ragazzi!), ma fosse bene prepararsi all'avventura e armarsi di tutto punto (kriss, tarwar, navaja ...) per non cadere, come spesso è avvenuto a critici molto pignoli e poco accorti, nella trappola dei periodi lasciati in sospeso o vistose sgrammaticature (un borghesuccio italiano, per di più sommerso dai debiti e con problemi di stomaco ...Vuoi mettere Verne ?!?).
Così, nella fitta giungla di testi a disposizione (mi si conceda la metafora ormai trita, ma efficace), decisi di rivolgere l'attenzione ad un titolo accattivante e che non rientrasse negli ormai famosi romanzi dei "cicli". Ecco cadere gli occhi sulla coloratissima copertina de "La Città del Re Lebbroso", illustrata da Gennaro D'Amato, nella prima edizione del 1904. Ovviamente l'illustre padre non ha permesso ch'io compissi i primi approcci su di una "fior di conio" e mi sono ritrovata fra le mani un'edizione Vallardi del 1932, col dorso in briciole e la rilegatura cascante. Avventura nell'avventura maneggiare un simile reperto! Dopo i primi due capitoli, letti con diffidenza, il naso è tornato dritto; non per la trama, piuttosto scontata (immagino ve ne siano di più avvincenti), quanto per la miriade di interessanti spunti forniti dal testo.
E' barocco! - mi sono detta. Ecco spiegato il motivo di tanta ostilità da parte dei critici contemporanei contrastata dal grande successo di pubblico.
L'incipit del primo capitolo (La morte del "S'hen-mheng") proietta immediatamente il lettore nel bel mezzo dell'azione, senza perdersi in capziosi antefatti; sale il sipario e...
Un rombo metallico che si ripercosse lungamente, con una vibrazione argentina, nell'ampia sala sorretta da venti colonne di legno dipinte a vivaci colori e cogli zoccoli coperti da lamine d'oro, aveva fatto sussultare Lakon-tay.
L'invidiato ministro, preposto alla sorveglianza dei S'hen-mheng, i sacri elefanti bianchi del re, dinanzi a cui piccoli e grandi s'inchinavano, udendo quel colpo di gong, aveva sentito un fremito corrergli per tutto il corpo, mentre sulla sua fronte leggermente abbronzata, erano subito apparse delle grosse stille di sudore.
Con una mossa lenta, si era alzato dal largo cuscino di seta azzurra a frange e ricami d'oro che gli serviva da sedile, mormorando con voce semispenta: "M'annuncierà questo colpo la vita o la morte? La maledizione estrema di Sommona Kodom o la felicità? L'odio del re e del popolo o nuovi onori e nuove grandezze? Oh mia Len-Pra, mia povera figlia !"
Dove siamo? Quando? Che sta succedendo? Lo scopriremo pian piano, pagina dopo pagina, a gocce.
A Salgari piace frustrare l'attesa soffermandosi nella descrizione dei particolari, con minuzia e abilità da artista fiammingo e, ripeto, gusto barocco. Pare di percepire suoni ed odori e di scorgere i colori come fissando lo sguardo su illustrazioni e fotografie...
Dopo d'aver attraversati parecchi viali che costeggiavano dei graziosi laghetti, dove si cullavano dolcemente delle eleganti barchette, ricche di dorature e coi cuscini di seta, e dove si bagnavano in gran numero le gru coronate dalle lunghe gambe e bande di aironi, Lakon-tay, sempre assorto nei suoi tetri pensieri, si trovò, quasi senza saperlo, dinanzi al palazzo abitato dal re. [...] Phra-Bard (il re) aveva dunque sul capo la famosa corona reale, una specie di piramide d'oro massiccio, alta più d'un piede, ornata all'intorno di diamanti e di rubini, che doveva ben pesargli sul cranio; la giubba di tessuto pesante, a lamine d'oro che s'incrociava sotto la cintura, tutta adorna di perle e di pietre preziose di valore inestimabile, i calzoni larghi, pure cosparsi di lamine e di pietre e ai piedi aveva delle babbuccie. . .che avrebbero potuto far felice una sultana tanto erano piene di rubini e di smeraldi.
Nulla è dato al caso o frutto di semplice fantasia. Ogni data, riferimento storico, indicazione geografica, trovano riscontro in fonti passate o contemporanee (ad esempio il Giornale Illustrato dei Viaggi e delle Avventure; Il Giro del Mondo - versione italiana de: Le Tour du Monde; Giornale di Geografia, Viaggi e Costumi) e la trama assume una singolare parvenza realistica.
Le zoomate cinematografiche sul volto dei personaggi chiariscono, senza troppi preamboli, con chi avremo a che fare.
Il buono:
(...)" Un uomo vestito di bianco, con in capo un gasco di flanella, pure bianca, come usano gl'inglesi e gli olandesi nelle loro colonie d'oltremare e con in mano una lanterna cinese coi vetri di talco, comparve. Era un bel giovane di venticinque o ventisei anni, di statura piuttosto alta, di forme eleganti ed insieme vigorose, dalla pelle un po' abbronzata, cogli occhi nerissimi ed i capelli e la barba pure neri".
Il cattivo:
"Era un uomo piuttosto obeso, interamente calvo, fra i quarantacinque e i cinquant'anni, dalla fronte bassa, gli zigomi assai sporgenti, gli occhi obliqui come quelli dei cinesi e la pelle giallastra. In tutta la sua persona aveva un non so che di falso e di ripugnante, malgrado la ricchezza delle sue vesti di seta azzurra cosparse di rubini e di perle, e le sue collane che dovevano costare dei tesori, ed il sorriso che non abbandonava mai le sue labbra".
Il linguaggio e i dialoghi sono spontanei, immediati:
- Che giuoco è questo? - chiese il dottore, punto rassicurato da quella manovra e alzando la carabina. - Il maschio che fugge e la moribonda che prende il suo posto ! Generale, ci capite qualche cosa voi? -
Lakon-tay aveva corrugata la fronte e aveva fatto un mezzo giro a sinistra, scrutando il folto fogliame.
- Doppio attacco, - diss'egli, - e che impegna anche la riserva. Come sono astute queste dannate belve! -
- O movimento aggirante? - chiese Roberto.
- Vera tattica guerresca, dottore, e senza aver fatto alcuna scuola di guerra.
- A meno che le tigri non ne abbiano una!
- Non scherzate, dottore. Siamo minacciati da due lati.
- Faremo fronte d'ambo le parti. Voi due occupatevi del maschio, mentre io cerco di spedire all'altro mondo la femmina. Attenti soprattutto alle sorprese.
- Sono generale, - rispose Lakon-tay, sorridendo.
Ad eccezione delle parti "da copione", dalle tinte melodrammatiche, quasi "recitativi":
- Len-Pra, mia buona fanciulla, -le disse con voce profondamente commossa - la vita di vostro padre sta nelle vostre mani. Volete salvarlo? -
La fanciulla alzò su di lui i suoi dolci occhi, guardandolo con profondo stupore.
- Che cosa dite, Roberto? - chiese.
- Vi ripeto che solo voi potreste salvare vostro padre.
- In quale modo? Spiegatevi, dottore.
- Rinunciando a me per diventare sposa d'un altro, del puram del re. -
Una dolorosa contrazione alterò il viso della fanciulla, mentre i suoi occhi s'inumidivano.
- Non mi amereste più? - mormorò con voce singhiozzante.
- Più che mai, mia dolce Len-Pra, -rispose il dottore. - Ma solo la distruzione del nostro bel sogno può salvar vostro padre. [...]
- lo ... diventare la moglie di quell'uomo ... e rinunciare all'amore dell'uomo bianco ... mai, Roberto, mai! Preferisco la morte al vostro fianco e mio padre mi approverà
Un colpo di fucile che rimbombò nel cortiletto, gli interruppe la frase.
Non privi di battute di spirito nei momenti cruciali, per allentare la tensione:
Il dottore si era voltato vivamente, udendo un fruscio di fronde e vide avanzarsi una scimmia alta più d'un metro e mezzo, di forme massiccie, con due braccia grosse e muscolose. [...]
- La freddo con una fucilata in mezzo al petto. [...]
- Come è brutto questo scimmione! - esclamò Len-Pra. - Signor Roberto, guardatevi e non fidatevi. L'ha con voi.
- Lasciate che s'accosti, se vuoi provare a misurarsi con me, faccia pure. - [...]
Il dottore, che nella sua gioventù era stato un lottatore non disprezzabile, si provò a resistergli, ma comprese subito che sarebbe stata una follia tener testa a quel quadruamane che sviluppava una forza enorme.
Ed infatti non erano trascorsi cinque secondi che si trovò a terra con le gambe in aria. (mentre la scimmia se ne va ridendo di gusto)
Il gusto per l'orrido:
Un orribile spettacolo si era tosto offerto ai loro sguardi.
Sui banchi di prora giacevano tre giovani siamesi, atrocemente mutilate dai denti e dalle unghie della sanguinaria belva, un'altra aveva la testa stritolata ed in parte rosicchiata e la terza aveva il petto squarciato da un tremendo colpo d'artiglio.
Ed il compiaciuto sfoggio di terminologia desueta, richiamano alla mente i dipinti del Caravaggio o Salvator Rosa e gli Elucidari o Propinomi "delitie dei spiriti curiosi", tanto in voga nel Seicento. Ma ciò che costituisce e concorre a suscitare nel lettore la maggior "meraviglia" è la capacità di servirsi della trama del romanzo quale sfondo per interi capitoli (non è percezione immediata) di carattere essenzialmente documentaristico:
L'indomani il balon riprendeva la sua corsa verso il settentrione, filando fra due rive assai sinuose, coperte da una vegetazione meravigliosa e svariata, che serviva d'asilo a miriadi di uccelli ed a battaglioni di lucertole volanti.
Superbi banani dalle foglie immense, formavano dei gruppi enormi e pittoreschi, crescendo accanto a macchie di mangostani, di artocarpi che si piegavano sotto il peso delle loro frutta rugose e grossissime, di durion altissimi, di tonki dalla cui corteccia i siamesi ottengono un'ottima carta, di faang che somministrano una bellissima tintura rossa e di tek, i quali però non raggiungevano ancora le dimensioni straordinarie dei confratelli del settentrione. Di quando in quando, invece, apparivano delle risaie immense, tagliate con cura a quadri, oppure delle piantagioni di canne da zucchero, ma poco dopo la foresta riprendeva il suo impero.
Numerosi volatili svolazzavano fra albero ed albero od attraversavano velocemente il fiume, facendo brillare al sole le tinte vivaci delle loro penne. Erano piccioni rossi più grossi, e anche più squisiti dei nostri; caipha, chiamati per la bellezza delle loro penne, galline del cielo; tortore, gru e aironi ed altri ancora che il dottore non aveva mai veduti.
Disseminando ovunque curiose informazioni riguardo le abitudini alimentari o i costumi degli autoctoni:
Una lunga tavola, che aveva i margini rialzati come una cassa, con una sola apertura, stava nel mezzo di quel gruppo e dentro vi si trovavano due grosse tartarughe di fiume, sui cui gusci erano stati collocati due piccoli fornelli ripieni di carbone, che venivano alimentati con violenti colpi di ventaglio. I combattimenti fra le testuggini sono assai apprezzati dai siamesi, forse ancor più di quelli fra i galli e dànno luogo a scommesse sfrenate.
Per rendere quegli animali, piuttosto tardivi e di temperamento niente affatto bellicoso, furiosi, collocano sul loro dorso dei fornelli. Sentendosi bruciare la corazza, i poveri anfibi cercano di fuggire verso l'unica apertura, e non potendo passare tutti e due in una sola volta, si combattono ferocemente per giungere prima.
Le due testuggini, che si sentivano arrostire il dorso, non avendo i fornelli il fondo, lottavano disperatamente per uscire. Non riuscendovi, cercavano di respingersi a vicenda, urtandosi violentemente e lacerandosi il collo. Si rizzavano sulle zampe posteriori, lasciandosi cadere di peso, poi s 'investivano con rabbia estrema, mentre le loro corazze fumavano, spandendo all'intorno un nauseante odore di corno bruciato.
Esempi e rimandi potrebbero continuare, infiniti, in questo solo romanzo; meglio concludere, per non sottrarre agli affezionati di Salgari l'opportunità di scavare autonomamente alla ricerca dei tesori del "Capitano". Tesori da cercarsi non nell'astratta, vuota ed inutile ricostruzione della vita privata (era un buon padre? aveva l'amante? e che dire della pazzia?) di un uomo morto suicida in modo piuttosto teatrale (scrive una lettera ai figli "Sono ormai un vinto ... si troverà il mio cadavere in uno dei burroncelli che voi conoscete perchè andavamo a raccogliere i fiori"; una ai suoi editori "A voi che vi siete arricchiti con la mia pelle, chiedo solo che ... pensiate ai miei funerali. Vi saluto spezzando la penna".); ma nella creazione di un mondo diverso, di un mondo "altro", fatto di fantasie vere e di sogni realizzabili, anzi la visionaria metamorfosi di una realtà fin troppo manifesta. Un appunto dell'autore ai ragazzi di sempre: immergersi nell'avventura, nell'ignoto, per scoprire se stessi.
Lakon-tay, appena entrato, si era diretto lentamente verso un angolo su cui, sopra una mensola d'argento, si vedeva una di quelle larghe spade, a lama dritta e a due tagli, con la guardia piccolissima, specie di enorme rasoio.
Era la sua catana di guerra, un'arma di fabbrica giapponese, taglientissima, già tinta e ritinta un tempo nel sangue dei Birmani e dei Cambogiani.
La impugnò con mano ferma e la guardò per alcuni istanti, alla luce della lampada azzurra che ardeva proprio sopra il letto, poi, senza che un muscolo del suo viso trasalisse, se l'accostò alla gola.
Ad un tratto però abbassò l'arma, poi la gettò su uno dei divanetti.
- No, - disse. - Il sangue farebbe troppa impressione alla dolce Len-Pra.
Stette un momento irresoluto, poi si diresse verso un tavolino giapponese, su cui stavano parecchi vasi di porcellana, delle tazze e delle caraffe piene d'acqua e di liquori.
-La morte mi coglierà nel sonno, - mormorò.
Aprì uno di quei vasetti e tolse una palla di colore brunastro, grossa come una piccola noce di cocco, che tagliò a metà con un coltello dal manico d'oro". (cap.IV, pagg. 29 - 30)
Samanta Sarti
Ringrazio l'autrice per l'autorizzazione a riprodurre in "Appunti di viaggio" questo testo (già apparso sulla rivista "Yorick" n°19 bis).
Note dell'Autrice
1)Elefante bianco sacro a Buddha e adorato nel Siam come una divinità.
2)Cfr. A. M. Carena Acino: Emilio Salgari ritratto dai manoscritti, in Psicologia e Scrittura, Torino, Genn.Dic. 1995.
3)Cfr. V. Sarti, Nuova Bibliografia Salgariana, pag. 85.
4)Cap. I, pag. 5.
5)Molti studi, ed interessanti, sono stati compiuti riguardo illustrazioni ed illustratori dei testi salgariani (v. Bibliografia), ma ben poco è stato scritto circa la capacità dell'autore stesso di descrivere immagini in modo fotografico.
6)Cap. III, pag. 14.
7)Cap. IV, pag. 16.
8)Cap. IV, pag. 32.
9)Cap. V, pag. 38.
10)Sul comportamento (modo di pensare e ragionare umani) degli animali, v. Bibl., R. Leonardi Nella Giungla di Salgari.
li)Cap. XXI, pag. 176.
12)Cap. XXXIII, pagg. 272, 273.
13)Cap. XX, pagg. 171, 172.
14)Cfr. "La Scimia che ride e la scimia lottatrice nell'Indo-Cina", da Il Giornale Illustrato dei Viaggi e delle Avventure di Terra e di Mare, anno IV, n. 312, 31-8-1884, Sonzogno, Milano.
15)Cap. X, pag. 79.
16)Cap. X, pag. 75.
17)Cap. XIV, pag. 116.
18)V. Sarti, op. cit., pag. 25.
Bibliografia di riferimento
R.Barbolini - 5 Tomasi, Paper Hell, Traseuropa, 1991
S.Gonzato, Emilio Salgari, Neri-Pozza, Vicenza, 1995
R.Leonardi, Nella Giungla di Emilio Salgari, Ed. Paoline, Milano, 1992
G.P. Marchi, Emilio Salgari - TaySee / La Rosa del Dong-Giang, Ed. Antenore, Padova, 1994
V.Paliotti, Mi disse Napoli, Ciesseti, Napoli, 1984
P.Pallottino, L'occhio della tigre, Sellerio, Palermo, 1994
M.Pieri, Una Stagione in Purgatorio, La Pilotta, Parma, 1983
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