Da ragazzo, tutti i soldi che avevo (sempre pochi) li spendevo in romanzi d'avventure. In testa alle mie preferenze, ovviamente, era Salgari. Di rigore l'usato, sia per risparmiare e sia perché le vecchie edizioni, illustrate da Della Valle, D'Amato, Gamba... , erano molto più belle.
Di solito ricorrevo ad una modesta libreria d'occasione sita in corso Garibaldi [a Napoli], piuttosto angusta, ma totalmente rivestita di alti scaffali: un negozietto polveroso, associato per me al ricordo di una signorina dall'età indefinibile, non so se proprietaria o commessa, che aveva il potere di far materializzare, dagli angoli più riposti, il mio prediletto Autore.
Le avevo affibbiato il nomignolo, per la verità poco attraente, di Talpa: sia per la sua capacità di sparire in certi anfratti del negozio, e ritornare di lì a poco col frutto delle sue ricerche, e sia perché lo stesso aspetto fisico mi richiamava quel roditore. Minuta, sciatta, assolutamente poco femminile, aveva un volto inespressivo, occhiali tondi e spessi da miope, chioma grigia e crespa simile alla paglia metallica per pulire piatti e pentole. Mai che l'abbia vista sorridere. La "talpa", insomma.
Se qualcuno mi avesse rivelato che lei aveva marito, figli, che sentimenti e preoccupazioni umane scalfivano la sua imperturbabilità, gli avrei creduto a stento, tanto sembrava non darsi pensiero che per i suoi libri, quasi identificata con essi. Era l'opposto del fascino, eppure per me era una creatura misteriosa e affascinante, quasi sacerdotessa di un arcano culto cartaceo. Issata su una scala traballante a frugare in mezzo a pile di libri, ne discendeva poi con le edizioni Sonzogno, Vallardi, Carroccio, Bemporad... Talvolta, nella pesca, rimaneva preso anche qualche Verne o qualche Motta, che non rifiutavo. Spesso si trattava di copie malconce, gualcite o macchiate, che manifestavano tutto il loro vissuto, quasi resti di uno di quei naufragi descritti da Emilio (e proprio per questo a me piacevano ancora di più).
Rimesse insieme con colle i cui acri sentori si mescolavano a quelli della muffa, a volte, al posto delle copertine perdute, ne esibivano altre rimediate, di carta dozzinale un po' spessa, su cui una calligrafia svolazzante (forse quella della stessa Talpa?) aveva tracciato titoli di sogno: La regina dei Caraibi, I drammi della schiavitù, Straordinarie avventure di Testa di Pietra, Il Bramino dell'Assam...
A questo punto iniziava la contrattazione. La Talpa, infatti, sembrava separarsi a fatica dalle sue creature, e non pareva disposta facilmente ad abbassare prezzi già tanto modesti. Il problema infatti era: come arraffare il più possibile di tutto quel ben di Dio, con le mie scarse finanze a disposizione? Più di una volta, con rammarico, ho dovuto rinunciare a qualche titolo, sperando di ritrovarlo ancora ad una successiva visita.
Oggi, a tanti anni di distanza, quel negozietto non esiste più, sostituito da una banale (e molto più igienica per la verità ) cartolibreria, che assieme ai best seller di oggi esibisce utilissimi ma ben poco fascinosi libri scolastici. Della Talpa, manco a dirlo, neanche l'ombra. Morta o ancora viva? Chissà.
Ma di recente, ritrovando su una bancarella, una vecchia edizione Carroccio di Una sfida al Polo, il cui acre tanfo (dovuto alla qualità della carta, credo) m'era rimasto impresso ad onta degli anni, e risentendolo tale e quale, come quando da un scavo archeologico riemergono ampolle che talora conservano un'ombra del loro profumo millenario, non ho potuto fare a mano di ripensare a lei con affetto.
Oreste Paliotti
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