Il romanzo "I misteri della Jungla Nera" è, al pari di tutti i lavori di Salgari, o almeno dei migliori, costellato da una miriade di personaggi secondari. Pensiamo ad esempio a Bharata, il fedele attendente del capitano Macpherson, o a Moh e Hider, i due thug che aiutano Tremal-Naik nello sciagurato tentativo di uccidere il futuro suocero.
Quello che però si stacca nettamente dagli altri è Nimpor, il fachiro dal braccio anchilosato che ha fatto della sua mano un vaso per una pianta di mirto sacro, anche lui impegnato ad aiutare Tremal Naik nell'impresa di rintracciare ed uccidere il capitano Macpherson.
Prima di proseguire una precisazione. Il personaggio del fakiro compare nel capitolo XI della seconda parte, dal titolo, appunto, "Il fakiro". Si tratta di uno dei capitoli aggiunti da Salgari per l'edizione Donath del 1903. Ricordiamo che questa aggiunta si rese necessaria per far raggiungere a questo romanzo le nuove dimensioni standard, in numero di pagine, delle pubblicazioni della Casa Editrice Donath di Genova.
Gli otto capitoli aggiuntivi sono ricchissimi di riferimenti esotici. Si pensi, ad esempio, alla statua cava, raffigurante il quarto avatara (incarnazione) di Visnù, in cui Tremal-Naik e compagni si rifugiano per sfuggire all'inseguimento dei cipay, oppure alla approfondita descrizione dei riti mattutini dei bramini.
Tornado al fakiro Nimpor, questo personaggio non può non colpire la fantasia del lettore che vede in lui il rappresentante di un mondo stupefacente, molto distante dal proprio. Un mondo in cui l'incredibile diventa prassi comune, in cui esistono degli incredibili personaggi, i fakiri appunto, che possono realizzare cose negate a tutti gli altri. Camminano sul fuoco, si sollevano in aria, ingurgitano chiodi e pezzi di vetro oppure trasformano la propria mano in un vaso da fiori.
SALGARI lo introduce così:
Moh salì la spaziosa gradinata che conduceva nell'entrata della pagoda e si fermò dinanzi ad un indiano, che stava seduto sull'ultimo gradino, dicendo a Tremal-Naik ed a Hider:
- Ecco il fakiro.
Nel vederlo, Tremal-Naik non aveva saputo frenare un gesto di ribrezzo. Quel miserabile indiano, quella vittima dei fanatismo religioso e della superstizione indiana, faceva davvero orrore. Era, più che un uomo, uno scheletro. Il suo volto incartapecorito, era coperto da una barba, fitta, incolta, che gli giungeva sotto la cintura, e coperto di bizzarri tatuaggi rossi e neri raffiguranti per lo più bene o male dei serpentelli, mentre la sua fronte era impiastricciata di cenere. I suoi capelli del pari lunghissimi e che forse mai avevano conosciuto l'uso dei pettini e delle forbici, formavano come una specie di criniera, pullulante certo d'insetti. Il corpo, spaventosamente magro, era quasi nudo, non portando che un piccolo perizoma largo appena quattro dita. Quello però che destava ribrezzo, era il braccio sinistro. Quel membro, ridotto a pelle ed ossa, rimaneva costantemente alzato né potevasi più abbassare essendo ormai disseccato ed anchilosato. Nella mano, strettamente legata con delle corregge e chiusa in modo da formare un recipiente, il fanatico aveva deposta della terra piantandovi un piccolo mirto sacro, il quale a poco a poco era cresciuto come se si trovasse in un vaso. Le unghie non potendo trovare sfogo, eransi dapprima incurvate, poi avevano trapassata la mano ed ora uscivano, come artigli di bestia feroce, attraverso il palmo. [E. Salgari "I Misteri della Jungla Nera", Donath, 1895]
Personaggio straordinario si diceva, ma, come molti altri, non frutto della fantasia di Salgari, ma della sua opera di ricerca, studio e classificazione. Infatti il fakiro dal braccio anchilosato è descritto dal viaggiatore francese Louis Rousselet nel resoconto del suo viaggio in India dal titolo "L'India dei rajah" (Treves, 1877). Riporto in appendice la descrizione del Rousselet, per chi avesse eventualmente voglia di confrontarla con le pagine salgariane per vedere se e quanto lo scrittore veronese ha modificato. Quindi il guscio del personaggio è desunto dall'esperienza reale di altri, ma Salgari lo riempie, gli da vita propria ed autonomia, trasformandolo da statica figura che chiede l'elemosina in uno dei protagonisti della parte del romanzo ambientata a Calcutta. Il personaggio colpisce la fantasia del lettore e resta impresso nella sua memoria.
E' proprio questa una delle caratteristiche della prosa salgariana, grande libertà alla fantasia ma nell'ambito di un quadro realistico, possibile, magari utilizzando spunti reali. Quindi si deve rimarcare la bravura con la quale Salgari inserisce personaggi reali nei propri romanzi lasciando intendere al lettore che siano anch'essi inventati.
Che il personaggio reale descritto dal Rousselet fosse degno di nota è dimostrato dal fatto che anche Verne, molto meno attento di Salgari verso l'obiettivo di colpire la fantasia del lettore, abbia tratto spunto dalla medesima lettura.
Nel capitolo VII, dal titolo "I pellegrini di Phalgu", del romanzo verniano "La casa a vapore" si legge infatti la seguente descrizione: "C'erano fachiri, gussain, seminudi, coperti di cenere; questo con il braccio anchilosato a causa di una prolungata tensione; quello, con la mano trapassata dalle unghie delle proprie dita."
Descrizione ripresa senz'altro dal Rousselt in considerazione del fatto che alla pagina precedente lo nomina e menziona il suo resoconto di viaggio.
La, notevole, differenza rispetto a Salgari è che per Verne il fachiro è una piccola macchia di colore e di folclore. Invece lo scrittore veronese lo rende un personaggio vivo che, al contrario della rapida e limitata descrizione verniana, resta impresso nella memoria.
Si deve però anche riconoscere che lo scoprire che il fachiro dal braccio anchilosato non è un parto della fervida fantasia di Salgari per certi versi dispiace. Forse era preferibile continuare a credere che gli spunti dal Rousselet e dalle sue altre fonti fossero minori di quanto in realtà siano.
Livio Belli
Appendice
"Il fakiro dal fiore sacro"
Tra le curiosità di Sunaghur, non devo dimenticare di descrivere un fakiro, che vidi un giorno alla porta dei caravanserai. Questo fakiro, il quale rappresentava il più ributtante esempio del fanatismo indù che sia possibile, immaginare, era un gussain o mendicante religioso, d'una setta tantrica; la faccia, circondata d'una barba irta e incolta, portava de' tatuaggi rossi, raffiguranti un tridente; i capelli, legati insieme, si avvolgevano al di sopra della testa in una mitra appuntata; il corpo, macilento, affatto nudo, era impiastricciato di ceneri. Ma il più orribile in questa creatura era il braccio sinistro, che, scarno, e anchilosato, si rizzava in aria, perpendicolarmente alla spalla; la mano, chiusa, circondata da corregge, era attraversata dalle unghie, le quali, continuando a crescere, si curvavano a modo d'artigli dall'altro lato della palma; infine, il cavo formato da questa mano, riempito di terra, serviva di vaso a una pianticella di mirto sacro. Il braccio, immobilmente disteso, dava a questo disgraziato un'aria di profeta corrucciato e minaccioso. Cotesti fakiri dal braccio teso non sono rari nell'India: l'usanza è principalmente praticata dai gussain. Per riuscirvi, il paziente deve farsi legare sopra una seggiola, col braccio disteso e allacciato a una spranga trasversale; in capo a un certo tempo, di cui ignoro la durata, e dopo vivi patimenti, il braccio è disseccato e anchilosato, e non è più possibile abbassarlo. Non occorre dire che il popolo circonda di gran venerazione questi martiri del fanatismo, e li considera come un'incarnazione della Divinità. [Louis Rousselet "L'India dei rajah", pag. 307, Treves, 1877]
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