Annotazioni al racconto di Emilio Salgari
Il Bisonte Nero



La novella, che racconta le gesta di due cinici e sfortunati ragazzi di Frontiera (uno bianco ed uno rosso), si riallaccia al tema del Selvaggio West.
Come in ogni sua opera, Salgari si pone innanzi come autoriale, e riesce difatti a modellare sul suo timbro un particolare tono narrativo, che è quello precipuo del Selvaggio West... (ne disponiamo degli esempi chiari nelle opere Londoniane), Emilio ha difatti sapute convergere le istanze della conditio sine qua non western, su di uno spaccato narrativo agile e sinuoso, incalzante, ma suadente, anche fra le gialle polveri del terre aride dell'Occidente Selvaggio Americano; la narrazione Salgariana riesce a fare annusare un sottile retroaroma di incensi profumati ...
Senza per nulla pervertire il tono narrativo, cinico e laconico (con dei passaggi nella narrazione imitativa) delle "storie di frontiera", Emilio ha plasmato un racconto che fonde in sè la dura ipostasi Diogenea della Cowboy 'Story con la sensuale ma delicata armonia del suo tocco salgariano fiabesco ed orientale.

Mistero, cinismo, pessimismo Hobbesiano (tipico dei racconti di frontiera), tensione, fiaba e persino una nota "splatter" si fondono agilmente nella narrazione, senza mai creare stonature stridenti. Un'operazione ardita, un tocco di virtuosismo innato ed assolutamente spontaneo, una provocazione narrativa, proposta con la massima e disarmante naturalezza propria di Emilio Salgari. Un "cammeo d'autore".

La storia in sé, di suo, è piuttosto lineare, ma lascia lo spunto per un diluvio di rilfessioni, nonchè per una visitazione al "Giustizialismo Cooperiano".
Due uomini rudi e smaliziati, due cinici, un bianco ed un pellerossa, si trovano a ventilare la ipotesi di sconfiggere un animale-leggenda, tale un grande bisonte, il cui manto è di giaietto. Non è per elevate ragioni che hanno presa in pugno tale idea, sono spinti solo dalla "taglia" che è stata posta sull'animale.
Sul mostro grava però una misteriosa profezia, pare che la Bestia porti la malasorte a chiunque interagisca con essa...

Come detto, però, i due protagonisti dell'amara vicenda sono due cinici (specie il bianco) e non pongono scrupolo dinanzi a quella profezia, che altro non ritengono se non una passata superstizione (è vero che Salgari non può esimersi, per rispetto ad una antica istituzione, di mettere in bocca al pellerossa delle parole non scettiche, ma trattasi solo di un episodio), soprattutto in virtù del fatto che, quanto sia immateriale la "profezia", tanto sono all'opposto materialissimi i dollari della taglia che potrebbero intascare.
Sin qui la storia potrebbe apparire quasi banale: un mostro... una maledizione ... due cinici-scettici-materialisti... Gli ingredienti più noti, quasi dozzinali, per la solita minestra già troppe volte riscaldata.
Forse un margine di interesse puote apparire dato dal piglio esageratamente cinico dello "Uomo Bianco", il quale, con clamorosa serenità, si getta all'inseguimento di un mostro mitologico, mosso soltanto dall'idea di intascare una somma di denaro, come se si trattasse di un qualsiasi bove da recinto. Ma, al di là di questa esuberanza indiretta, sembrerebbe di trovarci dinanzi il consueto e rimasticato bozzetto di maniera dalla trama esile, American' Style.
Invece la suggestività del racconto,nonchè la sua qualità, vanno in crescendo di pari passo con la tensione generata dalla lunga e frastornante scena dell'inseguimento. Basandosi sul gioco "sadomasochista" dell'inseguimento diuturno, Salgari ammette la slanciata istanza di una febbrile ricerca di un dato sensuale dal sapore blakeano, una sorta di delirante stoicismo allucinato che viaggia aerodinamicamente e congestionatamente verso la spettacolarità di un proto-futurismo efficacissimo.
La struttura "a perdita di fiato" della narrazione si inserisce in una continua giostra di sensazioni "a flusso", donde l'elemento principale è rappresentato da una smania disperata e congestionata simile ad un gridato ed eccessivo Eroico Furore Bruniano. Il cinismo laconico della storia di frontiera si fonde con una magica atmosfera fantasmagorico-orientale, nonchè con un chiarissimo riferimento al girone dei lussuriosi (interessante difatti notare la analogia fra i due sfortunati Paolo e Francesca, e gli altrettanto sfortunati protagonisti di questo racconto: il girone dei lussuriosi è quello donde viene scontata la pena per il peccato meno grave, vale a dire un peccato di pensiero. I lussuriosi sono coloro che difatti si sono limitati a "pensare" di commettere un atto peccaminoso, ma senza stringere nulla nella realtà.
I due protagonisti di questa novella, come Paolo e Francesca, trovansi prigioni di un forte entusiasmo galeotto - in questa circostanza, la parte di galeotto è recitata dalla somma di denaro, offerta per la uccisione del Bisonte Nero - e come Paolo e Francesca trovansi a gettarsi a capofitto in un gesto ardito senza pensare. Senza stringer niente in pugno, in quanto Paolo e Francesca non arrivarono neppure a baciarsi, tanto quanto i due sfortunati cavalieri della prateria non otterranno la somma agognata. Eppure il gesto ed il pensiero costò molto caro a Paolo e Francesca, e molto caro altrettanto costerà ai due cinici pistoleri).

La morte del Bisonte poi e davvero Originale (per quanto tragica ) per un "mostro mitologico". La Bestia, difatti, crolla distrutta dalla fatica della corsa, dopo essere stata troppo a lungo inseguita dai due avidi amici. Effettivamente, trattasi di una morte molto sui generis, specie per un "mostro": ci si sarebbe potuta attendere una lotta molto più accesa, invece la Bestia dimostra la sua adesione al paradigma "terreno" piuttosto che a quello "mitico" con un accento (si possa dirlo) anche un pochino compassionevole.
Proviamo pena per il Mostro. Ma ecco che esso viene vendicato!
I due amici vengono fatti prigionieri dai pellerossa che non hanno gradito affatto il loro atto violento nei confronti di "Animale Sacro".
Qui poi avviene qualcosa di molto strano: sembra che Salgari appositamente voglia commettere un errore grossolano (per provocare ulteriormente il lettore? Per saggiare la cultura di questi?). Sta di fatto che ci pone la scena del pellerossa che viene legato al palo della tortura dai suoi connazionali, con l'accusa di "empietà"!

Ora, Salgari era perfettamente a conoscenza (lo ha anche riportato, con notevole efficacia drammatica, in un altro suo racconto Western) dell'usanza Pellerossa (assolutamente inconcepibile per gli Europei) di utilizzare la tortura non come "castigo", bensì come "premio"!
I Pellerossa difatti vedevano nella tortura un rituale "sacro" che veniva posto all'appannaggio unicamente di personaggi eccezionalmente meritevoli. Durante questo rituale il condannato-premiato veniva reso oggetto di grandissimi onori, dimostrazioni di rispetto e stima da parte degli uomini e dimostrazioni di apprezzamento (tra cui doni floreali) da parte delle donne. Successivamente lo scalpo del condannato-premiato veniva posto in un luogo sacro e venivano ad esso tributati onori come fosse un simulacro divino.

Ordunque, vero è che la scena che Emilio ci pone dinanzi agli occhi, per "splatter" che sia, non prevede sadismo spettacolare alla extreme movie anni '80 (sta di fatto che il povero pellerossa non viene torturato ma se la cava con la "testa spappolata da un colpo d'ascia"), ma vero è pure che sempre e comunque lo vediamo appeso al palo della tortura.
Come si spiega questo fatto? Perchè mai uno accusato di empietà ha ricevuto l'"onore" del palo della tortura? Forse in quanto, per empio che sia, è sempre e comunque stato capace di sconfiggere un mostro ritenuto invincibile? Forse perchè Salgari vuole metterci alla prova? Vuole vedere in quanti di noi si accorgeranno di questo "svarione"? Forse Emilio ha proprio sbagliato (ma questo ci sembra inverosimile)? Non lo sapremo mai!

Ma dove abbiamo lasciato il ragazzo bianco? Lui riesce a scappare... ma ci rimette un braccio.
La storia termina con una considerazione Murphyana di costui che si rammarica di come effettivamente la profezia si fosse compiuta, il Bisonte Nero aveva davvero portata la malasorte a lui ed al suo amico pellerossa, la borsa era rimasta comunque a digiuno e lui ci aveva rimesso un braccio, mentre il suo amico addirittura la vita.
Un racconto cinico ed in parte (se non fosse per il lato misterioso e fiabesco) crepuscolare. Non manca un soffio (seppure non convinto, anzi, tutt'altro che convinto) di pirronismo (scotomizzato in ultimo dalla ammissione dell'avverarsi della profezia). Un racconto molto singolare, dove Salgari ha voluta esternare la sua parte "spettrale" (azione che ha compiuta anche in altre occasioni, ma stavolta con un piglio più aggressivo), non senza, però, averla frenata con un pizzico di cinismo ed un tocco (seppur come abbiamo detto, molto scotomizzato) di pirronismo.
Emilio amava frenare gli impeti di estro ossianico (per ragioni storicistiche) con una certa di dose di affettato cinismo positivista. In questa novella, però, un rinnovato soffio d'uno Zefiro Blakeano lo distoglie, in parte, da questo suo Humeano intento, per lasciarlo sbilanciare verso un terreno a lui non comune e pel quale aveva sempre mostrata una certa quale ostilità: quello di Ossian.
Ravvisiamo difatti in questo racconto una sorta di affannata corsa verso un chè di apocalittico, proto-Lovecraftiano. C'è qualcosa di "epistemologico" in questa novella, qualcosa di Eracliteo e di Socratico, un colloquio tra il Salgari-uomo ed il Salgari-scrittore, colloquio gonfio di ragionamenti forti ed affannati che portano ad una (innata) conclusione: Salgari-uomo e Salgari-scrittore sono tutt'uno!
Emilio...E'! Emilio può ripiegarsi su se stesso, quanto esternarsi. L'Anima di Emilio può attorcigliarsi nel suo petto, quanto estroflettersi. Per Emilio non c'è scampo, egli è schiavo della sua Sensibilità, della sua Poesia. Qualunque sarà la sua scelta, essa lo condurrà sempre verso quello che sarà definito "riscatto metafisico della Natura".
E così Emilio, una volta in più, dimostra le sue doti di Poeta e di esegeta perfetto di Boccaccio e Vico, laddove solo Svevo puote essergli alla pari!

Antinoo Rossetti

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